Presentiamo un saggio reperito dalla rete, estremamente interessante, scritto nel lontano 1998 da Paolo Mastroianni per la rivista DWPress, con grande competenza. Difficile trovare qualcosa di altrettanto esaustivo e coinvolgente nonché chiaro nella rete in generale anche dal web francofono o anglofono. È quindi a maggior ragione che lo proponiamo a coloro che amano dada ed i loro protagonisti, i maggiori come i minori, i quali ultimi spesso non meritano nemmeno di essere considerati tali, se non altro sotto il profilo umano se non artistico.
Significazioni trasversali nell'estetica di Hannah Höch
Settembre/Ottobre/Novembre 1998
Captare alcuni segnali da un universo parzialmente occultato è la proposta che apre questo scenario creativo, in cui il segno femminile (traccia reale o evocazione metaforica) mostra una padronanza del sé, superando l'inottemperato adempimento di un sogno di affermazione.....
Hannh Höch, Tagliato con un coltello da cucina dada - 1919-20
Non fu compito facile, per Hannah Höch, fare emergere e soprattutto affermare la propria autonomia artistica all’interno del gruppo dadaista berlinese, nonostante che al movimento si attribuisse, tra la folta schiera degli "ismi" proliferati nell’avanguardia storica del primo novecento, l’estremo radicalismo della rivolta antiborghese, incarnato nel rifiuto nichilistico di qualsiasi regola codificata dal costume e dalle sue convenzioni morali, e dunque naturalmente incline, secondo le attese preposte, a ignorare le implicazioni inerenti al valore gerarchico della differenza sessuale, foraggiando così il potenziale ampliamento delle risorse espressive.
Ma la composizione monoteticamente maschile del movimento (dato esplicitamente non casuale), sembrava invece palesemente conformata agli atteggiamenti misogini e fallocentrici emananti da quel sentire sociale che nell’applicazione delle proprie elaborazioni programmatiche era pur stigmatizzato e aspramente combattuto con studiate azioni di provocazione; illuminante paradosso, che peraltro rispecchia le sorti contraddittorie della situazione in cui versavano le relazioni uomo-donna nell’ambito delle "innovative" formazioni del progetto modernista. Legata sentimentalmente per un settennio all’artista-filosofo Raoul Hausmann, esponente di rilievo del dadaismo berlinese, Höch si trovò a subire, oltre alla dolorosa decisione di un duplice aborto per la manifesta volontà del partner di eludere indefinitamente i problemi della propria posizione matrimoniale (ignorando l’avvertita esigenza di lei, tesa a pianificare le regole della loro unione), e ai non infrequenti eccessi aggressivi, finanche l’incomprensione e l’isolamento dei colleghi che l’attorniavano, "consegnati" in un complice silenzio sotteso a penalizzarne gli atteggiamenti culturalmente non uniformati, "eterodossia" imputata agli imbriglianti retaggi "borghesi" di un’educazione familiare ancora vincolante.
Reminiscenze di questi eventi autobiografici traspaiono in alcune composizioni degli anni venti, che con La sposa o La coppia borghese di sposi offrono visibili elementi polemici sul tema matrimoniale, mentre alla delicata questione della mancata maternità riconduce nel ’26 Ponte immaginario: qui, le due teste ravvicinate fino a lambirsi trasmettono una sensazione di estranea incomunicabilità, evocata dalla spazialità di un ambiente surreale, messaggero di oscuri e inquietanti presagi, ove l’interruzione della linea tracciata tra il naso del femminile e la bocca del maschile diviene metafora del "ponte" caduto e non altrimenti ricostruibile, foriero della sgomenta caduta nel vuoto del neonato, che con quel "cordone" reciso sancisce l’incontrovertibile nesso simbolico con le vicende ancora vibranti delle vissute esperienze di perdita.
Ostracizzata per l’indulgenza manifestata verso quei formalismi "tradizionali" in cui la libertà compositiva si sottraeva all’urgenza di abbandonare il lessico naturalistico, ma che il movimento rifiutava ormai di connaturare al proprio vocabolario d’indagine estetica, la sua presenza rischiò perfino di essere oscurata, quando in occasione della Prima Fiera Internazionale Dada, tenuta a Berlino nel 1920, i "compagni di cordata" John Heartfield e George Grosz tentarono strenuamente di escluderne le opere dalla partecipazione all’evento collettivo. Una rimozione deliberata e compiutamente attuata, se nelle memorie di Richard Huelsenbeck, di Walter Mehring e del più vicino Hausmann, il nome dell’unica sonorità riecheggiata nell’attività della compagine artistica appare di rado e quasi casualmente. Mai in ogni modo per desumerne la densità qualitativa del contributo o la sintesi connotativa di una pur avversata specificità esplicativa: l’unico apprezzamento pervenne alfine alla sua indole caratteriale, che Hans Richter, scrivendone nel ’64 in Arte e Anti-Arte, definì di "brava ragazza", suscitando le perentorie proteste della stessa interessata, evidentemente ancora sensibile a tensioni ravvivate da giudizi avvertiti riduttivamente per la propria significazione di genere.
Anna Höch (questo il nome vero, successivamente modificato per suggerimento dell’amico-collega Kurt Schwitters) nasce nella città tedesca di Gotha nel 1889 da famiglia evangelica d’estrazione borghese, e dopo una precoce versatilità manifestata per il dipingere, che asseconda inizialmente con acquerelli a soggetto paesaggistico o di natura morta, come può testimoniare Vaso con crisantemi del 1909, approda nel ‘12 alla Scuola berlinese di Arti Applicate, dove per un biennio si cimenterà nella pittura su vetro e nella decorazione su carta da parati, apprendendo inoltre la saldatura e il ricamo. Dal ’15 compirà importanti prove miniaturistiche, adoperandosi poi nell’impiego di xilografia e incisione su linoleum, affinando così l’adozione di quelle tecniche artigianali che larga cittadinanza avranno nei successivi esiti compositivi.
Höch si accosta all’ambiente dell’avanguardia (dai futuristi ai cubisti fino agli espressionisti del Blaue Reiter) che gravita attorno alla galleria Der Sturm di Herwarth Walden, ed entra nel circuito di conoscenze da cui trarrà origine e maturazione il nucleo dadaista locale, intessendo rapporti con Johannes Baader, Mehring, Huelsenbeck, Grosz, Heartfield, e naturalmente con Hausmann. Altri membri della formazione, con la fine della guerra e il conseguente abbandono dell’aurorale città zurighese (in cui fiorì il Cabaret Voltaire di Hugo Ball, Tristan Tzara e Hans Arp), approdarono in Germania confluendo nel gruppo di Max Ernst a Colonia, mentre solitaria si erigerà a Hannover l’esperienza di Schwitters (che non aveva preso parte alla primigenia attività in Svizzera): eterogenei, e comunque svincolati da trame comuni, gli itinerari dadaisti dei gruppi tedeschi procederanno separatamente con esiti differenziati.
Nel 1916 Hannah Höch assume la proficua collaborazione col gruppo editoriale Ullstein Press, che protraendosi per un decennio la indurrà a elaborare modelli disegnativi per ricami e pizzi merlettati, pubblicati poi sulle riviste di moda femminile maggiormente in voga, da "Die Dame" (La Donna) a "Die praktische Berlinerin" (La donna pratica di Berlino) fino a "Stickerei und Spitzen-Rundschau" (Rivista di ricamo e merletto). L’interesse per le qualità costitutive del prodotto artigianale, corroborato nel ‘25 con la visita parigina alla famosa Esposizione Internazionale delle Arti decorative e industriali moderne, corrisponderà ad una scelta mantenuta costantemente dalla pittrice, indotta a innalzare questa realizzazione "minore" del lavoro creativo a quel ruolo paritetico che la pervasiva egemonia dell’Arte aveva storicamente negato, relegando questa tipologia d’esecuzione materiale al rango subalterno, per una pretesa inferiorità conferita alla genesi ideativa del processo fatturale.
Superando l’ipoteca gravante su tale dicotomia del fare artistico, Höch recupera il sapere femminile devoluto all’interno della sfera domestica con le molteplici occupazioni diluite nella quotidianità del ménage familiare (tessitura, ricamo, uncinetto, ma anche riassetto "sartoriale" sui capi d’abbigliamento), e ratifica la legittimità di una nuova presenza soggettiva che offre la propria abilità inventiva, storicamente esclusa da qualsiasi contiguità o assonanza estetica, quale prodotto di un’esperienza intimamente connessa all’emblema di vita, in quanto iscritta nel simbolico della funzionalità gerarchica imposta dalla strategia sessuata del patriarcato. Riflessi del lavoro di cura consegnato dalle donne alla verve fatturale, si osservano in alcuni collages eseguiti tra 1919 e 1922, come Forma bianca, Il fiore del sarto, Disegno per il monumento a un’importante camicia di pizzo e Su un fondo rete di tulle, "confezionati" dall’artista su frammenti di stoffa attraversati da linee con punti di trama e spessore differenziati, che alludono all’antica maestria femminile esercitata al telaio o alla moderna macchina per cucire, stavolta applicata, tra suggerimenti di tracce geometriche in fuga sul piano a "rete" per moti rettilinei o centrifughi, a strutture "tessute" in un contesto "pittorico" di pura fantasia compositiva.
Hannah Höch , Da Dandy, 1919.
Questa coreografia di rilievi "virtuali" tende a riportare la temperie professionale di genere, educata all’indefinito rinnovarsi di un esercizio manuale ingabbiato nella sfera riproduttiva, al valore definito dalla sintesi formale, asserendo perciò una chiara pertinenza al settore della produzione estetica. Il fondo a rete, tipico per l’ordito del ricamo e del merletto, si ritrova anche in altri lavori del ‘25, quali Senza titolo o L’insegnante di ginnastica, registrando il persistere di una sigla stilistica in "sintonia" col fondo "tessile" del design usualmente utilizzato all’Ullstein Press nell’ideazione di modelli per abiti femminili.
Attratta inizialmente dal linguaggio caricaturale espressionista, che i personaggi dai tratti deformati e grotteschi dipinti da Grosz, Otto Dix, Max Beckmann o Ernst Ludwig Kirchner, offrono a una lettura indirizzata in chiave satirica d’immediato richiamo alla critica politico-sociale, la pittrice ne conserva gli stimoli in composizioni coeve come Giornalisti, Roma, e soprattutto Lotta eterna 1, in cui la presenza di creature favolistiche e misteriche atmosfere riverbera pulsioni orientate verso i territori dell’immaginazione e dell’indagine interiore. Traspare inoltre l’assimilazione di un corredo "primitivista", palpabile nel Ritratto di Hausmann del ‘22 ma acclarato già in alcuni disegni del ’15 per copertine librarie, in cui la presenza di maschere totemiche e modelli connotativi tipici del repertorio estetico extra-europeo costituirà ulteriore elemento stilistico per prove più aggiornate. Lasciti formali che imprimono vibrazioni nervose all’umore delle coordinate costruttive, analoghe alle irrequiete sonorità registrate nel contiguo secessionismo mitteleuropeo con Egon Schiele, convivono con una coreografia di linee flessuose ed esornative associate, in stridente contrasto, con l’affrescata idealità estetizzante dello Jugendstil promanante da taluni disegni per pannelli ricamati del 1915-16, interamente decorati con motivi vegetali e ricercate sigle modulari di notazione astrattiva.
Leziosità "primitiviste" tratteggiano le giocose Bambole dada dello stesso periodo, ma presentate nel ‘20 alla Prima Fiera Internazionale del movimento, costruite manualmente con stoffa, cartone e perline. Commistioni più elaborate di repertori "tribali" impronteranno l’opera "narrata" in diciassette pezzi della serie Da un Museo Etnografico, compiuta tra 1924 e 1930, che se esplicita l’evoluzione di personali interessi per il settore paleontologico, nutrita da frequenti visite ai relativi Musei di Berlino e Dresda, assimila le spinte problematiche verso le culture extraeuropee, già innestate dagli espressionisti di "Brücke" e "Blaue Reiter" in funzione straniante nei confronti dei valori affermati dalla civiltà occidentale, e le incorona sull’urgenza di configurare nuovi strumenti artistici da utilizzare nel contrasto con la vitalità razzistica connessa all’insorgente teoria del "Lebensraum" (spazio vitale), insorgente nel primo dopoguerra tedesco quale impeto revanscista dagli autoritari risvolti espansionistico-imperialisti. Nel fotomontaggio Bellezza straniera, ad esempio, l’algido nudo femminile disteso possiede un’improbabile testa maschile dagli inconfondibili tratti negroidi, oltretutto sovradimensionata per rimarcare un ricercato effetto disarmonico in evidente funzione provocatoria, analogamente a Monumento 1, Monumento 2: Vanità ed altri lavori in sequenza, che allestiscono figure ibride con maschere sciamaniche e reperti archeologici africani, asiatici o precolombiani, estratti soprattutto dalle riviste "BIZ", "Der Querschnitt", "Die Koralle", e combinati con frammenti di arti o teste di donne dalle chiare connotazioni europee.
Effetti amplificati di disorientamento visivo si riscontrano negli accostamenti di segmenti fisici a scala differenziata di Quella dolce, che qualificano una dimensione manipolata in cui l’esito grottesco dell’intreccio formale dichiara la netta contrapposizione con un’idea di separazione etnica priva di fondamenti etici, ancorché realmente scientifici. Modalità analoghe si ritrovano in esecuzioni coeve, quali Mezza razza, Amore nel cespuglio o la variazione tematica de La sposa datata 1933, che mescolano parti corporee di razza eterogenea, perorando finanche la "scandalosa" possibilità di scambio sessuale tra bianchi e neri, per avanzare una dura stigmatizzazione sui pesanti atteggiamenti xenofobi fomentati dal governo di Weimar in seguito all’occupazione francese di alcuni territori tedeschi, approntata con l’utilizzo "aggravante" di soldati originari delle colonie d’oltremare, per ottenere una sollecita riparazione dei danni bellici secondo gli accordi stipulati.
Durante gli anni difficili che prepareranno l’ascesa del potere hitleriano, ma anche dopo il suo avvento, in cui l’artista rifiuterà le pressioni degli amici emigrati che l’inviteranno ad abbandonare la Germania per scampare al progressivo restringimento delle libertà espressive, l’assemblaggio di elementi anatomici risulterà valido obiettivo di "copertura" per lanciare messaggi occultati alla dimensione di leggibilità immediata, ma aperti a un’interpretazione critica densa di riferimenti attuali. Una composizione come Volo appare tratteggiare parodisticamente i caratteri incarnati dal nuovo individuo nel nascente modello nazionalsocialista, nell’uomo in camicia nera con gli arti inferiori da robot e la testa ibrida per metà scimmia e per l’altra metà femminile, con la mano distesa rigidamente verso il basso a contrassegnare un percorso di marcia, inseguito da un minaccioso volto "tutelare" maschile con due ali distese che tracciano l’inequivocabile saluto nazista, a confermare l’aggressiva e perentoria condizione di dominio esterno imposta alla funzione autonoma della volontà.
La stessa vitalità derisoria riunisce all’inizio degli anni trenta Coppia contadina di sposi e L’eterna danza popolare, che nei paradossali accostamenti fisiognomici di corpi intrecciati a maschere, animali o reperti "primitivi", trascina attraverso la dimensione manipolata rovesciamenti sorprendenti dei messaggi proposti dalla retorica ufficiale: la prima, trasformando l’immagine operosa della famiglia tedesca, prefigurata dalla propaganda hitleriana, nell’incontro straniante di un paio di stivali prussiani sovrastati da una testa nera maschile e un paio di gambette grassocce con scarpette da bambina incastonate su una fluida chioma "biondo-ariana" col viso di scimmia; la seconda, riducendo a scomposto e stridente movimento di guitti la danza più popolare della Baviera, testimonianza delle antiche tradizioni locali che il nazismo intendeva elevare a prezioso patrimonio delle radici comunitarie. Un’alternanza di variegate risonanze stilistiche si dipana dal "laboratorio" di Hannah, attenta nel recepire le diverse potenzialità dei generi creativi per convogliarle in uno spazio elaborato di linguaggi combinati, sempre verificandone le proprietà espansive sugli effetti dell’applicazione estetica.
L’incontro con la mitologia futurista delle macchine, mediato dalla galleria Der Sturm (ma anche dai contatti intrattenuti con esponenti della compagine, in occasione del viaggio in Italia nel ’20), produce qualche suggestione, raccolta palesemente in Costruzione col blu del ’19, insieme di superfici plasticamente ammassate nello spazio mediante un dinamico gioco cromatico, mentre la pletora di oggetti meccanomorfi dislocati nel successivo Giardino meccanico, se rivela fisionomie immanenti al mondo fisico che risentono di reminiscenze legate alle "macchine inutili" di Francis Picabia, evoca però un flusso di significati riposti inaccessibilmente aldilà della sensibilità visiva e rimanda a una dimensione criptica annidata nelle pieghe sopite della sfera cosciente: una tensione surreale che scaturisce da figurazioni concrete annette questa composizione all’orizzonte analitico-introspettivo di Ernst, anziché a quello anti-psicologico e "materialmente" ritmico-plastico risaltato dall’estetica marinettiana. Ma la vera estensione dell’artista rimane sul collage, scoperto nel 1907, quando offre la prima sperimentazione di questo genere con Nitte sotto l’albero, adoperando carte incollate giustapposte tra loro secondo evidenti contrasti coloristici, che addossano la sinuosa ed algida figura della bambina al tronco scuro creando evidenti superfici aggettanti dal fondo paesaggistico.
In seguito, il perfezionamento di questa tecnica fruirà di fotografie e illustrazioni tratte da rotocalchi di moda femminile, ritagliate e composte entro schemi prestabiliti per riversarsi nell’allestimento dei famosi fotomontaggi, adottati da Höch e Hausmann dal 1917 (anche se quest’ultimo si è sempre fregiato unilateralmente della scoperta primigenia), sull’esempio di certa ritrattistica militare utilizzata sulle isole baltiche per incisioni popolari a soggetto celebrativo, e note alla coppia in seguito a un breve soggiorno trascorso in loco. Le prime prove d’assemblaggio, analogamente ai lavori realizzati da altri componenti del gruppo, risultano affollate e caotiche, consone alla furia iconoclasta del Dadaismo e alla densità espressiva che l’horror vacui dello spazio figurato assume come segnale di urgenza comunicativa, permettendone l’accesso solo a una lettura effettuata con opportune chiavi semantiche.
Oggetti e personaggi delle composizioni emergono difatti con difficoltà da quel circuito attributivo di significati trasversali, saturando il dispositivo coreografico con una dilagante quantità di messaggi che invitano a un’ardua e lenticolare azione interpretativa. Eppure non si registrano umori distruttivi di un nichilismo esacerbato dall’irruzione casuale di elementi coagulati attorno allo spazio teatrale, bensì una costruzione coerente di segni decodificabili che denunciano l’insensatezza della ragione interventista e vitalizzano intime esigenze di libertà riposte nell’insorgenza dell’autonomia femminile. Pur suffragando la sua immissione nei canali espressivi del movimento con un gusto spontaneo di humor e ironia, l’artista non sembra seguirne le radicali posizioni estetiche, avvertendo un graduale sentimento d’estraneità, parallelo al ritrovamento di quell’autonomia così perseguita quanto frenata da inquietudini ed incomprensioni.
Tagliato con un coltello da cucina dada, Panorama dada e Teste di Stato, preparati nel triennio 1918-20, indicano la cifra leggibile dell’intervento di Hannah sull’orizzonte dadaista, ma anche il germe della sua dislocazione futura, difatti la triade esecutiva risente fortemente del contesto socio-politico determinato nel dopoguerra tedesco dalla disfatta dell’Impero con la crisi seguita al riassetto socialdemocratico della nascente Repubblica di Weimar. Negli ultimi due lavori compare la stessa coppia di personaggi in costume da spiaggia, identificati come il Presidente e il ministro della Difesa (appena firmatari della nuova Costituzione repubblicana), esposti al gioco dissacrante dal tessuto manipolativo ordito sull’estrapolazione della loro immagine balneare dall’originaria fonte fotografica, che se conferiva al contesto iniziale una solida coerenza logica, risulta ora alterata dalle stranianti aggiunte grafiche affiancate alle figure e dalle modifiche imposte al fondo scenico, minata nella primigenia costruzione di senso e compromessa nella credibilità rappresentativa.
Il dispositivo allestito sui requisiti esteriori dei delegati ufficiali, si avvale del congegno ludico per depauperare la veste simbolica della loro funzione pubblica, lasciando emergere lo scetticismo dell’istanza critica "latente", che assieme all’incapacità e inaffidabilità dell’attuale classe politica nello svolgere tali ruoli di responsabilità ne insinua la complementare e risibile inadeguatezza dell’aspetto fisico. In Panorama dada, la vis polemica acquista particolare incisività, in quanto gli "officianti" del nuovo potere si trovano associati alle simbologie identitarie del tramontato Impero, col Presidente che calza stivali dell’esercito guglielmino, accanto ad ufficiali in alta uniforme ed emblematicamente raffigurati senza testa (alludendo metaforicamente all’abdicazione del Kaiser, imposta dagli americani dopo l’armistizio), suggerendo assonanza e continuità dei metodi polizieschi tra passato e presente. Qui la notazione acquisisce colore drammatico, richiamando la brutale repressione ordinata dai vertici socialdemocratici contro l’insurrezione spartachista del ’18, poi aggravata dall’ulteriore responsabilità governativa negli omicidi di Rosa Luxembourg e Karl Liebknecht, leaders della rivolta, epilogo inequivocabile della definitiva assimilazione weimariana alla condotta liberticida del regime prussiano.
Nella pletora di riferimenti trasversali, supportati con efficacia dal lessico mediatico, appare un atteggiamento che diverrà prevalente nelle soluzioni iconografiche dell’esecutrice tedesca, una propensione asserita da quello sguardo ironico riversato sul femminile, e specificamente dichiarato nella frase auspicale "Libertà illimitata per Hannah Höch", affiancata alle teste riconoscibili di alcune deputate (impiantate su corpi di ginnaste), per la prima volta elette nel parlamento repubblicano col suffragio universale, appunto concesso con la Costituzione del 1919. Affiora così una speranza di ricostruzione enunciata entro un diverso clima morale, che nella frastagliata confusione sociale del dopoguerra Hannah demanda al noviziato politico delle donne, recepito ancora estraneo alle manovre strumentali del potere messo in atto dal cinismo spregiudicato di taluni affaristi, pervicacemente contigui alle nuove rappresentanze legislative alfine di ottenerne i favori privilegiati. Tra 1920 e 1931 aderisce difatti al "Novembergruppe", un’associazione di artisti impegnata nel promuovere un rilancio delle riforme legislative nelle scuole e in altri settori d’interesse specifico, qualificando l’assunzione degli interventi nel comune orientamento social-rivoluzionario, attività che le fruttò nel ’37 l’accusa di "bolscevismo" da parte dell’insediato regime. In Quando tu pensi che la luna sta tramontando, titolo ripreso dal brano contemporaneo di una popolare canzone del ‘21, il bersaglio derisorio della composizione s’incentra sullo scrittore Gerhart Hauptmann, cangiante esemplarità d’opportunismo politico che troneggia sul fondo con la sua integrale calvizie d’aspetto "lunare", trasformisticamente approdato dall’apologia xenofobo-nazionalistica del decennio precedente al versante del campo repubblicano, per impegnarsi poi quale valido supporto costitutivo dell’ascesa hitleriana.
Hannah Höch, Amore, 1931.
L’inserimento figurativo del potente finanziere americano Rockefeller stigmatizza l’ideale modello di emulazione evocato dall’intellettuale tedesco, sottendendone l’avveduta capacità di risorse economiche, finalizzata all’esclusivo arricchimento personale, quanto l’indefettibile tamarismo politico, e segnala pertanto una viva preoccupazione per le incerte sorti di un paese infestato di avventurismi rampanti. Allarmismo ravvisabile nell’anonimo braccio proteso ad afferrare il denaro accatastato di Soldi, a indicare il proprio dissenso per quel diffuso costume di tempestiva "prontezza" nel trarre concreti e disinvolti vantaggi da contingenze materiali.
Metaforicamente allusivo, il coevo fotomontaggio New York, con l’ammasso straripante di grattacieli, visiva configurazione urbanistica della sede politica che dal dopoguerra egemonizzerà le sorti della ricostruzione europea e il suo riassetto globale, denuncia la prepotente ingiustizia insita al meccanismo di profitto suffragato dalle mitologie "progressiste" del nuovo potere economico, insieme ai danni prefigurati da un’ideologia improntata sull’emulazione dei frenetici ritmi consumistici, ad esso inevitabilmente ricondotti. È la stessa diffidenza che nel ‘23 enuclea il tema di Alta finanza tramite la materializzazione di strumenti attagliati all’ideologia capitalistica o ascrivibili alla sua sfera d’azione, quali utensili meccanici e capannoni industriali, "capitanati" o maneggiati personalmente da una coppia di anziani affaristi che grandeggia su una vertiginosa veduta aerea di Breslau, aperta intenzionalmente su storici edifici cittadini intrisi di valore simbolico nazionale, costruiti in età imperiale per celebrare il centenario della vittoria militare prussiana su Napoleone del 1813.
La combinazione di questi elementi delinea un riferimento al retaggio conservatore incarnato dal ceto direttivo, che coverebbe il sogno segreto di risorgere dalle ceneri sparse della sua inaccettata dissoluzione politica per svolgere un ruolo di rinnovata centralità, qui rimarcata nell’arida tendenza al dominio acclusa al sotteso messaggio di sfruttamento esercitato sui lavoratori e alimentato dalla significativa presenza del fucile, viatico della decisa volontà di controllo. Tagliato con un coltello da cucina dada testimonia l’acuta attenzione di Höch ai flussi evolutivi del costume nella sua epoca, riunendo nello spazio imponente della rappresentazione un vocabolario di immagini documentarie, tra serietà e gusto del grottesco, adibite a recuperare luoghi privilegiati e riferimenti a personaggi celebrati dalle mitologie contemporanee: politici del governo repubblicano e militari del trascorso regime prussiano, figure storiche del comunismo internazionale (Lenin, Marx, il dirigente sovietico Radek) ed esponenti del movimento dadaista locale, attrici, ballerine e altri conosciuti protagonisti del mondo artistico (si registra anche un ritratto della pittrice connazionale Kathe Köllwitz) o dello spettacolo, ma anche oggetti meccanico-industriali ed animali, risultano appaiati e fusi insieme in un affastellato catalogo di voci narrative, come un caleidoscopio di mirabolanti istantanee scorrevoli su uno schermo cinematografico (invenzione particolarmente ammirata e seguita da Hannah), riverberate coi segni vitali d’appartenenza al mondo mutevole e transitorio dell’iconografia pubblicitaria.
La cartina geografica inclusa al margine della composizione contrassegna il pugno di stati europei in cui è consentito il voto alle donne, che Höch delimita quale condizione minimale per legittimare una cittadinanza politica, ancora largamente negata nel primo dopoguerra, nonostante l’impegno profuso dal femminile nell’amministrazione economico-sociale dei paesi durante il conflitto, in sostituzione dell’impegnata (sul fronte bellico) popolazione maschile. Un’esplicita denuncia delle "prospettive" di genere all’interno della vita matrimoniale si rileva in alcune opere, come la doppia versione di Coppia borghese di sposi, appartenente al periodo dadaista ma tematicamente ripresa nel ’40 con Litigio secondo una coinvolgente necessità d’approfondimento, quindi in La sposa e Il sogno della sua vita, eseguite invece nel triennio 1925-27, in cui la visibilità del ruolo subalterno contemplata dal dualismo patriarcale è richiamata attraverso oggetti interni all’orizzonte di abitabilità domestica (macinini da caffè, grattugie per formaggio, stufe a legna), che configurano un dipanarsi del sapere femminile racchiuso nel processo di riproduzione familiare, ulteriormente avvilito da precisi riferimenti (autobiografici?) agli accesi contenziosi coniugali. Quest’ultimo lavoro fruisce però di una vena giocosa, con ridenti immagini della sposa ostentate su pose scherzose da cartolina illustrata, che insistono sul filo dell’autoironia innescata dall’avvenimento "iniziatico".
Nell’acquaforte del ’20, l’iconografia della sposa-manichino declina invece una spersonalizzante lettura della rappresentazione di genere consegnata allo sguardo "impietoso" sull’evento "esiziale" delle nozze, che dai modelli metafisici dechirichiani trae gli effetti di "spaesamento" esistenziale con cui i flussi interiori della coscienza riflettono il loro atteggiamento d’inadeguato confronto coi mutamenti della realtà, in questo caso sanciti dalle mortificanti implicazioni afferenti alla nuova condizione casalinga. Le esecuzioni più tarde rivelano stilemi rinvenibili nelle tematiche surrealiste, mutuate da Ernst ma anche da fonti direttamente fruite nella Parigi bretoniana degli anni venti. La testa della sposa, sostituita con quella sovradimensionata di un neonato, azzarda un nucleo significante d’ingenuità infantile, giudizio accordato alla scelta del futuro destino intrapreso dalla giovane moglie, che attorno a sé può contemplare visioni premonitrici di bambini, lacrime ed altri rilievi di tracce familiari inquietanti, interpreti di un’esistenza inesorabilmente avviluppata entro atmosfere da incubo.
Aloni misterici e simbologie espressioniste permarranno in soluzioni degli anni trenta, posteriori all’avvento del nazismo, come Tempesta, Ansia e I derisori, che investono l’istanza rappresentativa con un’intensa carica emotiva da cui emergono minacciosi segni d’insicurezza, sintomo di precisa condizione apprensiva da cui riecheggiano i timori esistenziali vissuti in epoca hitleriana, mentre visioni oniriche impregnate di un rapporto tardo-romantico ancora costituito con la natura, assiepato su possibili fusioni armoniche tra mondo organico e inorganico, pervaderanno gli umori delle creature allineate lungo il comune percorso di Il sentiero, saliente al ‘27. Influenzata dalle tecniche di collage adottate dal leader di Colonia, la pittrice gli dedica nel 1920-21 l’omonimo fotomontaggio Dada-Ernst, rievocandone i lineamenti sommari nella precedente e curiosa esecuzione Da dandy, in cui frammenti di corpi femminili abbigliati secondo il gusto corrente, iscritti entro un didascalico profilo doppio dell’artista, suggeriscono ironicamente la deriva dell’immaginario maschile nei meandri autoreferenziali del narcisismo dandystico, seducente emanazione di fascino intellettuale su cui si è largamente esercitata la vanità di molti affiliati alla comunità dadaista (berlinese e non).
A questi lacerti fotografici della figura femminile, l’artista affida la traccia della celebrazione dadaista operata dal maschile sul "gentil sesso", che persiste nel sottoporre il corpo delle donne a un esame fondato sul rilievo delle qualità esteriori, contemplandone la visione separata delle parti fisiche in sfregio all’intento di convalidarne le insondabili e meno apparenti doti di protagonismo intellettuale, non diversamente dai certami di quelle convenzioni borghesi avversate sul piano politico-morale e detratte con l’azione "performativa". L’umore scanzonato di Hannah colpisce la parabola ormai discendente del movimento, adibendo il linguaggio obliquo e allusivo della tecnica provocatoria inscenata dalla formazione per svilire, o semplicemente contraddire deridendola, l’intrinseca costruzione di senso inerente alla sua anti-logica discorsiva: In Proverbi di vita, allestito nel ‘22 per montaggi di linee orizzontali e verticali, il rapporto di esilarante contrasto tra testo e immagine si fonda sul contrappunto creato tra l’affiancare frasi riprese dai colleghi del gruppo (Huelsenbeck, Arp, Schwitters, Hausmann ed altri) a immagini contestuali che ne incrinano la credibilità della sequenza semantica, così la foto del crocifisso medievale assurge a "risposta" dissonante per la contigua e già paradossale domanda "La morte è un affare specificamente dadaista!", mentre l’interrogativo "Può una persona incarnare tanto pienamente la condizione paradisiaca nella sua moralità?" istilla dubbi inaccertabili campeggiando sulla superficie di una carta astrale. Anche la boxe, sport che per gli annessi requisiti di determinatezza distruttiva assimila e riassume i connotati di un protagonismo eminentemente "maschile", diviene ulteriore elemento di commento ironico a causa dell’interesse suscitato presso la comunità dadaista, irretita verso questo esercizio di supremazia fisica da una vena populistica orientata a enfatizzare pretese qualità "democratiche" nel duro scontro di forze, rinvenibili secondo questa visione nella "fascinazione" per un meccanismo del confronto diretto affidato alle sole strategie di sopravvivenza individuale, giustificando così la feroce brutalità della competizione con supposte potenzialità d’equilibrio nelle risorse in campo.
Con Dada-Ernst e Bella ragazza, le immagini di combattimento sul ring sono sottratte alla consueta dimensione agonistica e accostate ad oggetti o spazi visivi decontestualizzati, inducendo alterazioni narrative che ne deconcentrano i nessi ordinari svuotandone il tanto conclamato pathos del contenuto. Soluzioni formali di spazialità ortogonale, dunque sviluppate secondo coordinate cartesiane, si snodano sui collages di Hannah nel periodo 1922-25, come Astronomia, Poema, Stella di merletto, Senza titolo, Dada, irradiando le linee geometriche d’ingaggio costruttivista dell’architetto olandese Theo Van Doesburg (fondatore del locale movimento De Stijl), linguaggio già meditato dopo il proficuo incontro parigino con Mondrian nel ‘24, e soprattutto dell’ungherese Laszlo Moholy-Nagy (assieme alle rispettive mogli, legati in questa fase da solida amicizia all’artista tedesca), che l’applicherà alle qualità di sviluppo del design attraverso studi ulteriori sull’emergente cinematografia sperimentale, altro settore d’interesse particolare per Höch. Approdato su esiti costruttivisti quando negli anni venti l’atmosfera di "ritorno all’ordine" coopterà energiche spinte verso il recupero estetico della forma "classica", ratificando il conseguente esaurimento della fase propulsiva confidata alla piena libertà del processo creativo, l’amico "post-dadaista" Schwitters, dopo aver già pubblicato diverse riproduzioni di Hannah sul periodico da egli stesso redatto "Merz", richiederà la sua collaborazione per l’allestimento di due "grotte" da integrare nella struttura del progetto architettonico Merzbau, ubicata nella propria casa di Hannover.
Preparati con materiale fotografico e collages, entrambi gli "inscenamenti", significativamente denominati Bordello e Cattedrale della miseria erotica, propongono parodie dello sguardo sessuale maschile sulle donne, attinente sia alla dimensione voyeuristica, resa inoffensiva col ritratto grottesco di una prostituta a tre gambe che requisisce le visibili doti attrattive solitamente qualificanti l’oggetto d’attenzione, quanto all’esito demistificante, teso ad infrangere con vena giocosa il mito seduttivo costruito dal manto romantico sul simulacro letterario di Goethe. Insieme con Schwitters e alla poeta Til Brugman (con la quale Höch intrattenne un’importante relazione omosessuale nel decennio 1926-35), la pittrice si era prodigata in improvvisati rilievi scultorei utilizzando detriti raccolti sulla spiaggia, che assecondavano l’artista di Hannover nel configurare il flusso inventivo come specchio di espressione autonoma sottratta al valore capitalistico delle merci, e in cui l’innalzamento a prodotto estetico di materiali poveri e/o riciclati intendeva sancire il definitivo divorzio tra qualità dell’esperienza creativa e "purezza sublimante" dei mezzi adottati per esplicitarne i contenuti. Declinate entro canali d’ambiguità sessuale, alcune opere maturate nel periodo di sodalizio con Brugman esplorano gli effetti delle pulsioni sentimentali in gioco nella corrispondenza amorosa, indirizzandoli verso orizzonti di aperta e multiforme flessibilità, svincolati dalla legittimità imposta all’ordinamento eterosessuale.
Uno di questi lavori, Il domatore, conferendo abitabilità alla simultanea compresenza di elementi maschili, il busto e le braccia vigorose, quanto femminili, la maschera eburnea della testa e la sottile costruzione delle gambe, abilita una ricerca sulle varianti dell’individuo intesa a superare la fondazione monotetica dell’essere sessuato (ulteriormente asserita dalla presenza della foca, segno animale generalmente associato all’ibrida natura dell’umano), paventando un equilibrio distributivo più fluido nel ristabilire i luoghi competenti di ciascuna figura nel comune spazio d’azione sociale. Uomini forti ritorna nel ’31 sul tema della boxe per creare un disarmonico controcanto tra la sagoma vigorosa del famoso pugile tedesco stagliato sul fondo e la testa visibilmente in luce con la sua natura androgina, inquadrata a copertura parziale del corpo atletico combinando un frammento di volto maschile con la complementare metà femminile; il dispositivo allestito provoca un organico "smottamento" semantico nei confronti della significazione di genere, che depone contro la compartimentazione rigida dell’identità sessuale collocando una consapevole cifra interrogativa sulle definitive certezze riecheggiate dagli schemi patriarcali, e ingenerando qualche dubbio conseguente sulle istanze di rappresentazione simbolica.
Hannah Höch, Unità di scoppio, 1955.
Analogo trattamento riceve in Höch la bellezza classica, che in Esibizione di moda convoglia, su identici modelli di vestiti femminili, scomposti brandelli della "sublime" Venere botticelliana accanto a frammenti di volti deformati espressionisticamente e incongrue immagini infantili dai connotati indigeni extraeuropei, a confermare la riproposizione superflua di antichi retaggi estetico-culturali, in un epoca di grandi trasformazioni per i destini delle donne. Le scoperte autogene sulle potenzialità espansive della sfera sessuata, peraltro oggetto di studi scientifici durante gli anni venti sull’onda di una necessità di controllo acclusa ai timori fallocentrici per i caratteri "mascolini" riflessi dalla "New woman", liberate dalle norme assegnate col patriarcato alla funzione riproduttiva, rafforzano l’analisi condotta nel lavoro artistico di Höch sul ruolo sociale impartito alle donne, e dilatano la visione critica rivendicando l’insorgere di una rappresentazione di genere che altera la complementarità prefigurata dal dualismo maschile-femminile, riappropriandosi di una vitalità ulteriormente riverberata dall’evoluzione del costume.
Altro esempio di gioco ibrido, stavolta riflesso dalla realtà storica, riveste Danzatore indiano, inserito nel ciclo Da un Museo Etnografico, in cui una maschera "primitiva" ricopre parzialmente il volto protagonista dell’attrice-interprete nel film "Passione di Giovanna D’Arco", realizzato nel ’28 da Carl Theodor Dreyer, che riprende il celebre e controverso personaggio dell’eroina per riportarne in luce la sostenuta inversione di ruolo nel porsi alla testa dell’armata francese, l’intollerata capacità espressiva da parte del potere inquisitorio maschile e la conseguente riduzione al silenzio di quell’insorgenza soggettiva dai contorni "pericolosamente" ambigui, sottolineata dal rigido blocco di pietra sovrapposto alla bocca col fotomontaggio.
Confortate da tali prove lessicali, le modificazioni del vocabolario stilistico dopo la fase dadaista s’inseriscono in un registro tematico collegato all’irruzione del protagonismo femminile sul teatro della scena pubblica, testimoniata dalla maggiore attenzione che l’apparato mediatico, tramite giornali e riviste illustrate, dedica all’iconografia di genere, non più relegata nella pur configurata quotidianità del chiuso assetto domestico, ma elevata altresì a soggetto finalmente attivo sul mondo. Nascono da questa coscienza del cambiamento, fotomontaggi come Senza titolo nel ’21 o il coevo Bella ragazza, ma anche L’insegnante di ginnastica e i posteriori Marlene e Costruita per una festa, con iconografie di donne in forma fisica smagliante, colte in costume da nuotatrici o in succinte vesti da ginnaste che ne evidenziano gli attributi di seduzione, fascinose e sorridenti in quanto consapevoli di un’identità rimasta troppo a lungo sopita, ma ormai depositaria di un diritto acquisito con la forza dell’intervento partecipativo. Sull’onda del revival dadaista negli anni sessanta, Hannah tornerà sull’immagine di copertina riversata dalle riviste femminili, rompendo l’uso rigoroso dell’elemento astrattivo, mantenuto per oltre un ventennio, e rinnovando la veste iconografica di suoi antichi lavori.
L’interesse per le scienze biologiche si avvarrà di testimonianze estrapolate dal repertorio zoomorfico e botanico per imprimere imperscrutabili proprietà metaforiche di commento ironico ai caratteri esteriori dei soggetti formali, come i frammenti somatici dei rapaci apposti sulla donna di L’eterno femminile 2 (unico, tra i titoli doppi, senza conosciute corrispondenze con opere antecedenti), indice della presunta ferinità assegnata alla natura di genere, o per fondere l’insieme donna-animale nella combinazione omogenea di Tristezza 2, in cui l’espressione visiva dello stato d’animo è affidato a labbra femminili poste sul muso di un giaguaro. Non manca la continuità di una riflessione critica sull’universo sessuato, che con l’orribile maschera tribale, sostituita alla testa del corpo sinuoso in Bellezza straniera 2, e nello scorcio di donna seminuda in Via con la festa, gioca sulla gratificante qualità degli attributi fisici per richiamare l’attenzione sulla necessità di sottrarsi ad assecondare l’avidità dello sguardo maschile, oggettivando in funzione attrattiva i frammenti esteriori di un’unità biologica invece arricchita da complesse (e spesso accantonate) qualità d’interscambio.
Dispositivo analogo appare in Degenerata, con ulteriori avvertenze sulle possibili derive dell’arma seduttiva affidate a parti "aliene" del corpo femminile, attagliate ai criteri richiesti dall’iconografia "ufficiale" secondo una pretesa conformità all’immaginario maschile, che restituiscono all’autonomia delle donne l’inutile simulacro di un oggetto piacente sul quale contemplare gli sterili emblemi di un protagonismo virtuale. Una notazione parodistica sulla bellezza riceve, in Omaggio a Riza Basi, il florido modello orientale di danzatrice del ventre, rinviato all’obiettivo straniante con l’apposizione sproporzionata di una testa, ritratto fotografico dell’attrice Audrey Hepburn, che destruttura la compattezza estetica del "messaggio" sessuale. I colori brillanti delle labbra in Intorno alla bocca rossa, così come quelle di Marylin Monroe (quasi una citazione warholiana) in Piccolo sole, nel contrasto con le tinte chiare e altrettanto vivaci della veste bordata allestiscono uno stereotipo di visibile richiamo sensuale, ripreso dalle sorridenti immagini pubblicitarie, che sembra appositamente segnalare l’atteggiamento di eccessiva accoglienza speso devoluto alle attese del desiderio maschile.
Sulla strada del settimo paradiso e Vagabonde, realizzate tra 1926 e 1934, rimarcano invece la centralità occupata dalla coppia femminile nell’immaginario della pittrice, sospesa in un trama di corrispondenze che recupera taluni moduli espressivi dalle precedenti Bambole dada, mentre Amore, appartenente ad un ciclo illustrativo sull’omonimo tema, sembra concentrare lo sguardo analitico sulle difficoltà incontrate nello scambio con Brugman, utilizzando una sintesi allusiva (la cimice con gambe femminili volteggiante "insidiosamente" sopra la donna nuda distesa), da cui si evincono chiari sintomi di una tensione affiorante. Inquietudini affini, ma più circostanziate, si riscontrano in La cantante, tradotte su stati emotivi d’ansia ed esclusione di sapore ancora autobiografico, legati alla pungente gelosia per la relazione intrattenuta dalla sua compagna con una "virtuosa" della lirica, che la conduce ad imprimere alla raffigurazione dello slanciato corpo femmineo impegnato nell’acuto, il volto grottesco e sgraziato di un uomo anziano dai tratti asinini, emblema palese dell’irritazione nutrita verso le doti estetico-performative della vocalista.
L’iconografia maschile, già difficile da ritrovare nell’opera di Hannah, si ammanta spesso di connotazioni negative, che se ascrivono al genere dominante gravi responsabilità per la corruzione del potere politico e una gestione della diplomazia condotta cinicamente all’insegna della guerra e del totalitarismo, rispecchiano il segno altresì evidente di un’esperienza personale non lusinghiera. Nel 1923-25, affrontando il tema dell’amore eterosessuale, il binomio di sequenza compositiva Cocotte 1 e 2 registra l’impostazione di teste o corpi di uomo su relative anatomie animali, e perfino nel tardo ’63 con Grottesco, l’approccio tra i due sessi tratteggia un atteggiamento maschile infido e poco rassicurante, a indicare una globale confezione allegorica di degradante sapore "ferino" ascritta alla natura del genere eteroclito, che ne riassume la diffidenza per le capacità d’accesso all’interscambio emotivo col fraseggio ironico e la parodia dissacrante.
L’angoscia per le sorti delle vicende politiche tedesche, nell’imminenza dell’ascesa hitleriana, convergono in lavori descrittivi sui riflessi delle tensioni interne, già espresse nei contorni a fondo cromatico scuro di La malinconia e Depressione. Quest’ultima sviluppa un congegno compositivo in cui la testa del rinoceronte emergente dal sipario strappato sul fondo, rovesciata per accentuarne ulteriormente la terribilità dell’aspetto, esalta la potenza di un’immagine inquietante, associandosi alla grande mano minacciosamente sporgente dalla cornice del fotomontaggio, e crea un effetto complessivo di forte impatto psicologico, redatto per sollecitare impulsi reattivi sul torpore inconsapevole delle coscienze e avviare una fase meditativa sull’emergenza del momento politico. Inoltrata già negli anni venti a esplorare i territori dell’astrazione, conformati però entro le scansioni geometrico-spaziali delle coordinate costruttiviste, la ricerca dell’artista comincia a indirizzarsi sulle tracce di paesaggi fantastici con Nel deserto, o verso ipotesi in cui vagheggia recuperi dell’invenzione favolistica, come avviene per Gli stivali delle sette leghe, che dalla narrazione trae liberamente la figurazione mirabolante del volo. Approdando a linguaggi di suggestione surrealista, Höch si avvale di attraversamenti problematici che non rinunciano al concetto di forma per penetrare la traduzione di pulsioni inconsce tramite la scrittura automatica, e ne Il serpente marino compone una processione onirica con l’utilizzo di creature zoomorfe dai tratti fantastici, immerse in una fredda cromia grigio-verde che smaterializza la linea demarcativa tra cielo e mare, accrescendo ulteriormente l’atmosfera di sospensione dell’ambientazione scenica. Alla situazione di squilibrio attivata in Incidente, con ruote di carro poste disordinatamente su piani di superficie sfalsati in cui appare difficile ritrovare precise coordinate di orientamento, corrisponde un procedimento intenzionale di Hannah, che fino agli anni quaranta ripercorrerà didascalicamente il motivo del volo e della perdita fisica di equilibrio con curioso iter continuativo.
Hannah Höch, Degenerata, 1969.
Tema presente già nel ’25 in Bilancia, con la posizione d’instabilità asserita da figure oscillanti su un piano inclinato, e proseguito in immediata successione con le gambe dei lavoratori pendenti dal cavo "aereo" in Dall’alto, l’asserto problematico conosce nuove modalità risolutive, come nelle ballerine immerse tra le nuvole e sospese nel vuoto di Mai tenere entrambi i piedi sulla Terra fino alla danzatrice che balza oltre la ruota del carro in Rapsodia ungherese, entrambe realizzate nel ’40.
Se queste ultime composizioni declinano contenuti che s’allontanano gradualmente dai nessi logici della realtà, in quanto la costruzione dell’allestimento visivo non riceve conforto da relazioni coerenti e associazioni possibili nel mondo fisico, disvelano altresì un progressivo atteggiamento di pessimismo, delineato sullo snodarsi degli eventi politici. Gli inquietanti segnali d’intolleranza razziale, l’abbattimento delle libertà espressive col disprezzo conseguente per la democrazia, l’amplificarsi delle tensioni revansciste e xenofobe con l’ossessione per un’idea d’espansionismo imperialista convertita in dispositivo demagogico di consenso sulle masse, e infine la deriva bellica, costituiscono cifre di lettura che convogliano sulla pittrice un’avvertita urgenza di rinnovamento morale e l’ininterrotta volontà di difendere le conquiste storiche dei ceti popolari secondo i dettami del proprio credo politico, ma instillano un senso altrettanto acuto di precarietà dell’esistente, una sofferenza sottile per l’avvertita regressione dei sentimenti comuni e la perdita dei moventi di solidarietà sociale.
Tutto questo si traduce in quella rappresentazione di vuoto, nella dimensione minoritaria in cui l’inerte contemplazione sullo sfaldamento delle certezze acquisite non induce processi evolutivi di trasformazione, che Höch matura quale strategia di riflessione personale per innestare sul fare artistico paradossali sigle stilistiche e giochi di fantasia, aperti in brillanti esplosioni cromatiche, quasi ad assecondare riposti desideri pindarici di veleggiare dall’orizzonte reale verso possibili altrove. La verve surrealista si dipana in epoca di guerra con Vele chiare e Notte da sogno, mantenendo i colori glaciali e "incomunicanti" di Serpente marino, oppure arricchendone i contrasti, come si rileva in Sul Nilo 2, per creare composizioni in cui l’immissione di oggetti e animali appartenenti al mondo naturale non riveste ormai alcuna funzione specifica, ma infittisce semplicemente la gamma variabile di elementi combinati nell’apparato estetico.
In Colomba della pace, eseguito nel ’45, l’assembramento di reperti metallici connota un paesaggio di archeologia industriale in cui il retaggio costruttivista cela la sintesi di una speranza ormai inverata con l’esaurimento delle operazioni belliche, e affidata al volo dell’uccello portatore di pace sulle rovine dei cannoni accatastati insieme con altri simboli riconoscibili del nazismo. Nel 1955, anno in cui la Germania accetta il nucleo "protettivo" della NATO, l’artista tornerà a rivestire il suo lavoro di contenuto politico, fruendo naturalmente di mezzi stilistici diversi, attuati combinando le proprietà del collage e della fotografia. In Unità di scoppio la qualità astrattiva della composizione disegna un assemblaggio di forme disparate che si schiudono nello spazio a rievocare tracce floreali dai vistosi contorni coloristici, rivelando analogie evocative con un’esplosione atomica, immagine sgomenta del sapere tecnologico deviato in funzione deterrente nel confronto tra i blocchi est-ovest.
Qualche tempo dopo, l’estendersi della guerra fredda suggerirà ad Hannah la realizzazione de L’angelo della pace, ancora incentrato sui potenziali pericoli scatenati dalla divisione europea in aree satellitari delle superpotenze nucleari, timori consegnati all’allusione ironica dell’intervento divino, che coi raggi visibilmente discendenti in compatte strisce monocromatiche, sembra consegnare al solo evento metafisico l’efficace effetto di tregua su una situazione bloccata in cui il ristagno comunicativo delle risorse umane appare evidentemente insormontabile.
In altre opere degli anni cinquanta, la passione per le scienze biologiche riaffiora nell’uso di riviste specialistiche, per annettere ingrandimenti di reperti animali o vegetali osservati al microscopio entro configurazioni di ardita combinazione spaziale, con vividi contrasti cromatici che mescolano eterogenee soluzioni biomorfe per suggerire tramite il filtro evocativo i contorni di oggetti "misteriosi" e simbolici: così avviene per le atmosfere inquietanti che regnano nello stridente contrappunto chiaroscurale de Il male di fronte, o per le eliche aeree inserite attorno ai nuclei di petali in Fiori sintetici (chiamati altresì Cardi a elica), ma anche per gli effetti ottenuti con gli accordi illusionistici della fotografia assieme al collage in Fata Morgana ed Epico. Con Quando fioriscono le fragranze e Gioco ordinato di colori si consolidano invece i nessi con l’azzeramento della forma messo in atto dall’astrattismo informale (o neoespressionista) di Jackson Pollock, Willem De Kooning e Hans Hartung, in cui le superfici riccamente colorate dei fotomontaggi si giustappongono senza intenti costruttivi o di definizione spaziale.
Nell’ultimo lavoro del 1972-73, completato a pochi anni dalla morte (avvenuta nel 1978 a Berlino) e recante il titolo significativo Ritratto di vita, Höch sembra orientata a riannodare i fili della memoria per accomiatarsi, quasi ottantacinquenne e ormai afflitta da progressivi problemi alla vista, dalla carriera artistica, attestando, con l’ampia dimensione del progetto, la determinatezza del programma rievocativo. Un affastellamento di ritagli con luoghi, persone e autocitazioni biografico-compositive, che rammenta l’effetto visivo del giovanile Tagliato con un coltello da cucina dada, costella ed alimenta questo percorso di rivisitazione scenica, il cui intento autocelebrativo, sottolineato dalla prevalente collocazione di proprie immagini stagliate secondo scansione cronologica, se forse nasconde un velo sottile di malinconica nostalgia per i legami con un mondo affettivo ormai disperso, manifesta una vena di gioiosa freschezza in cui trovano ancora spazio gli squarci di quell’ironia indomita ed emblematica che ne ha forgiato la chiave interpretativa del divenire.
Roma, Ottobre 1998.
Paolo Mastroianni
Link al saggio originale:
Significazioni trasversali nell'estetica di Hannah Höch
LINK ad un video You Tube sull'autrice:
[A cura di Elisa Cardellini]