IV
Condanna
Sui sentieri e sulle grandi strade della
Valle dei fiori, gli invitati si affrettavano per
giungere in tempo alla festa che si dava in ono-
re di un poeta morto la settimana precedente nella
indifferenza generale.
Il sindaco di Bar-le-Fol, colto letterato, presiedeva.
Il programma era vario – delle corse – degli
atleti – dei giullari, ecc…
Un grande circo innalzato in mezzo alla foresta
faceva pensare ad un villaggio negro.
Sul suo tetto un arlecchino con casco di pilota
arringava la folla. I cavalli di legno giravano
malinconicamente come un prologo.
L’innocente del villaggio si mise a cantare quanto
conosceva di una vecchia romanza che il grande uomo
morto nel paese gli aveva insegnato un giorno in cui egli
torturava una giovane rondine caduta dal nido.
Ma l’orso bianco adorno di un grande collare
di campanule annunciò il suo arrivo. Investì l’in-
nocente che si trovava sulla sua strada, la romanza cessò:
l’eco soffocò un lamento nel lontano sottobosco.
L’Orco arrampicato su un albero cercava l’equilibrio e rosic-
chiava le giovani foglie come insalata.
Di fronte a lui su un pino uno scoiattolo manipolava
con destrezza le nocciole.
In una baracca fatta di tronchi squadrati l’Uo-
mo Nero attirava le persone mostrando loro
il nuovo set per manicure – Sulla sua fronte una grande unghia
piena di sole gli serviva da insegna.
Il vecchio artista aveva raccolto un mucchio di foglie
morte sulle quali il passato e l’avvenire dei dilet-
tanti erano scritti istantaneamente. Un gioco di car-
te cadde dalla sua tasca sparpagliandosi come i
petali della rosa divinatoria. Il sette di picche
soltanto restò attaccato al suo abito.
Su una giraffa balorda e vestita di nubi il
buffone apparve. Scuoteva la testa con contentez-
za e si crogiolava al sole. Respirando l’aria fresca
della foresta, un lampo di bontà passò nei suoi occhi
scuri. Ma la bocca fece una smorfia ed il sole
si eclissò.
Le donne nel grande circo si sussur-
ravano a bassa voce:
– L’incidente…
Si udiva muoversi delle ferraglie e gemere delle
corde nel retroscena.
All’orizzonte, l’astro sporse la sua testa malincoli-
Mente da dietro una nuvola.
La fata Morgana dalle trecce dorate seduta su di un
cumulo di foglie e di ramoscelli, appariva avvol-
ta della sua veste di digitali come un grande
pezzo di oro massiccio caduto dal cielo.
Le coccinelle, gli scarabei, le piccole ra-
ne giravano rapidi e vispi attorno
ad una grossa tartaruga imbronciata.
In cielo, anche lì festa grande – delle nuvole
ilari si arrostivano e giravano serpeggiando
intorno al sole, che arrossiva di piacere in loro
omaggio. Un vento leggero come l’angelus annun-
ciava l’arrivo delle stelle.
All’entrata del circo, Gadifer immerso in
una fantasticheria senza fine non vide l’ombra dell’orso che
si insinuò dietro lui nel retroscena.
Il sindaco di Bar-le-Fol arrivò. La fata Mor-
gana lasciò il suo posto e si pose sul diamante appuntato
sulla cravatta del sindaco.
L’orso bianco suonò le campanelle. Si annunciava
“La danza della luna e dell’ombra”
Su di un tronco d’albero un’estremità di seta verde
si arrampicava verso la cima. Giovane e gracile la luna
salì su di una scala di stelle.
La cavalcata cominciò – dapprima lenta –
poi rapida – e ad ogni evoluzione la folla
entusiasta si dava delle gomitate
che passavano inosservate alla compagnia.
Il successo era grande.
Per i danzatori era stato preparato un carro in
rame che doveva condurli in tutta la città.
Ebbri di felicità, Luciole e Mirador si guar-
darono spaventati.
Nella grande campana posta all’ingresso del
circo, l’occhi apparve, grande, nero, minaccioso.
All’orizzonte il sole arrancava verso il tramonto.
Una collana di corallo si sparse sul pavimento.
Ma un raggio di gioia passò in tutti gli
occhi alla vista dell’astro addormentato.
Nel retroscena un grande frastuono. Un topo
fuggiva leccandosi tutto – un pezzo di corda gli
pendeva dal muso.
Una capretta smarrita fuggiva verso il pozzo.
L’innocente si mise a piangere. Gli occhi febbrili
di Gadifer gli avevano toccato l’anima.
Cantarono insieme:
– È perché ti ho tanto amato
Che sul mio amore tiri il volano
Allo stagno di Santa Cucufa
La ninfea si sfogliò
Non dimenticare
L’orso bianco per divertire la folla irrequieta, ac-
ciuffò una coppia di coccinelle – giocò abilmente con gli
scarabei – Una piccola rana gli saltò sugli
occhi – fu il suo portafortuna.
La tartaruga si mise a correre.
L’astro furioso precipitava la sua corsa verso il
declino.
– È andata
Sussurarono le donne
– Che cosa?
– L’incidente…
Albanelle la notturna usciva dal lago.
Nel retroscena venivano esaminati le corde ed i
rottami.
– Come è potuto accadere ciò,
chiese il sindaco,
– dove sono i danzatori?
– Signore
disse il vecchio artista
– l’asse di picche vuol dire sfortuna.
È un incidente,
disse l’Uomo Nero
– Ma no,
affermò Matassin.
Hanno preparato tutto in anticipo per rovinarci la
festa.
e a voce bassa:
La fata Morgana ha dato delle forbici
incantate a Mirador – Guardate dunque – la corda è
rotta – non una goccia di sangue.
L’orso bianco pose le sue due zampe sulle spalle
del buffone in segno di amicizia.
Il sindaco si sporse – una nube di polvere
gli saltò agli occhi. L’uomo mansueto voleva
sapere.
−Signore!
dice il buffone
siamo stanchi
− La vita della compagnia è in pericolo, le forbici in-
cantate possono rivoltarsi contro di noi – fate giustizia.
La polvere che aveva riempito gli occhi del sindaco
lo fece arrabbiare moltissimo.
−Che essi siano maledetti – condannateli!
e se ne andò con passo pesante ed esitante nella baracca
dell’Orco.
La porta venne richiusa. Fuori la folla aspettava
ansiosamente. Si tirò a sorte, il buffone barò – La
porta si aprì:
−Cittadini: Mirador il danzatore, condannato a morte;
Luciole la strega bandita da tutte le campagne.
La folla gridava – urlava:
“Dove?... Quando?...”
− Festa della condanna. In piazza della Chiesa
− di Bar-le-Fol, il 30 agosto,
Gridò l’Orco.
La fata Morgana legò Luciole e Mirador in
Cime ad ognuna delle sue trecce e se ne andò leggera e
Scontenta con il suo pesante fardello. Essi pendevano come dei secchi in cima alla catena.
gridava Gadifer
Giunta alla porta della chiesa, la fata depose la sua
carica ed andò a suonare le campane a martello.
Nel carro di rame, tutta la compagnia passava
In trionfo.
Gadifer corse accanto alla fata; Luciole ebbe un
Barlume di speranza.
Mirador s’avanzò verso l’altare cantando:
-La coppa si è svuotata
E l’ultimo soffio della mia vita
Sale nella voluta d’incenso
Ho posto il mio destino sulle forbici aperte
Un titolo di giornale si è stampato sulla tovaglia
Sulla piazza della Chiesa
La ghigliottina invita le persone alla verità
A Notre-Dame si prega per le case deserte
Signore!
Il gioco di domino in croce sul mio petto
Sento le forbici fredde
che si chiudono sulla mia nuca
Céline Arnauld, Giravolta, "Dall'UOMO NERO", 3^ parte
[Traduzione di Elisa Cardellini]