di Georges-Henri Dumont
Quando si schiude il 1920, le musiche da ballo e le gioie della liberazione sono belle e bene dimenticate. Il Belgio ha terminato la guerra in uno stato di profonda devastazione. Certo, ha perso, sui campi di battaglia, meno soldati degli altri belligeranti: circa 60.000, cioè il 2% dei suoi effettivi contro il 7% della Francia. Ma, indebolita da quattro anni di privazione, la popolazione ha resistito male all'epidemia dell'influenza spagnola che ha sconvolto l'Europa. In quanto ai danni diretti di guerra, essi si aggirano all'incirca ad un quinto del patrimonio nazionale. L'illusione persiste che sarà la Germania a pagare. Il franco è svalutato ed i salari salgono soltanto perché la vita rincara. Al contempo più lucido e più pessimista degli uomini politici che, dopo un breve periodo di sacra unione, hanno ritrovato le loro abitudini, il re Alberto I scrive; "Vi sono 300.000 disoccupati, scioperi dappertutto, una grande preparazione negli ambienti anarchici ed anche i ragazzi di città sognano di eguagliare i bolscevichi i cui grandi profeti annunciano da due anni la loro caduta imminente ma che si mantiene sempre e sembra rafforzarsi".
Durante questo periodo- e già prima dell'armistizio- molti autori scrivono dei racconti di guerra. Le opere di Maurice Gauchez, Max Deauville, Robert Vivier, Martial Lekeux, Lucien Christophe, Constant Burniaux, non hanno l'intensità accusatrice di Il Fuoco di Henri Barbusse, si tengo alla stessa distanza dal pacifismo deluso e dal lirismo eroico. Tuttavia alcuni giovani di Anversa che hanno venti anni all'epoca non si curano di questa letteratura di circostanza e, più ancora, del nazionalismo che la sottende. La loro intenzione era di pubblicare una rivista con il titolo di Momus, il dio degli scherzi, ma constatando rapidamente che le loro concezioni divergevano sui contenuti e nel tono, si separarono in due gruppio. Amichevolmente, sembra. Nell'agosto 1919, Roger Avermaete lancia, la rivista Lumière.
In quel momento, il poeta Paul Neuhuys, nato ad Anversa nel 1897, risiede a Parigi dove ha seguito i corsi che la Sorbona riserva agli studenti stranieri. Ha appena ottenuto un diploma di fantasia, firmato da tutti i suoi professori ed il rettore Henri Poincaré, quando riceve la visita di Georges Manier. Questo vecchio amico dell'Ateneo di Anversa lo convince facilmente di tornare in città per unirsi al gruppo dissidente Ça ira!
Sono per ora sei: Maurice Van Essche, il primogenito, Georges Marlier, Willy Koninckx, Paul Neuhuys, Henri Lothaire (Henri Alexander) e Paul Manthy (Henri Nevens). Tengono le loro riunioni in casa di Maurice Van Essche, rue des Babillardes, sulla parte posteriore di un edificio composto per la maggior parte di studi di pittori. Il primo numero di Ça ira! appare nell'aprile del 1920 con una impaginazione molto classica con una copertina di Floris Jespers, rappresentante i grandi magazzini. Maurice Van Essche firma l'editoriale. "Piegati sotto il giogo di un militarismo ingannevole e beffardo", egli scrive,"ingannati dalle grida insidiose di un capitalismo avido di profitti, gli uomini di ogni dove si sono contrapposti a lungo gli uni contro gli altri. Ma oggi hanno avuto paura nell'aver visto le loro mani rosse del sangue altrui. Hanno visto i capibranco rientrare a casa loro con la bisaccia piena e le mani bianche. Hanno rabbrividito nell'aver aiutato, senza volerlo, ma comunque aiutato, ad accumulare tutte queste rovine. Ed hanno detto: no! Hanno anche detto: tutto ciò deve finire!".
In questo stesso numero, Paul Manthy [1] inizia il commento ad un opera del pastore olandese H. W. Ph. E. van den Bergh van Eysinga Revolutionnaire cultuur. Lo prosegue nel numero di maggio. Dopo una citazione dell'autore, secondo cui la nuova società sarà "een communistische gemeenschap zonder rechtbank, zonder soldateska, zonder tirannie", Paul Manthy scopre le sue armi: "La rivoluzione non si compirà da sé. Benché il comunismo sia la prosecusione logica del capitalismo, la semplice evoluzione non può portare alla sua fondazione. La forza d'inerzia deve essere vinte. Bisogna passare agli atti. Questi atti sono: l'uso della potenza collettiva delle masse operaie. Desideriamo tutti, come l'autore di Revolutionnaire cultuur che gli spargimenti di sangue ci siano risparmiati. Siamo contro l'insurrezione sanguinaria in linea di principio. Ma se la realtà ci obbliga, se la borghesia invia contro le truppe proletarie le sue armate (ed essa lo farà, perché vorrà, e lo comprendiamo bene, mantenere la propria autorità; ovunque un'armata rossa si sia formata delle armate bianche le vennero opposte), se il capitalismo allinea i suoi cannoni ed i suoi carrarmati e le squadriglie dei suoi aeroplani e tenta di disperdere con le mitragliatrici poste agli angoli delle strade, i ranghi serrati dell'Armata della rivoluzione, allora, provocatore avendo creata la rivolta sanguinaria, la combatteremo con le armi, sino alla vittoria. Perché la vittoria è certa".
L'intonazione è data e, nel numero di giugno, Paul Manthy, nella rubrica Lieux communs [Luoghi comuni] grida: "Lenin, questo nome irraggia al di sopra del pantano sanguinario in cui sguazzarono i nostri fratelli maggiori; Lenin, l'uomo ardente di fede, che circondato dai suoi fedeli, intraprese la più grande opera che mai fu tentata e che riuscì. Se era necessario affinché in Russia sorgesse l'aurora di una nuova umanità, che le nazioni si scannassero a vicenda per più di quattro anni, non rimpiangiamo le formidabili ecatombi preparate dai criminali propositi dei nostri padroni di ieri e di oggi. Perché hanno contribuito alla loro sconfitta e dalle rovine che essi accumularono, rovine materiali e morali, nascerà in un prossimo futuro, la Rivoluzione dei popoli, che spazzerà le loro istituzioni marce e darà agli uomini una nuova coscienza".
Questa presa di posizione non è sorprendente che per la debolezza intellettuale degli argomenti invocati; per il resto si iscrive nel contesto di un'opinione minoritaria ma influente che si esprime nell'immediato dopoguerra. In Belgio come in Francia, anche gli antichi combattenti si interrogano sul senso delle sofferenze subite. Una volta svelati i misfatti del conflitto, osserva lo storico François Furet [2], "Il ricordo di avervi partecipato assume la forma del mai più! Ed è in questo mai più che la rivoluzione d'Ottobre trova il suo auditorio, unendo alla forza di una speranza l'ossessione di un rimorso".
In Belgio, la sinistra politica e sindacale è molto sensibile a ciò che è chiamato "il fascino dell'Ottobre". Costringe inoltre il Primo ministro Léon Delcroix di rifiutare il transito attraverso il porto di Anversa delle armi e munizioni che la Repubblica francese ha deciso di inviare in Polonia per aiutare Varsavia assediata dagli eserciti sovietici che si sono spinti sino alla riva della Vistola. Ne deriva la dimissione del ministro per gli Affari esteri Paul Hysmans seguita da quella del governo intero, il 4 novembre 1920. I redattori di Ça ira! non sono né vecchi combattenti né militanti, ma nella crisi di senso che li unisce, vedono la rivoluzione sovietica come una grande luce; salutano in essa "una rottura decisiva e positiva con il capitalismo e la guerra". Non sono i soli nel piccolo mondo dei periodici. Molte riviste condividono il loro punto di vista: Clarté a Parigi, De Stijl a Leida, De Nieuwe Amsterdammerad ad Amsterdam, Ruimte ad Anversa. Tutte si situano all'avanguardia con le loro opzioni politiche oltre che per i loro orientamenti letterari.
Facciamo brevemente notare i legami di solidarietà intrecciati da Ça ira! con il movimento fiammingo. "Una sola cosa ci interessa, leggiamo nel primo numero, e cioè che la questione fiamminga è una questione di giustizia. Per questa ragione, siamo fiamminghi con tutta la nostra energia, e tutti coloro che non lo sono contro di noi [...]. Non è alle sue qualità intrinseche che il francese deve le sue prerogative nelle Fiandre. Il francese non è altra cosa che il trattino di unione che congiunge tutti i rappresentanti dell'idea borghese, dagli arricchiti ai gesuiti". In seguito, paradossalmente sotto l'effetto dei rimproveri rivolti da Théo Van Doesburg, il direttore di De Stijl, verrà posta una sordina a questi slanci di solidarietà. Non rimarrà che l'ammirazione per la cultura fiamminga, in particolare il posto che occupano la pittura e la scultura espressioniste.
Sia quel che sia, per un anno intero, Ça ira!, non presenta un granché di una rivista di avanguardia letteraria. Le poesie pubblicate da Paul Neuhuys, Willy Koninckx, Pierre-Jean Jouve, René Arcose, cosa inaspettata, Paul Colin sono sprovviste di audacia. Sono nella linea di ciò che Willy Koninckx chiama un "classicismo contemporaneo", un po' influenzato dall'unanimismo di Jules Romains. Quelli di Charles Plisner- ha ventiquattro anni nel 1920- sono sicuramente più impegnati. Nel Vincitore cieco, il poeta pacifista fa dialogare due sopravvissuti di una battaglia:
Un lucore sfiorò la valle. Sembrava
che la gleba diventasse vivente.
V'erano nell'alba esangue in cui moriva lo spavento,
due Uomini che andavano.
Ed il vincitore gettò la sua arma
-la sua arma?- la sua croce...
Ed il vinto, con le lacrime
Cancellava il sangue dalle sue dita...
Più esplicito, Fuliggine e Pioggia termina con questo grido:
Aha! Aha!
La rivolta crea dei giganti! [3]
Al contrario della letteratura, piuttosto ristrettamente rappresentata nei primi numeri di Ça ira!, le arti vi hanno la maggior parte [4]. Non soltanto con gli articoli di critica scritti da Georges Marlier- lo si ritroverà a fianco a Paul Colin durante la seconda occupazione tedesca- ma anche per la riproduzione di disegni, in legno e lino di Floris Jesper, Frans Masereel, Pail Joostens, Josef Cantré, Jan Cockx. Jean Warmoes, nel catalogo dell'esposizione Cinquant'anni di avanguardia 1917-1967, afferma che a partire del numero 13 di Ça ira!, "la politica sparisce a vantaggio dell'arte [5]". Non è del tutto esatto. Nel numero 14, H.-L. Foin, fondatore dell'effimero Partito individualista e sovranazionale, consegna le sue riflessioni sulla Rivoluzione sociale Rivoluzione politica che Paul Manty- sempre lui, ma sotto i colpi della rivelazione degli scacchi della politica sovietica in Russia- commenta in questi termini: "L'Esperienza bolscevica offre preziosi insegnamenti in quanto ai metodi che devono portare dal passaggio dell'ordine capitalista all'ordine comunista. Ma annunciare il fallimento del tentativo di Lenin, perché non lo può realizzare pienamente, è un po' prematuro. La rivoluzione russa ha fallito là dove il suo programma, troppo ideale, in cui le realtà della vita, "realtà eterne", entrano in conflitto con esso. E questo fallimento parziale si ritrovò accelerato dal fatto delle misure economiche che l'Intesa prese per impedire l'entrata in Russia di merci e soprattutto di macchine la cui mancanza costituisce il più grande fattore della disgregazione di questo paese".
Conviene inoltre, segnalare la pubblicazione per le edizioni di Ça ira! dell'opuscolo di Charles Plisnier Réforme et Revolution alla quale è unito un Avviso al lettore che prega quest'ultimo di rimpiazzare le parole socialisme et socialiste con comunismo e comunista, in conformità con le decisioni del III Congresso di Mosca. Date queste precisazioni, bisogna ammettere che a partire dalla seconda ed ultima serie (oramai in formato in-8° e non più in-4°), che si chiude nel 1923, Ça ira! è oramai una vera rivista letteraria di avanguardia. Come spiegare questa svolta? Senza dubbio per l'incontro con il dadaista Clément Pansaers, di cui la rivista ha pubblicato, nei numeri 11 e 12, degli estratti del suo romanzo Lamprido. Strano personaggio questo Clément Pansaers, il cui vero nome è Guy Boscart! Da dicembre 1916 a maggio 1918 pubblicò Résurrection, rivista internazionalista che accolse in traduzione dei testi di giovani scrittori tedeschi come Walter Hasenclever, Franz Wedekind e Ernst Stadler, così come dei contributi di Charles Vildrac, Pierre-Jean Jouve, Michel de Ghelderode [6] et René Verboom.
In piena occupazione nemica, Clément Pansaers si arrischiava a scrivere: "Erigiamo sull'antico Belgio una federazione fiammingo-vallona in cui le vecchie discordie fanno posto ad una semplice concorrenza cordiale di sviluppo intellettuale". Alla liberazione, perseguitato per le sue simpatie tedesche, fu perquisito- "gendarmi e soldati con baionetta inastata" ma si trasse facilmente d'impaccio. Più deciso che mai a trasgredire i valori stabiliti, aderì nel 1919 al movimento Dada che i suoi amici berlinesi gli avevano fatto scoprire e che corrispondeva alla sua propria evoluzione. Poi prese contatto con i dadaisti francesi e pubblicò per le edizioni Alde a Bruxelles il suo famoso Le Pan Pan au Cul du Nu Nègre, in cui Paul Neuhuys, nel suo rendiconto in Ça ira! dell'agosto del 1920, percepì "sotto una piacevole parvenza di alienazione mentale un bel sforzo metafisico".
Nella primavera del 1921, Clément Pansares si unisce alla maggior parte dei dadaisti parigini; rimprovera loro di non radicalizzare il loro movimento. Lo abbandona durante una cena presso Cesta, il 25 aprile 1921. Il suo amico il pittore Picabia lo aiuta a pubblicare un articolo in Comoedia, l'11 maggio. Arrabbiato, nel suo isolamento, corrisponde con il poeta americano Ezra Pound ed il romanziere irlandese James Joyce. È allora che Paul Neuhuys gli affida l'elaborazione del numero 16 di Ça ira! interamente dedicato a Dada, la sua nascita, la sua vita, la sua morte, È un evento "di una incongruità assoluta nell'ambiente accoglientemente retrogrado", scriverà Paul Neuhuys presentando la riedizione del 1973.
Quest'affermazione non significa, da parte di Paul Neuhuys, un'adesione a Dada. "La traiettoria di Ça ira!, osserva Marc Dachy, resterà insomma un atteggiamento di esitazione tra una generosa politica di apertura ed accoglienza e la tentazione, il passaggio all'atto mai posto di un impegno risoluto nel movimento dell'avanguardia internazionale" [7]. È rivelatore che nessun membro del gruppo della rivista contribuisca a questo numero speciale, ma vi ritroviamo le collaborazioni di Francis Picabia, Paul Éluard, Benjamin Péret, Ezra Pound ed altre celebrità.
Francis Picabia si scatena allo spettacolo del fallimento della rivoluzione sovietica: "La nobiltà russa ha venduto i suoi gioielli per continuare lo slancio del suo piacere, presto venderanno i loro cuori nel modo in cui le sfortunate prostitute di Mosca vendono le loro chiappe o, ciò che è ancora peggio, le daranno via per niente ad un cugino di primo grado del nuovo zar Lenin... Scusa mio caro Lenin, è vero, non siete uno zar, concentrate l'ideale ed i bisogni della vostra epoca, i quali consistono per la maggior parte dei vostri ammiratori, nel desiderio di mettersi della polverina per starnutire nel naso! L'altro giorno passando nelle vostre vicinanze, ho scavalcato lo steccato del vostro giardino, essendomi accordo dei magnifici frutti sugli alberi ed ho scosso energicamente uno di questi alberi allo scopo di spegnere la mia sete e di calmare la mia fame. Ho allora ricevuto sulla testa una superba merda che intendo esporre e vendere alla sala Druot a vantaggio degli animali dei vostri giardini zoologici se non hanno ancora avuto la fortuna di essere stati mangiati da voi!".
Da parte sua, Pierre de Massot constata: "È finita la storia promessa, miei cari amici ed il ricordo di Dada si confonde nel crepuscolo con la cenere delle nostre sigarette profumate". Georges Ribemont-Dessaignes fa eccezione, rimane fedele al primo Dada e celebre Tristan Tzara: "È per questo che saluto il Signor grande avvoltoio che non è il paradiso e fa le sue uova tra le rocce non per l'allevamento dei polli dai colli spennati ma perché l'umidità del prato fa ammuffire le frittate con un odore di falsa carogna".
Ezra Pound fa la caricatura di una Serata: "Quando apprese che sua madre versificava e che il padre versificava che il figlio minore si occupava di edizione e che l'amico di famiglia rovinato stava approntando un romanzo il giovane pellegrino americano esclamò: 'Eccolo un ambiente chic!'"
Clément Pansaers ricorda che "il punto di partenza teorico della scuola che avrebbe potuto chiamarsi Dada e che resterà malgrado tutto così chiamata, risale ad Alfred Jarry per l'idea e a Stéphane Mallarmé per un colpo di dadi ed alcuni divagazioni espressive". Ammette l'influenza esercitata su di lui dalla lettura di Chuang Tzu, Cinese contemporaneo di Aristotele, ed anche da quella di Spencer e William James. Sicuramente, accusa Dada di non essere più, "in ultima [8] analisi" che "Tam-Tam-Réclame", ma constata che "malgrado tutto Dada è esistito ed esiste. Come sempre, alcuni aspettano le opere, come vi sono molti che ancora aspettano il Messia, mentre le opere sono là. E poco importa che esse non siano che una curiosità... provvisoriamente".
Di Paul Éluard è pubblicata una breve poesia intitolata, non so perché, Public:
Figlio di nutrice,
figlio di corsa,
figlio intelligente,
donna del mondo sconosciuto, mia bella bambina, tu
scivoli (fiore appassito, peccato mortale, piccola?)
nell'erba morta, calore morto.
Figlio sottomesso,
una volta il bimbo, i giochi, l'indecenza,
recito la parte del vecchio amico recito un monologo,
recito la parte del contadino
Benjamin Péret, lui, invoca, una Riforma:
In slitta sulla Neva
scivolo translucido
circondato da ippocampi bianchi
piccolo culo pallido
cosa vieni a fare qui
gli schiaccianoci hanno chiuso le loro orecchie
i funghi crescono alla fonte
non ci siamo più che noi a pensare alle gomme da cancellare [8a]
Segnaliamo ancora alcuni testi provocatori a volontà come quello di Georges Félician Herbiet, che si firma Christian: "I Da' non sono eunuchi e non [10] portano camicia ognuno può vederlo. Reggendo la bellezza, l'ora è giunta di coricarla sotto di noi, per ridere e e nient'altro che per ridere nel gioco del bestia dai due dorsi". La proclamazione termina con un P. S.: "La bellezza propria vale esser baciata e due volte piuttosto che una".
Da qui il fascino esercitato dalla rivoluzione d'Ottobre, che ha posto nel suo arsenale ideologico un sostituto della religione intrecciando le certezza della scienza, tratte dal Capitale di Karl Marx, alla credenza nell'onnipotenza dell'azione. C'era di che inebriare una generazione avida di rovesciare un ordine internazionale tendente a schiacciare l'uomo. I primi quattordici numeri di Ça ira!, lo abbiamo constatato, erano distinti dall'impegno politico senza equivoco. Durante quel periodo, nello stesso clima di crisi morale, si sviluppava la corrente di un individualismo anarchico al quale Tristan Tzara aveva dato, nel 1916, il nome di Dada. Era- ma se rendevano conto?- agli antipodi del comunismo di Lenin. "Misurata alla scala dell'eternità, ogni azione è vana", aveva scritto Tzara, e André Breton aveva precisato: "È inammissibile che un uomo lasci una traccia del suo passaggio sulla terra". Ma invece di rinunciare ad ogni letteratura, come aveva suggerito Rimbaud, i dadaisti non si accontentarono di una negazione assoluta. Se fecero tabula rasa della ragione, dell'intelligenza, dei sentimenti, era per ritrovare la fonte oscura dell'inconscio. Louis Aragon e André Breton avevano, del resto, fatto ricorso alle sperimentazioni della psicanalisi. In un articolo della Nouvelle Revue Française, Jacques Rivière presentava con simpatia l'obiettivo di Dada: "Afferrare l'essere prima che non abbia ceduto alla compatibilità; raggiungerlo nella sua incoerenza o meglio, nella sua coerenza primitiva, prima che l'idea di contraddizione sia apparsa e non l'abbia costretta a ridursi, a costruirsi; sostituire alla sua unità logica, forzatamente acquisita, la sua unità assurda soltanto essa originale [9]".
Il gruppo di Ça ira! si era orientato verso Dada perché si trovava disincantato dai fallimenti della rivoluzione sovietica: carestia, insurrezione dei marinai di Kronstadt, regime poliziesco, instaurazione della NEP. Ma questa conversione, a dir il vero troppo tardiva per essere veramente influente, avveniva nel momento in cui Dada agonizzava, lasciando il posto al suo prolungamento, il surrealismo, molto presente nell'ultimo numero di Ça ira! con poesie di Herman Frenay-Cid, Georges Pillement e Marcel Arland.
Nel gennaio del 1923, senza annunciarlo ai suoi rari lettori, Ça ira! sparisce, ma Paul Neuhuys mantiene in vita l'attività editoriale pubblicando, in cento esemplari, degli opuscoli di Marcel Lecomte, Paul Colinet, Fernand Dumont, Paul Nougé- la crema del surrealismo belga-, de Henry Michaux, Michel de Ghelderode, Georges Linze, Paul Dewalhens, Camille Huysmans, Robert Poulet, Marcel Mariën,, René e Guy Vaes, ecc. L'ultima opera pubblicata all'insegna di Ça ira! appare nel 1984; è l'Agenda d'Agenor di Paul Neuhuys.
Per Paul Neuhuys, una grande avventura era terminata. Senza dubbio Ça ira! non ha conosciuto la risonanza che sperava. Gli orientamenti politici dei suoi inizi la condannavano ad una diffusione limitata, ma si deve riconoscerle oggi il suo ruolo di testimone, di precursore e di apri pista. Non soltanto per i 20 numeri della sua rivista ed i 98 opuscoli delle sue edizioni, ma anche per le sue esposizioni ed i suoi recital di musica. "Ça ira!, scrive Paul Neuhuys nelle sue memorie dattiloscritte, Ça ira!...* É stata oramai, con i suoi pittori accreditati: Voosten e Jespers. I recital ci erano suggeriti da E. L. T. Mesens, un giovane musicista di allora. È grazie a lui che incontrammo Georges Auric che ci gratificò del suo ragtime Adieu New York [Addio New York]. Abbiamo avuto anche un recital Eric Satie che ci scrisse da Arcueil: "Soltanto la vostra opinione e quella dei vostri amici conta per me, semplice e buon vegliardo [10]".
Senza essere egli stesso dadaista o surrealista, Paul Neuhuys, il principale animatore di Ça ira!, rimase sino alla fine della sua vita, nel 1984, fedele alla spontaneità di questi movimenti, da cui trasse il miele nella sua ventina di raccolte di poesie in cui la fantasia e l'umorismo lo contendono alla gravità discreta e ad una certa amarezza. Ma questa è un'altra storia che bisognerà raccontare
Copyright © 2000
Académie royale de langue et de littérature françaises de Belgique. Tous droits réservés.