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22 gennaio 2010 5 22 /01 /gennaio /2010 17:00
 
Blog della Fondazione ça ira!

 

Paul Neuhuys: Dada


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Con Dada raggiungemmo il supremo approdo al sentimento poetico moderno. Dada, così come mi è successo di dirlo scherzando, consiste nell'abbattere per scritto le cose che non si reggono in piedi. Dada instaura una potente logica negativa. Inverte radicalmente la direzione dell'intelligenza. Dada non ha nulla in comune con tutto ciò che pensate perché Dada non si pensa. Non scrollate le spalle.


Lo scandalo dada con la sua potenza di negazione ha un significato molto vasto. Apparentemente è un movimento creato da spiriti universali. Ai giorni nostri Pico della Mirandola sarebbe forse Dada. Dada non è affatto un fenomeno. Risponde alle esigenze filosofiche del momento. Cerca di dissimulare la realtà oggettiva per tuffarsi nelle profondità ultra-realiste dell'inconscio. Il movimento dada, per quanto negativo possa apparire non è non di meno scaturito da ricerche trascendenti dello spirito umano.

 

Ci basti ricordare il matematico Henri Poincaré la cui famosa teoria della comodità gettò perplessità nel mondo accademico. Secondo Henri Poincaré, ciò che appare come essenzialmente vero allo spirito dell'uomo non sarebbe che il più eminentemente comodo.

 

Così i matematici ed in particolare la geometria euclidea non possono avere, dal punto di vista assoluto, nessun senso.

 

Le nostre concezioni più rigorosamente esatte sono in realtà approssimative. La strada più breve da un punto all'altro non è, a ben guardare la linea retta. Allo stesso modo è discutibile che la terra sia un poliedro in rotazione intorno al sole. Senz'altro è quanto i nostri sensi hanno immaginato di più comodo ma forse siamo immobili ed è la realtà oggettiva che si muove intorno a noi. Abbiamo evidentemente una tendenza a scegliere il principio più conforme alla fragile struttura dei nostri organi e tutti i nostri pensieri poggiano necessariamente sull'assurda concezione che abbiamo dello spazio.

 

In un ordine di idee analogo, la filosofia di Bergson si collega alla critica dell'idea di tempo. Il dadaismo è un risultato della filosofia intuitiva.

 

Bergson ci rappresenta l'intelligenza come strettamente adatta alla materia e, con ciò, incapace di percepire la durata e l'estensione in quanto qualità pura.


Soltanto l'intuizione a delle opportunità di risolvere queste antinomie disdegnando l'intelligenza a vantaggio dell'istinto.

 

Poiché il cervello non può rappresentarsi il tempo e lo spazio che nei limiti della materia, è importnate non arrendersi all'evidenza del mondo sensibile, ma di affidarsi a ciò che Bergson chiama i "dati immediati della coscienza".  È obbedendo a quest'impulso profondo che possiamo  evadere dai rozzi concetti della ragione umana. Invece di attenerci alla visione comune del mondo, procediamo ad un'esplorazione del mondo non organizzato dove tutto è in perpetua creazione.


L'individuo è, secondo la filosofia di Bergson, "la combinazione variabile del passato".

 

Il principio di identità deve far posto allo "slancio vitale" che riflette l'incessante cambiamento dell'universo e che deborda ogni canalizzazione.

 

Così è, brevemente, questa filosofia presso la quale tanti sistemi precedenti perdono, in gran parte, il loro significato.

 

Dada non sarebbe dunque nient'altra cosa che questo sforzo per liberarsi dei concetti relativi della ragione umana. Si tratta per lui di abolire le categorie. È per questo che Dada non vuole illuminare nulla. Gli basta di intravedere per alcuni istanti lontani lucori di assoluto tra i frammento in movimento che lo slancio vitale lascia dietro sé.

 


Paul NEUHUYS

 



[Traduzione di Elisa Cardellini]




LINK al post originale:

Paul Neuhuys: DADA

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20 gennaio 2010 3 20 /01 /gennaio /2010 09:00




GLI   IDROPATI




image hébergée par photomaniak.com 

Disegno di Cabriol, Alfred Le Petit, Les Hydropathes n° 9, 15 maggio 1879.



Dopo la guerra franco-prussiana del 1870, nascono a Parigi numerosi club letterari . Il vivo interesse per i cabaret e lo spirito della bohème cioè "fumiste", riunisce degli artisti dallo spirito innovatore e poco conformisti.


Il club des Hydropathes [club degli Idropati] è creato da Émile Goudeau nell'ottobre del 1878. Il circolo ottiene un rapido successo: sin dalla sua prima assemblea, riunisce settantacinque persone e conterà sino a trecento partecipanti. Questo successo era dovuta in gran parte al suo presidente ed animatore Émile Goudeau ma anche ad una certa benevolenza delle autorità ed alla facilità con cui iscriversi. Chi voleva iscriversi non era tenuto di menzionare sulal sua domanda al presidente nessun talento in letteratura, poesia, musica, recitazione, caricatura o altre arti.


I partecipanti recitano la loro poesia o la loro prosa ad alta voce davanti agli assistenti durante le sedute del venerdì sera. Il club si riunisce in un primo momento in un caffè del Quartiere Latino poi, a partire dal 1881, al Chat noir [Gatto nero] di Rodolphe Salis. Riempie la sala. È dopo una serie di baccano provocato dal trio Jules Jouy, Sapeck e Alphonse Allais che lanciano dei petardi e dei fuochi di artificio che il club sparisce nel 1880.


Nello spirito del tempo, Emile Goudeau fonda una rivista satirica illustrata Les Hydropathes [Gli Idropati], che propone soprattutto in copertina il ritratto caricaturale degli aderenti più famosi. Vi ritroviamo delle biografie e dei ritratti satirici di Emile Goudeau, André Gill, Félicien Champsaur, Coquelin Cadet, Charles Cros, Sarah Bernhardt, Charles Lomon, Maurice Rolinat, Alfred Le Petit, Auguste Vacquerie, Luigi Loir, Mélandri, Raoul Fauvel, Charles Frémine, Georges Moynet, Alphonse Allais, Sapeck, Emile Cohl.


Si trasforma in Tout-Paris, Settimanale illustrato.





[Traduzione di Elisa Cardellini]


Link al post originale:
Les Hydropathes



Link al formato elettronico della rivista Les Hydropates:

Les Hydropathes

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18 gennaio 2010 1 18 /01 /gennaio /2010 20:27



Al Tempo dell'Occhio Cacodilato

Panorama bio-icono-bibliografico dei sessanta firmatari di L'Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921)








Giusto una messa a punto


Picabia mentre presenta il suo quadro Danse de Saint-Guy (nel 1920, distrutto e poi di nuovo realizzato con il titolo Tabat-Rat nel 1946-49 circa) al Salon des Indépendants (febbraio 1922).

In seguito ai rimproveri avanzati da un giornalista perspicace che scoprì che Les Yeux chauds di Picabia erano stati composti partendo da un disegno industriale di una turbina, Picabia credette bene di reagire rapidamente a quest'attacco frontale sulle colonne di Comœdia (23 novembre 1921), diretto allora dal suo amico Georges Casella (altro firmatario di L’Œil Cacodylate). Dopo una breve digressione [1] orientata sul ruolo della scelta dell'artista nella creazione di un'opera- argomento centrale in Duchamp- Picabia tiene un discorso più generale e consegna una breve testimonianza sull'Occhio Cacodilato:

[...] I miei quadri passano per delle opere poco serie, perché sono fatte senza la reticenza della speculazione e perché vi lavoro divertendomi così come si fa dello sport. Vedete, la noia è la peggiore delle malattie e la mia grande disperazione sarebbe proprio di essere preso sul serio, di diventare un grande uomo, un maestro, un uomo di spirito che si invita a parlare delle sue decorazioni, delle sue relazioni e perché fa tendenza durante i pranzi, in cui le persone che mangiano molto sono delle persone che non hanno noente nel ventre! Vedete ciò che intendo dire, l'artista-ministro, l'artista-deputato! Ora, io, l'ho
scritto spesso, non sono nulla, sono Francis Picabia che ha firmato L’Œil Cacodylate, in compagnia di molte altre persone che hanno anche spinto l'amabilità sino a scrivere un pensierino sulla tela! Questa tela è stata terminata, quando non c'era più spazio su di essa e trovo che questo quadro sia molto bello e molto piacevole a vedersi e di una graziosa armonia, forse perché tutti i miei amici sono un po' artisti! Mi hanno detto che stavo per compromettermi e compromettere i miei amici, mi hanno anche detto che non era un quadro. Dico che non c'è niente di compromettente se, forse, se non compromettersi; e penso che un ventaglio ricoperto di autografi non diventa un samovar! È per questo che il mio quadro, che è incorniciato, fatto per essere appeso al muro e guardato, non può essere altra cosa che un quadro [...].

1 [...] Il pittore fa una scelta, poi imita la sua scelta la cui deformazione costituisce l'Arte; la scelta, perché non lo firma semplicemente, invece di fare la scimmia di fronte ad essa? Vi sono già molti quadri accumulati e la firma approvativa di artisti, unicamente approvatori, darebbe un nuovo valore alle opere d'arte destinate al mercantilismo moderno [...].

Ritratto effettuato da Marcel Duchamp di Florine Stettheimer (1923)

Suzanne Duchamp par Man Ray (1924)

17 luglio 2005



[Traduzione di Elisa Cardellini]


LINK al post originale:
Juste une mise au point



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24 dicembre 2009 4 24 /12 /dicembre /2009 19:31





006.jpg




 

IV

 

 

Condanna

 

 

Sui sentieri e sulle grandi strade della

Valle dei fiori, gli invitati si affrettavano per

giungere in tempo alla festa che si dava in ono-

re di un poeta morto la settimana precedente nella

indifferenza generale.

Il sindaco di Bar-le-Fol, colto letterato, presiedeva.

Il programma era vario delle corse degli

atleti dei giullari, ecc…

Un grande circo innalzato in mezzo alla foresta

faceva pensare ad un villaggio negro.

Sul suo tetto un arlecchino con casco di pilota

arringava la folla. I cavalli di legno giravano

malinconicamente come un prologo.

 


 

L’innocente del villaggio si mise a cantare quanto

conosceva di una vecchia romanza che il grande uomo

morto nel paese gli aveva insegnato un giorno in cui egli

torturava una giovane rondine caduta dal nido.

Ma l’orso bianco adorno di un grande collare

di campanule annunciò il suo arrivo. Investì l’in-

nocente che si trovava sulla sua strada, la romanza cessò:

l’eco soffocò un lamento nel lontano sottobosco.

L’Orco arrampicato su un albero cercava l’equilibrio e rosic-

chiava le giovani foglie come insalata.

Di fronte a lui su un pino uno scoiattolo manipolava

con destrezza le nocciole.

In una baracca fatta di tronchi squadrati l’Uo-

mo Nero attirava le persone mostrando loro

il nuovo set per manicure Sulla sua fronte una grande unghia

piena di sole gli serviva da insegna.

Il vecchio artista aveva raccolto un mucchio di foglie

morte sulle quali il passato e l’avvenire dei dilet-

tanti erano scritti istantaneamente. Un gioco di car-

te cadde dalla sua tasca sparpagliandosi come i


 

petali della rosa divinatoria. Il sette di picche

soltanto restò attaccato al suo abito.

Su una giraffa balorda e vestita di nubi il

buffone apparve. Scuoteva la testa con contentez-

za e si crogiolava al sole. Respirando l’aria fresca

della foresta, un lampo di bontà passò nei suoi occhi

scuri. Ma la bocca fece una smorfia ed il sole

si eclissò.

Le donne nel grande circo si sussur-

ravano a bassa voce:

– L’incidente…

Si udiva muoversi delle ferraglie e gemere delle

corde nel retroscena.

All’orizzonte, l’astro sporse la sua testa malincoli-

Mente da dietro una nuvola.

La fata Morgana dalle trecce dorate seduta su di un

cumulo di foglie e di ramoscelli, appariva avvol-

ta della sua veste di digitali come un grande

pezzo di oro massiccio caduto dal cielo.

Le coccinelle, gli scarabei, le piccole ra-

ne giravano rapidi e vispi attorno

ad una grossa tartaruga imbronciata.


 

In cielo, anche lì festa grande delle nuvole

ilari si arrostivano e giravano serpeggiando

intorno al sole, che arrossiva di piacere in loro

omaggio. Un vento leggero come l’angelus annun-

ciava l’arrivo delle stelle.

All’entrata del circo, Gadifer immerso in

una fantasticheria senza fine non vide l’ombra dell’orso che

si insinuò dietro lui nel retroscena.

Il sindaco di Bar-le-Fol arrivò. La fata Mor-

gana lasciò il suo posto e si pose sul diamante appuntato

sulla cravatta del sindaco.

L’orso bianco suonò le campanelle. Si annunciava

“La danza della luna e dell’ombra”

Su di un tronco d’albero un’estremità di seta verde

si arrampicava verso la cima. Giovane e gracile la luna

salì su di una scala di stelle.

La cavalcata cominciò dapprima lenta

poi rapida e ad ogni evoluzione la folla

entusiasta si dava delle gomitate

che passavano inosservate alla compagnia.

Il successo era grande.

 

 

Per i danzatori era stato preparato un carro in

rame che doveva condurli in tutta la città.

Ebbri di felicità, Luciole e Mirador si guar-

darono spaventati.

Nella grande campana posta all’ingresso del

circo, l’occhi apparve, grande, nero, minaccioso.

All’orizzonte il sole arrancava verso il tramonto.

Una collana di corallo si sparse sul pavimento.

Ma un raggio di gioia passò in tutti gli

occhi alla vista dell’astro addormentato.

Nel retroscena un grande frastuono. Un topo

fuggiva leccandosi tutto un pezzo di corda gli

pendeva dal muso.

Una capretta smarrita fuggiva verso il pozzo.

L’innocente si mise a piangere. Gli occhi febbrili

di Gadifer gli avevano toccato l’anima.

Cantarono insieme:

– È perché ti ho tanto amato

Che sul mio amore tiri il volano

Allo stagno di Santa Cucufa

La ninfea si sfogliò

Non dimenticare


 

 

L’orso bianco per divertire la folla irrequieta, ac-

ciuffò una coppia di coccinelle giocò abilmente con gli

scarabei Una piccola rana gli saltò sugli

occhi fu il suo portafortuna.

La tartaruga si mise a correre.

L’astro furioso precipitava la sua corsa verso il

declino.

– È andata

Sussurarono le donne

– Che cosa?

– L’incidente…

Albanelle la notturna usciva dal lago.

Nel retroscena venivano esaminati le corde ed i

rottami.

– Come è potuto accadere ciò,

chiese il sindaco,

– dove sono i danzatori?

– Signore

disse il vecchio artista

– l’asse di picche vuol dire sfortuna.

È un incidente,

disse l’Uomo Nero

– Ma no,

affermò Matassin.



 

Hanno preparato tutto in anticipo per rovinarci la

festa.

                 e a voce bassa:

                                             La fata Morgana ha dato delle forbici

incantate a Mirador – Guardate dunque – la corda è

rotta – non una goccia di sangue.

       L’orso bianco pose le sue due zampe sulle spalle

del buffone in segno di amicizia.

       Il sindaco si sporse – una nube di polvere

gli saltò agli occhi. L’uomo mansueto voleva

sapere.

−Signore!

         dice il buffone

                                               siamo stanchi

− La vita della compagnia è in pericolo, le forbici in-

cantate possono rivoltarsi contro di noi – fate giustizia.

       La polvere che aveva riempito gli occhi del sindaco

lo fece arrabbiare moltissimo.

−Che essi siano maledetti – condannateli!

e se ne andò con passo pesante ed esitante nella baracca

dell’Orco.

       La porta venne richiusa. Fuori la folla aspettava


 

ansiosamente. Si tirò a sorte, il buffone barò – La

porta si aprì:

−Cittadini: Mirador il danzatore, condannato a morte;

Luciole la strega bandita da tutte le campagne.

       La folla gridava – urlava:

                                                      “Dove?... Quando?...”

− Festa della condanna. In piazza della Chiesa

− di Bar-le-Fol, il 30 agosto,

Gridò l’Orco.

       La fata Morgana legò Luciole e Mirador in

Cime ad ognuna delle sue trecce e se ne andò leggera e

Scontenta con il suo pesante fardello. Essi pendevano come dei secchi in cima alla catena.

 

gridava Gadifer

Giunta alla porta della chiesa, la fata depose la sua

carica ed andò a suonare le campane a martello.

       Nel carro di rame, tutta la compagnia passava

In trionfo.

       Gadifer corse accanto alla fata; Luciole ebbe un

Barlume di speranza.

       Mirador s’avanzò verso l’altare cantando:


 

       -La coppa si è svuotata

E l’ultimo soffio della mia vita

Sale nella voluta d’incenso

Ho posto il mio destino sulle forbici aperte

Un titolo di giornale si è stampato sulla tovaglia

                                    Sulla piazza della Chiesa

La ghigliottina invita le persone alla verità

       A Notre-Dame si prega per le case deserte

                                    Signore!

Il gioco di domino in croce sul mio petto

 

       Sento le forbici fredde

                          che si chiudono sulla mia nuca

 

 


Céline Arnauld, Giravolta, "Dall'UOMO NERO", 3^ parte


[Traduzione di Elisa Cardellini]


 

 

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23 dicembre 2009 3 23 /12 /dicembre /2009 19:31



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III


Dall’UOMO NERO

 

 

Una camera oscura non si vedeva alcuna

finestra Dal buco della serratura un raggio di

sole penetrò timidamente ed andò a posarsi nella

vaschetta dell’acqua benedetta, posta in un angolo della stanza.

La porta si aprì sulla scala: un lato di muro

era stato strappato dalla tempesta un giovane albero

cresceva là, incurante del passato e sorridente al-

l’avvenire.

Si udì il suono di un calesse e dei passi

Energici si avvicinarono dal corridoio lastricato.

Tutto la compagnia si alzò rapidamente ognuno

sistemò la propria tuta e cambiò l’espressione del suo

aspetto.


 

L’orso bianco con un balzo fu alla porta della ter-

razza e rapido prima che gli altri, che cer-

cavano la chiave potessero avvicinarsi passò la sua lingua

nel buco della serratura, la porta grande a-

perta lasciò vedere sull’orizzonte di foreste la lotta

corpo a corpo del sole e delle grandi nubi che

sudavano.

Ci si sistemò su due file. Il grande invitato

apparve sulla soglia della porta e, con uno sguardo dolce,

avvolse gli assistenti.

Era il sindaco di Bar-le-Fol.

Il vecchio artista si fece avanti:

– Signore, siamo accorsi ai vostri ordini.

Tutto è a posto. La festa avrà luogo a La Noue-aux-

Fleurs. Ci sarà di tutto: fuochi d’artificio, bestie

che balleranno la Tarantella con la lune e le stelle.

La fata Morgana ci ha promesso la sua assistenza.

– Ma si è verificato un incidente,

replicò Matassin

abbiamo fatto tutto il possibile per portarvi Lu-

ciole e Mirador che dovevano mimare la danza del sole

e dell’ombra. Ma la povera Luciole è morta.


 

Crediamo che questa volta non potrà più

tornare… Soprattutto con la catastrofe della strada

di Monte-au-ciel! Una lampada elettrica è caduta

sui binari ed il tram è sparito sotto terra

senza che si riesca a ritrovarlo.

– Per non rovinare la festa, dopo aver cercato

a lungo, abbiamo trovato due sostituti.

Un giovane dal passo inoffensivo si avvi-

cinò fece la riverenza, incoraggiato dallo sguardo

benevolente del buffone e dal battere me-

laconico delle mascelle dell’orso.

Dietro lui veniva una connetta, timida

da principio Ma abbagliata da un raggio che

partiva dall’anello signorile del sindaco, assunse

l’atteggiamento dell’elegante fata Morgana, che

aveva studiato a lungo. Questo le dava l’aria

di una regina di fiera ed era quanto il

sindaco auspicava.

Sull’albero dove era stata appesa una grande

palla da giardino si verificò un evento. Un

usignolo credendosi nella foresta si mise a cantare.

L’Uomo Nero trasalì.


 

Nello specchio sferico il vecchio artista vide

un bagliore cominciava ad oscurarsi

il cielo chiudeva la sua palpebra.

Una ventata rapida passò tra i rami del-

l’albero.

Il sindaco si voltò dalla parte della porta:

Cosa succede?

qualcuno muore qui vicino –non ne udite

il rantolo?

Nell’astro l’occhio si dilatò

Sull’albero il fruscio cessò. L’ultimo raggio

moriva nella vaschetta d’acqua benedetta.

Delle perle brillavano sulle mattonelle.

Sdraiato sull’erba, la testa circondata da una

massa di coccinelle e di scarabei d’oro, Mirador

inviava le sue ultime invettive all’astro.

La sua voce saliva al cielo, forte, minacciante,

trasformandosi lassù in nuvole.

Dall’Oriente un’ombra ancora invisibile

si avvicinava a poco a poco.

Il sindaco piego il ginocchio per vedere meglio il poeta.


 

Signore,

cantò Mirador

Sono il figlio di Albanelle la notturna, colei che si tuffa

nel lago all’alba ad aspettare la notte

Colei che con i suoi incantesimi dissecca il lavatoio e

dissipa i venti

Un giorno il sole la rapì e restai solo

Una lampada elettrica discese su Luciole e

arse sui binari

Giunsero i pompieri –

“bisogna andare a cercare il medico, dissero –

quello che guarisce le grandi fiamme

Sono tornato alla Casa del Sentiero –

Il pozzo era secco

Tutto intorno le caprette danzavano

Sulla vera del pozzo

un anello

La luna è caduta in acqua

Salivo di ramo in ramo per arrivare a

Luciole                Ma quando il sole apparve – un

raggio mi precipitò in basso.

Un’ombra  che camminava si mostrò distinta-

mente.

 


 

Nella tela del ragno una vita espirava.

Il sindaco si volse verso gli assistenti

Cos’è dunque – un pazzo – un malato – un poeta

forse?

Non tormentatevi, è un malato,

disse Matassin

No, un pazzo,

disse l’Uomo Nero.

Errore, è un poeta,

disse rabbiosamente Gadifer.

L’orso bianco catturò una vespa con la sua zampa,

la leccò e la gettò con destrezza sul volto di

Gadifer.

L’Orco succhiò la puntura.

L’uomo inoffensivo voleva sapere. La donna

Gridò:

Sono la Regina!

Qualcuno tirava Gadifer per la manica egli

oppose resistenza.

Partiamo,

urlava il buffone Matassin.

Signore – Luciole arde viva ed anche

io ardo – Aiutatemi!

Implorò Mirador.


 

Una grande luce si produsse nella camera

La sfera-specchio discese dondolando

All’orizzonte il sole l’eterno innamorato, ap-

pariva con il suo largo sorriso calmo e febbrile.

L’usignolo volò verso di lui su di un raggio. Mira-

dor si sollevò.

Ah! maledetta palla.

– Ssst…    la Fata…    qui...  eccola…

La tela di ragno si lacerò: una mosca morta

cadde ai piedi dell’Orco. L’Uomo Nero si

specchio nelle unghie fini e allungate come dei

chicchi di grano della fata.

Nella grossa sfera l’occhio girava spaventato.

L’usignolo bruciava e rispedito alla terra si mise

a cantare la ballata dell’inverno. La fata Morgana

e il sindaco scacciarono una nuvola che li accecava.

Gadifer si avvicinò alla fata e, a bassa voce:

– Ho dato a Luciole la scatola dall’anima di metallo che

mi hai dato – la desiderava così tanto.

Mi resta il Pierrot bianco – ma se Luciole è

morte, la butto nel pozzo – che geli pure, mentre

lei brucia!


 

La fata alzò le braccia verso il cielo. L’astro furioso

avanzò. La grande palla cadde staccandosi

dai rami sulle braccia incrociate della fata.

Due semisfere, l’uccello ed il raggio presero il

volo.

Sul ramo più alto apparve l’atleta.

Luciole avvolta in un mantello di fuoco ripeteva

il suo ruolo per la festa prossima e cantava:

Ho costruito un castello sull’orlo di un baratro

E la mia vita in sospeso – in un eterno miraggio –

scacciava i fantasmi.

La speranza scende dalle scale e l’aviatore sale

verso il sole.

Datemi il sacro velo –

E la palla risplendente

Che dà la febbre – e fa dormire –

e ridere –

Ho visto i tuoi occhi febbricitanti –

e ti odio

La tua vita è sospesa sull’orlo del baratro.


 

Nel calesse trainato da raggi,

Mirador e Luciole se ne andarono alla Valle dei

Fiori ad esercitarsi a girare sui cavalli di

legno.

Tutto la compagnia seguiva tremante di freddo. In

cielo l’astro si calmava.

In fondo alla strada

un occhio nero

si apriva 

 


 

Céline Arnauld, Giravolta, 1919, "Condanna", 4^ parte.






[Traduzione di Elisa Cardellini]

 


LINK all'opera originale:

Tournevire

 

 

 

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7 dicembre 2009 1 07 /12 /dicembre /2009 13:00
Al Tempo dell'Occhio Cacodilato

Panorama bio-icono-bibliografico dei sessanta firmatari di L'Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921)







Un'ambizione smisurata

 

Loft in cui visse Erik Satie ad Arcueil © Archives de la Fondation Erik Satie.
I tuoi stati d'animo, Erik



Satie fotografato da Poulenc (anni 20)


L’assente degli assenti di L’Œil Cacodylate [L'Occhio Cacodilato], è Erik Satie, che eppure fu invitato da Marthe Chenal ai festeggiamenti di fine anno del 1921 al 94 di rue de Courcelles. Satie invia a Marthe Chenal, questo 31 dicembre 1921, una posta pneumatica [1] per informarla che non potrà contare su di lui per quella sera. Indisposizione diplomatica, vero  malessere? Mistero. Si immagina facilmente Satie mentre fa il giro delle birrerie per festeggiare in anticipo l'anno nuovo. Ma si immagina altrettanto bene mood indigo, che decide di passare solo quest'ultimo giorno dell'anno nella sua piccola camera di Arceuil, dopo molti bicchieri sorseggiati in una grande solitudine.

Specialista di Satie, Ornella Volta ha pubblicato nel 2000 la
Correspondance presque complète [Corrispondenza quasi completa] [2] del compositore (da dove è tratta questa lettera di Satie a Chenal), in tutto 1234 pagine- appendici comprese- ben fatte, identiche a ciò che ci offre abitualmente Ornella Volta, che firma quest'anno un nuovo contributo alla rivista Etant Donné Marcel Duchamp. [3]. Leggiamo ed ascoltiamo Satie: il secondo "Madame" della sua lettera fa meravigliosamente eco ai magniloquanti "Madame" che a suo tempo Jarry rivolgeva a Rachilde, in uno stato simile a quello in cui Satie si trova in questo 31 dicembre 1921: Arcueil-Cachan, 31 dicembre 1931. Madame. Devo confessarvi che, posto "fuori combattimento" in seguito ad un soggiorno, questo pomeriggio, alla "Rotonde", mi vedo obbligato ad abbandonare ogni idea di veglione. Il mio stato, senza essere grave, necessita di riposo, la calma, una specie di ritiro perché possa meditare tranquillamente sul mio caso. Perdonatemi, Madame; dite, vi prego, mille cose da parte mia al buon Picabia & vogliate vedere in me il vostro devoto e servitore Erik Satie.

[1] Lo stesso giorno, Satie indirizza una parola al conte Etienne de Beaumont di cui declina l'invito per il veglione. I termini del rifiuto sono simili allo penumatico che egli indirizza a Marthe Chenal: "[...] sono già "fuori concorso" [...] ho fatto [...] un giro alla "Rotonde" che mi ha montato la testa...".

[2] Fayard/Imec. Vedere anche, di Ornella Volta, gli indispensabili
Erik Satie, Ecrits,Champ Libre, 1977; La banlieue d’Erik Satie, Macadam & Cie, coll. Lumières de la Ville, 1999 ed Erik Satie, Hazan, coll. Lumières, 1997.

[3]
Marcel Duchamp et Erik Satie, même: post-scriptum », Etant Donné Marcel Duchamp n° 6.
Alcuni chiarimenti


Sostenevo in una nota recente, che il danno subito da L’Œil Cacodylate ebbe forse luogo durante un veglione del 31 dicembre 1921 a casa di Marthe Chenal. Esiste tuttavia quest'altra riproduzione [1] del quadro, sul quale figurano tutti i contributi (compresi quello di Fatty, la fotografia di Man Ray- Femme à la cigarette, circa 1920 – e le due fotografie della testa di Duchamps) ma prima della "macchia" di cui ho già parlato in precedenza. Secondo Michel Sanouillet [2], vi furono quattro sedute di firme: a casa di Picabia a Neully, prima dell'esposizione di L’Œil Cacodylate al Salone d’Autunno (del 1° novembre 1921 au 20 dicembre 1921, Grand Palais); dopo il Salone d’Autunno; prima del veglione Cacodilato, sempre a casa di Picabia; a casa di Marthe Chenal, il 31 dicembre 1921 durante il veglione Cacodilato; di nuovo a casa di Picabia, dopo il veglione Cacodilato e prima della cessione del quadro al Bœuf sur le Toit (1923).

 

Da quanto detto, due ipotesi sono possibili: 1) questa fotografia data del 31 dicembre 1921 e fu fatta prima della "macchia"; 2) il danno ebbe luogo dopo il veglione Cacodilato, a casa di Marthe Chenal, a casa di Picabia oppure tra le mura del Bœuf sur le Toit, o ancora nel corso del trasporto del quadro al Bœuf sur le Toit.

 

Scarto l'ipotesi di un danno accaduto nel 1967 (anno in cui il Museo Nazionale d'Arte Moderna acquista il quadro) perché nell'opuscolo in omaggio a Picabia (Francis Picabia 1879-1954) pubblicato nell'aprile del 1955 dalla rivista Orbes i danni sono già visibili.




NOTE

 

 

[1] In Histoire de la peinture surréaliste, Marcel Jean,con la collaborazione di Arpad Mezei, Seuil, 1959, p. 34. La riproduzione è di cattiva qualità (la si ritrova soprattutto in Dada surréalisme, Patrick Waldberg, Michel Sanouillet, Robert Lebel, Rive Gauche Production, 1981, p. 301) ma tutte le firme sono all'appuntamento.


[2] In Francis Picabia et 391, Eric Losfeld, 1966, p. 144, nota 4.


Sarà perché ti amo

Paul Dermée (1886-1951) e sua moglie Céline Arnauld (1892-1952)

 

 

 

Fabrice Lefaix


[Traduzione di Elisa Cardellini]


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Une ambition démesurée

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22 novembre 2009 7 22 /11 /novembre /2009 10:29





 
Blog della Fondazione ça ira!



Paul Neuhuys: André Breton è anche un teorico del dadaismo (1921)




André Breton è anche un teorico del dadaismo. Per lui Dada risponde ad un bisogno di libertà. Insorge contro ogni rassegnazione. Ogni convinzione sembra essere per lui una forma di rinuncia. Esplorando l'inconscio è giunto alle constatazioni più sconcertanti. Così dirà: "L'innocenza non è tollerata che sotto la sua forma passiva".

 

Virtù nella vergine, può condurre al crimine l'assassino. André Breton non arriva più a capire. E non si sente più a suo agio che nell'atmosfera annullante creata da Dada: "Cosa è bello, brutto, grande, forte, debole, non lo so, non lo so. Cosa sono Charpentier, Renan, Foch, non lo so, non lo so, non lo so".

 

Les Champs magnétiques scritti in collaborazione con Philippe Soupault sono a questo proposito un libro singolare. Malgrado la non coordinazione radicale delle idee, Les Champs magnétiques lasciano un'impressione generale che non lascia alcun dubbio. André Breton non si sente più attratto da nulla. Le parole sono arrugginite e le cose hanno perso su di lui ogni potere di attrazione. Si rappresenta il mondo come un "terreno vago". Non ha più appetito per i "cibi marci" che gli offre la vita. L'abitudine lo fa addormentare. È stanco di considerare l'universo secondo le false categorie e si rifugia nell'assurdo.

 

Philippe Soupaultcerca di affrancarsi dalle tre unità di numero, spazio e tempo, ma si sente prigioniero tra i quattro punti cardinali. Intitola la sua raccolta di poesie Rose des vents. tende a questa ubicuità lirica alla quale tende l'orfismo di Apollinaire. Facendo girare la rosa dei venti sul suo asse Soupault disdegna la concezione dell'universo così come gliela infligge la materia grigia del suo cervello. Per risolvere tutte le opposizioni si rivolge a Dada.

 

Le mie idee come dei microbi

danzano sulle mie meningi

al ritmo dell'esasperante pendolo

un colpo di pistola sarebbe una così dolce melodia

 

Vuole uscire fuori da se. Sbarazzarsi del determinismo. Scala gli orizzonti. Ho distrutto le mie idee immobili, dice. Le scoperte moderne gli lasciano intravedere tutte le possibilità metafisiche. La torre Eiffel lancia i suoi raggiai quattro angoli del mondo. L'idea di spazio è un'illusione che l amateria impone ai nostri sensi. Tutto si muove su uno stesso piano. Si persuade che il Gaurisankar sia giustapposto a Notre-Dame. Si apre simultaneamente a tutte le sensazioni.

 

Le mille interpretazioni di cui le parole sono suscettibili si incontrano nel suo spirito a proposito di una volgare insegna:

 

TRASLOCHI IN TUTTI I PAESI

 

Ecco, credo, come bisogna comprendere ciò che si chiama la burla dada.

 


Paul NEUHUYS


[Traduzione di Elisa Cardellini]

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Paul Neuhuys : André Breton est aussi un théoricien du dadaïsme (1921)






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14 novembre 2009 6 14 /11 /novembre /2009 08:35
Al Tempo dell'Occhio Cacodilato

Panorama bio-icono-bibliografico dei sessanta firmatari di L'Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921)


 

Basterebbe un nonnulla

 

Georges Ribemont Dessaignes e Man Ray

Quasi quattro decenni dopo "l'età dell'oro di Dada" (l'espressione rileva un certo senso della storia oppure una concenzione facile da adottare?), Georges Ribemont-Dessaignes, redigendo Déjà jadis [Di già un tempo] [1] conteneva un briciolo di nostalgia. Déjà jadis, o Dada blues. Il tempo passa in fretta ed il "un tempo" ha fatto presto a sostituirsi al c'era una volta. Cosa resta di queste amicizie, di queste figure del passato, di questi conflitti, di queste riconciliazioni? Degli archivi conseguenti, repertoriati in banche dati, dalle tracce a volte infime, la storia non tratterà queste figure con gli stessi riguardi.

Fare parlare i morti, scriveva Michelet. Risvegliare i fantasmi, scriveva Georges Ribemont Dessaignes. L'Occhio Cacodilato non ci dà il senso di una "bella epoca dada": all'inizio del 1922, le carte soni in parte distribuite, Picabia si è già separato dal movimento e, presto, André Breton, [2], grande assente di L'Occhio Cacodilato, si occuperà di banca.

Come vedere, oggi, L'Occhio Cacodilato? come un quaderno di testo firmato alla fine dell'anno scolastico dai compagni o come un registro di condoglianze? Ho letto da qualche parte una commovente similitudine con il gesso di un arto rotto su cui gli amici hanno apposto la loro firma. L'immagine è bella, si pensa alal frattura che presto sarà risanata! Ma
Georges Ribemont Dessaignes si riprendeva, sapeva che sarebbe bastato un nonnulla perché la storia, subito, si facesse intempestiva.

"Sì, Dada potrebbe riapparire. Ma noi, cosa potremmo fare? Avremmo un bel da fare a mettere idei sali sotto il naso di questi fantasmi, resterebbero pur sempre dei fantasmi. Per giungere ad un risultato, bisognerebbe dimenticare il passato. Inventare un movimento che farebbe esplodere a modo suo l'epoca attuale. E noi, saremmo allo stesso modo influenzati da fantasmi. Avremmo un bel da fare, invece di far loro respirare dei sali, offrire loro del gardenal o uno dei nostri famosi tranquillanti affinché rimanessero buoni al loro posto, basterebbe uno dei loro occhiolini per turbarci".

[1] Paris, René Julliard, "Les Lettres Nouvelles", 1958. Ristampato nel 1973 in 10/18.

[2] "Non credo alla prossima creazione di un luogo comune surrealista", scriveva Breton nel 1924 nel suo Manifesto. Ma il luogo comune è là, il surrealismo si è, in un certo modo, fatto acchiappare. Quanto tempo bisognerà aspettare prima che un giornalista commenti un qualunque fatto diverso concludendo: "È del tutto dada"?



Fabrice Lefaix


[Traduzione di Elisa Cardellini]

 

 

 

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Il suffirait de presque rien

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12 novembre 2009 4 12 /11 /novembre /2009 10:43
Al Tempo dell'Occhio Cacodilato

Panorama bio-icono-bibliografico dei sessanta firmatari di L'Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921)







Il gioco delle quattro differenze



Nel 1964, Michel Sanouillet fa apparire presso le Editions L’Œil du temps, una monografia dedicata a Francis Picabia. Vi compare, a pagina 37, questa riproduzione in bianco e nero di L’Œil Cacodylate, (sostenevo precedentemente che si trattava di una foto di Man Ray ma non ne sono più del tutto certo. In questa riproduzione, anteriore a quella a cui rinvio sempre, manca una sola firma, quella dell'attore americano Roscoe "Fatty" Arbuckle [3]. L'esecrabile Maurice Sachs* nel suo molto incerto  Au temps du Bœuf sur le Toit [Al tempo del  Bœuf sur le Toit] notifica la presenza dell'attore a Parigi:

 

1922 (taccuino di Blaise Alias)

Il grosso e coraggioso Fatty che era venuto a fare il generoso sulla tomba del Milite Ignoto si è ficcato in un terribile scandalo a Hollywood. Ha ucciso una giovane rovesciandola sottopsopra per divertimento e appoggiatlala sul pavimento sulla testa versandogle del ghiaccio dove gli uomini non si presentano generalmente che con ardore. Fatty sta per essere arrestato ed i suoi film proibiti in tutti gli Stati Uniti.

 

Difficile, molto difficile raccogliere informazioni esatte sulla presenza, all'inizio del 1922, di Fatty a Parigi. In quali condizioni l'attore ha apposto la sua firma? In presenza di Picabia? Bisognerebbe poter effettuare delle ricerche alla BNF. Sia quel che sia, Fatty non avrebbe né violentato né ucciso la bellissima Virginia Rappe nel settembre 1922 (la starlette morirà in realtà di peritonite) L'attore sarà sgravato da ogni dubbio e prosciolto per tre volte al termine di un processo che, rilanciato dalla stampa scandalsitica, causerà il suo affondamento professionale.

 

Questa riproduzione, dunque, mostra L'Occhio prima della "caduta", ma anche prima dei due collages rappresentanti il cranio di Duchamp [1] tosato a forma di cometa ed interamente rasato. Il primo collage è stato realizzato a partire da una foto, raramente riprodotta, di Man Ray (1921) e il secondo a partire da una foto datata 1919, epoca in cui Duchamp risiede a Buenos Aires e dove si fa interamente rasare la testa, come lo testimonia una lettera che egli invia a Jean Crotti: "[…] I lost my hair a while ago but an energetic treatment by Yvonne and my close-shaven cut seems to have saved it for a while.**

 

Questa riproduzione permette anche di leggere il commento, quasi cancellato, di Man Ray: "regista di pessimi film" [4]. Sei mesi prima, nel giugno del 1921, Man Ray firmava anche una famosa lettera indirizzata a Tristan Tzara ***. Infine, [2], si nota il collage parziale di una fotografia oggi molto nota, di Man Ray.






* Vedere l'eccellente testo di Thomas Clerc, Maurice Sachs le désœuvré, apparso recentemente presso le edizioni Allia.

 

** Vedere Ephemerides on and about Marcel Duchamp and Rrose Sélavy, J. Gough-Cooper et J. Caumont, Thames and Hudson, 1993.

 

*** L'intestazione di questa lettera è ornata con un fotogramma rappresentante la "baronessa" Elsa von Freytag Loringhoven, nuda, il pube rasato, in una posa delle più suggestive. Senza dubbio tratto dal film (perduto o distrutto) che Man Ray e Duchamp girarono nel 1921, questo documento è la sola traccia di questa realizzazione nel corso della quale la "baronessa" si rasò davanti all'obiettivo dei due compari.

 

 

Fabrice Lefaix 


[Traduzione di Elisa Cardellini]



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Le jeu des quatre différences
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10 novembre 2009 2 10 /11 /novembre /2009 17:15

 
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Paul Neuhuys: Tristan Tzara capofila del gruppo dada (1921)

eluard01

 

È Tristan Tzara che bisogna citare del gruppo dada di cui il movimento riveste un carattere internazionale. Dada non persegue nessuna forma artistica. Dada rivendica l'idiozia pura. Non dimentichiamo che i dada hanno spogliato le parole del loro carattere usuale e quest'ultima dunque non potrebbe avere un senso peggiorativo. Ciò significa che Dada non procede per le solite strade della ragione. Dada è un disorientamento radicale del senso comune. A questo riguardo i dada dispiegano una vera ingegnosità nell'essere idioti. Essi evitano con cura tuuto ciò che non è l'inversione dei valori. Liberarsi di ogni acquisizione intellettuale allo scopo di non essere più ingannati da se stessi, questo è l'oggetto che persegue Dada. Per rovesciare il nostro modo di vedere, Dada modifica il nostro modo di parlare. Vuole sciogliere le parole agglutinate dall'uso e che si attraggano tra di loro come la limatura aderisce alla calamità. Tristan Tzara in uno dei suoi manifesti ci prescrive la seguente divertente ricetta:


 

Per fare una poesia dadaista

Prendete un giornale

Prendete delle forbici

Scegliete in un giornale un articolo avente la lunghezza che intendete dare alla vostra poesia

Ritagliate l'articolo

Ritagliate in seguito con cura ognuna delle parole che formano quest'articolo e mettetelo in un sacchetto

Mescolate con calma

Estraete in seguito ogni ritaglio uno dopo l'altro nell'ordine in cui le avete estratte

Ricopiate con cura

La poesia vi somiglierà

Ed ecco finalmente uno scrittore infinitamente originale e di una sensibilità affascinante, ancora incompreso dal volgo.

 

Attiro la vostra attenzione su questa frase: "La poesia vi somiglierà". Tristan Tzara ha ragione. Con questo procedimento le parole avranno acquisito un valore intrinseco. Nuovi rapporti si delineeranno tra di loro. Avrete creato il vuoto e scoprirete più facilmente la parte di inconscio che determina le vostre azioni. Inoltre, tutti gli scrittori che hanno voluto ricrearsi un vocabolario secondo la loro intima visione del mondo hanno praticato mentalmente questa operazione.

 

Ma Dada ha un significato più generale. Non vi è nessun campo in cui non si estenda la sua influenza negativa. In realtà Dada è uno stato di spirito assurdo a cui nulla sfugge. "I veri dada sono contro Dada" e, infatti, chi non trotta sul suo dada all'ora presente? Francofilia, germanofobia non sono che delle variazioni di Dada allo stato positivo. Dada ha sperimentato tutto e non nulla ha potuto soddisfare il suo bisogno di diversità.

 

Dada è un microbo vergine

Dada è contro il carovita

Dada

Società anonima per lo sfruttamento delle idee

Dada ha 391 atteggiamenti e colori diversi secondo il sesso del presidente.

Si trasforma-afferma- sostiene allo stesso tempo il contrario- senza importanza- grida- pesca con la lenza

Dada è il camaleonte del cambiamento rapido ed interessato

Dada è contro il futuro. Dada è morte. Dada è idiota.

Viva Dada. Dada non è una scuola letteraria urla

 

 

Tristan Tzara.

 


 

L'idiozia pura è la panacea universale. Gli atti ragionevoli non procurano che degli inconvenienti. È ciò che permette a Tristan Tzara di concludere: "Sottoscrivete Dada il solo prestito che non apporta nulla".



Paul NEUHUYS

 

 


  Un mio video su Tristan Tzara dal mio canale You Tube

 


 

 

[Traduzione di Elisa Cardellini]

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Presentazione

  • : DADA 100
  • : In attesa delle giuste celebrazioni che vi saranno nel mondo colto per il primo centenario del grande movimento Dada di arte totale, intendiamo parlarne con un grande anticipo di modo che giungendo la fatidica data molti non siano presi alla sprovvista grazie al mio blog.
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  • Max
  • Amo l'arte in generale, di ogni tempo e cultura storica, soprattutto le avanguardie artistiche e le figure più originali ed eterodosse.
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