









Con questa categoria "Scritti da riviste dada" ci riproponiamo di far conoscere, in una traduzione speriamo adeguata, quegli scritti minori, e a maggior ragione del tutto sconosciuti nel nostro paese, degli autori dadaisti che comparvero nelle riviste storiche del movimento. Cercheremo di scegliere tra i più interessanti di essi, che si tratti di poesie, brevi opere teatrali, racconti, scritti teorici, non importa.
Iniziamo con un singolare lavoro teatrale scritta a tre: Breton, Desnos e Péret, intitolata "Comme il fait beau!" e che abbiamo tradotto con Ma che bel tempo! Questo breve scritto apparve sulla rivista per eccellenza del movimento dada parigino e cioè Littérature edita sin dal marzo del 1919 a Breton, Aragon e Soupault e che per meglio contrassegnare la propria svolta verso l'avanguardia ricominciò la propria numerazione nel marzo del 1922 dando luogo alla nuova serie dichiaratamente dadaista.
L'opera è significativamente dedicata a Max Ernst, il dada tedesco ammirato dai parigini il quale fece conoscere loro la tecnica del collage con cui molte delle prime opera dadaiste francesi furono scritte da singoli o più autori. È chiaro che anche altre tecniche che proprio a quell'epoca i dadaisti parigini andavano collaudando possono anche essere state usate dalla scrittura automatica ad un antenato del "cadavre exquit", non escludendo, anzi, quella del cosiddetto "sommeil", lo stato di trance in cui sembra che proprio Desnos eccelleva. Il tutto supportato dalla grande carica di umorismo che non è mai mancato a questo movimento e che fa sì che spesso in traduzione vadano persi gli innumerevoli doppi sensi.
Molto interessante in questa prima parte tradotta, il cosiddetto albero genealogico che appare ad inizio dell'opera e che è un abbozzo ad una vera e propria ricerca dei propri antenati da parte dei dadaisti, vi compaiono non a caso, tra altri volutamente provocatori, i nomi di Sade, de Chirico, Cravan, Vaché, Lautréamont, Henri Rousseau, Roussel, Apollinaire, Freud, Rimbaud, Jarry.
COMME IL FAIT BEAU!
Copertina della rivista dadaista parigina Littérature. Fondata da Breton, Soupault, Aragon nel 1919.
Pagina iniziale dell'operetta teatrale Comme il fait beau!, tratta dalla rivista Littérature, organo del movimento dada di Parigi.
MA CHE BEL TEMPO!
A Max Ernst.
Nella foresta tropicale. A destra l’albero genealogico lascia vedere l’albero a molla che sale e scende durante tutta la scena. Un banyan occupa tutta la sinistra. Enormi pensieri da ogni parte. Uno specchio è posto sul fondo.
Due scimmie, un insetto-foglia. All’alzarsi del sipario la prima scimmia completa con il gesso l’albero genealogico sul quale figurano un certo numero di nomi: Sade, Nouveau, Chirico, Cravan, Hegel, Vaché, Lebaudy. Sotto dettato della seconda scimmia lo si vede riempire le insegne vuote: Lautréamont, Henri Rousseau, Roussel, Nerone, Apollinaire, Mongolfier, Freud, Rimbaud, Galileo, Jarry, Marat, Robespierre, Colombo, Fantomas, Deschanel, Rosa Josepha ed infine Silexame. Fatto ciò, la prima scimmia scende precipitosamente dall’albero genealogico e si accovaccia al suolo.
SECONDA SCIMMIA. –Ho una mano che non ha peli, ho una mano che non ha peli (le due braccia estese) è più grande dell’altra. I frutti, non è vero, non c’è modo di prenderli: non si staccano dagli alberi e quando ci si appoggia sopra, ci si accorge che sono sonori. (Agitazione). C’è dell’acqua negli alberi; c’è dell’acqua. L’aria è pesante, è come una cosa, è quasi come una cosa liquida.
L'insetto-foglia, rimasto sino ad allora invisibile, scende a terra.
PRIMA SCIMMIA. –Fai attenzione alla grande faccia bianca perché la grande faccia bianca gira e può schiacciare le mani. Quando passa, i sessi sono attratti da esse ed ha il potere di trasformare l’aria in sabbia.
L’INSETTO-FOGLIA. –Vedete come sono bella con la mia veste mica a microbi.
PRIMA SCIMMIA. –La sabbia è ovunque, ovunque. Gli alberi diminuiscono. La sabbia sale. Sento il mio sesso che si dilata, si dilata. Non è più che un punto. Sparisce come una nuvola. (piange).
SECONDA SCIMMIA. –È perché si appende per la coda che è nella sabbia.
L’INSETTO-FOGLIA. –Grandi parti di tempo crollano sulle carte mute come delle carpe. (Silenzio).
Un enorme verme attraversa la scena e sparisce.
(Silenzio).
L’INSETTO-FOGLIA. -In amore tutto vuol dire ruga.
IL FORMICHIERE (entra gridando). –Ve lo chiedo forse per la millesima volta: non spiegatemi la natura delle cose.
IL CANGURO (entrando). –Anche per me è lo stesso. Cosa volete che vi dica quando mi si racconta una storia così: “Il Presidente di Gourges ha fatto arredare alla Signorina Baligny-Fontaine una sala in damasco cremisi. Ma lei non ha nulla di più bello delle sue braccia di camino: il suo fuoco è d’oro. Il cielo del suo letto è di ghiaccio. Non vorrebbe mai dormire per quanto piacere prova nel vedersi. Delle ghirlande recano quest’iscrizione: ‘Fai il bene’, non si sa se sia un precetto d’amore o del Vangelo”.
L’INSETTO-FOGLIA. –Dalla miseria isterica vedete sorgere le parole storiche.
PRIMA SCIMMIA. -Ecco un ben strano animale (indica il banyan). Ha l’aspetto di un fascio di rami ritorti che si estenderebbero all’infinito. È viola pallido. Non so il suo nome ma quest’animale è molto triste perché ha perso il suo sole. Non ha di che rimpiangerlo eppure, il suo sole: era un sole di felce. Ripete tutto il tempo: “Ho perso il mio sole”. Comincia ad infastidirci.
IL RAGNO (entra e si arrampica sull’albero a molla). –Come il banyan la società intera non è che un insieme di solidarietà che si incrociano.
IL CANGURO. –Ho letto questa mattina nel Times che il conte di Rochefort ha dato quindici luigi alla grande La Croix. A mio avviso è pagare troppo caro una deposizione dalla croce. Ha egli stesso ammesso che essa avrebbe dato da poppare, come le negre, da dietro le sue spalle.
IL FORMICHIERE. –Non scambiate i limoni per delle uova né i semi di limone per altre uova. Non scambiate i frutti per degli occhi.
PRIMA SCIMMIA. –Piccione vola!
SECONDA SCIMMIA. –Crisi vola!
PRIMA SCIMMIA. –Rosso vola!
SECONDA SCIMMIA. –Dio vola!
PRIMA SCIMMIA. –Suicida vola!
SECONDA SCIMMIA. –Dente vola!
PRIMA SCIMMIA. –Vulcano vola!
SECONDA SCIMMIA. –Unito vola!
PRIMA SCIMMIA. –Seno vola!
SECONDA SCIMMIA. –Ostia vola!
PRIMA SCIMMIA. –Polo vola!
SECONDA SCIMMIA. –30 febbraio vola!
PRIMA SCIMMIA. –Necessità vola!
Un enorme bozzolo bianco arriva rotolando e si immobilizza in mezzo alla scena.
SECONDA SCIMMIA. –Sporcizia vola!
PRIMA SCIMMIA. –Sergente vola!
SECONDA SCIMMIA. –Sepoltura vola!
PRIMA SCIMMIA. –Non so cosa vola!
IL FORMICHIERE. –Ve lo chiedo forse per la millesima volta! Non spiegatemi la natura delle cose.
IL RAGNO. –Puh! Lo stupido animale che non pensa che a mangiare, bere e dormire.
L’INSETTO-FOGLIA. –Ahimè! Tutto mi impedisce di dormire. Le radici mi danno delle coliche, le sardine crisi nervose. Se fumo una sigaretta, passeggio sonnambulicamente sui tetti. Impossibile bere un cocktail senza essere colpito da amnesia. Credete forse che possa vendicarmi subito? Ebbene no, il latte mi rende mistico. Sono così impressionabile! Non posso guardare il mare dove riposano tante brave persone senza essere portato a lasciarmi schiacciare tra due foglietti delle “Lusiadi” che il vento gira sulla barriera corallina. Non posso vivere nei distretti minerari senza sostenere, per mezzo di una canna, le mie forze manchevoli. Statue di cristallo o di zolfo, l’immobilità di cui la vostra vista mi colpisce è forse più assoluta della vostra. Cammino in una perpetua vertigine da quando ho incontrato una donna. Non appena mi guardo in uno specchio, piango tutte le lacrime del mio corpo.
PRIMA SCIMMIA. –Per la vostra emofilia, fatevi le iniezioni di gelatina, ma abbiate cura di sterilizzare a 120° per evitare il tetano.
SECONDA SCIMMIA. –Non dimentichiamo che la più nobile poesia è nata dal dolore; che la sofferenza umana ci ha valso la pietà, la tenerezza; che il dispiacere ci ha spesso costretti, sia ad late riflessioni sia all’attività salutare. Non dimentichiamo neanche che il cervello dell’uomo non percepisce che le differenze, e che una gioia che non finisse rimarrebbe inavvertita. È quando comincia a venire o quando cessa di essere che gustiamo la nostra felicità. E capisco il cavaliere Tannhaüser a cui le perpetue delizie del Venusberg non procurano altro che noia e che chiede di andarsene a soffrire e lavorare come gli altri.
L’INSETTO-FOGLIA. –Gatti pieni di pulci, quando darete dei cappelli ai papua?
Il bozzolo si fende in senso verticale. Ne esce una grande farfalla che batte le ali per un istante e sparisce per far posto ad un grande lume a petrolio accesa. La farfalla è accolta dai sospiri di tutti gli animali. Non appena è sparita la lumaca, l’insetto-tibia ed il rinoceronte fanno il loro ingresso.
SECONDA SCIMMIA. –Questo qui sente di cattivo. È fastidioso quest’odore. Quale impudicizia!
L’INSETTO-TIBIA. –Se sento, è per meglio parlare, ma ciò che dico è senza calore e me ne vado, fuggo perché un’immensa rondella scende dall’alto del sole. Sicuramente il sole cadrà su di essa.
IL CANGURO. –La signorina Cornu ha cambiato pelle: ha debuttato con quella di una mulatta; e sono attualmente dei gigli per questo delle rose per quest’altro. La lavandaia ne trova persino nella sua biancheria.
L’INSETTO-TIBIA. –Sono colui che suona, colui che suona, colui che non udrete perché nelle vostre orecchie si agitano i soliti serpenti. Perché vi imbarazzate dei serpenti mentre sarebbe così bene ascoltarne i respiri? (Esce).
Tutti gli animali fanno cerchio intorno alla lanterna, l’insetto-foglia si lancia sul vetro della lanterna; oscurità, grida di spavento, silenzio, poi in una luce soffusa apparizione del Piede, la pianta rivolta verso il pubblico. Il rinoceronte dà dei colpi con il suo corno, dal basso verso l’alto, lungo la faccia interna del piede. L’alluce si flette lentamente. Riprende la sua posizione normale dopo la partenza del rinoceronte. La lumaca, viene allora a porsi davanti al piede.
LA LUMACA. – I. In origine il morso creò il tabacco e l’antracite.
II. Il tabacco era informe e glabro. Le fumate ricoprivano la faccia dei passeggiatori e lo spirito del morso aleggiava sull’alcool.
III. Ora il morso disse: “Che i piombi saltino! Ed i piombi saltarono.
IV. Il morso vide che i piombi ridevano e separò i piombi dalle fumate.
V. Diede ai piombi il nome di amore e alle fumate il nome di odio. E della sera e del mattino fu l’ultimo amore.
VI. Il morso disse anche: “Che la bocca sia fatta in mezzo all’alcool e che separi l’alcool dall’alcool”.
VII. Ed il morso fece la bocca e separò l’alcool che era nella bocca di colui che era al di fuori della bocca. E così fu.
VIII. Ed il morso diede alla bocca il nome di bacio. E della sera e del mattino fu l’ultimo amore.
IX. Il morso disse ancora: “Che l’alcool che è sotto il bacio si raduni in un sol luogo e che l’elemento arido sparisca”. E così fu.
X. Il morso diede all’elemento arido il nome di antracite e chiamò giuramento tutti gli alcool radunati. E vide che ciò era bene.
XI. Il morso disse ancora: “Che l’antracite distrugga la bandiera rossa che esce dalla guaina e le fogne che portano la loro sete in se stesse, ognuna a modo suo. Ed il morso vide che ciò era bene.
XIII. E della sera e del mattino fu l’ultimo amore.
XIV. Il morso disse anche: “Che delle lingue di piombo siano fatte nella bocca del tabacco affinché esse separino l’amore con l’odio e che esse servano da imbuto per mischiare i desideri ed i capricci, gli amori e le passioni;
XV. Che rilucano nella bocca del tabacco e che esse colorino l’alcool”. E così fu.
XVI. Il morso fece dunque due grandi lingue di piombo. Una più grande per presiedere l’amore e l’altra più piccola per presiedere l’odio. Fece anche dei denti.
XVII. E li mise nella bocca del tabacco per splendere sull’antracite.
XVIII. Per presiedere sull’amore e sull’odio, e per separare il piombo dalle fumate. Ed il morso vide che ciò era bene.
XIX. E della sera e del mattino fu l’ultimo amore.
La lumaca si ritira. Forte rumore di motore. Il piede sparisce cedendo il suo posto ad un giroscopio in movimento. Quest’ultimo finisce con il cadere e con lo sparire a sua volta.
IL FORMICHIERE. –Ve lo chiedo forse per la millesima volta: non spiega temo la natura delle cose.
IL RAGNO. –Sotto questi alberi alita un vento di poesia assolutamente irrespirabile. L’abilità dell’artista che lotta contro la natura sforzandosi di riprodurla somiglierà sempre a quella di quell’uomo che faceva passare le lenticchie da una piccola apertura ed a cui Alessandro, per ricompensare la sua arte, fece consegnare uno staio di lenticchie.
IL RINOCERONTE. –Se questo vento vi soffoca, fate come me. Conosco vicino a qui una piccola palude molto felice (Esce).
Apparizione della madrepora (canta):
Le scommesse tenute con il contagocce
Raggirano le bandiere dell’istmo
Sul sole con le macchie degli abati
L’imbuto pone le labbra
Con criminale attenzione
Sostieni le carte dello stato maggiore
Spingiamo sulla pera di velluto
E si invola dai tumuli trivellati
Il marciapiede nasconde le nevi
Promesse all’equatore
Delle scatole di battesimo girevoli
Senza rumore sui tappeti di tapioca
I mercati si offuscano pulegge
Di carezze per i vecchi venti
La madrepora è sostituita da un cavallo.
L’INSETTO-FOGLIA. –Cavallo fiore dei miei nervi, in quale canale ti bagni per diventare verde?
Il cavallo sparisce. Al suo posto una testa gigantesca si tiene in equilibrio a terra. Silenzio, gli animali danno segni di nervosismo: il ragno fugge, l’insetto-foglia riprende il suo posto precedente, il canguro salta a destra e sinistra, tutte le foglie cadono, comprese quelle dell’albero genealogico ed il formichiere le spazza con la coda. Solo l’insetto-foglia rimane sospeso ad un ramo sino alla fine della scena. La prima scimmia si lascia cadere sul ventre, le braccia a croce, e rimane immobile. Il secondo si nasconde dietro un albero.
SECONDA SCIMMIA. –Ooooooh, cos’è? Oooh, si direbbe un canto di rana. E questa forma che si disegna, è come se fosse riflessa. Andiamo, su, ecco che il fascio di rami rientra nel suolo. Che sabbia!
IL CANGURO. –Le ragazze si lamentano: tutte le gonne invernali sono in pegno per avere del taffettà.
SECONDA SCIMMIA –Ah! La sabbia, la sabbia, l’aria è piena di sabbia. Ah! L’aria è piena di sabbia. Non si riesce più a respirare. Non si sente più che la grande respirazione (grande vento). Ho forse delle spine nelle vene? Non riesco più a respirare. La sabbia. Ecco che gli alberi si liquefanno.
L’ORSO BIANCO (attraversa la scena correndo). –L’ho visto fuggire dai grandi cadaveri polari dai tutti i futuri non compiuti. Viene verso di noi con tutta l velocità delle sue bracciate ondulatorie con nelle sue labbra la sola particella ammirevole dei seni di Venere ed il seme che fa sì che Minerva s’inquieti.
L’INSETTO-FOGLIA. –Qualcosa come una grande anemone sulla quale risplendono i tre colori composti e che è trapassata al suo centro da una gamba umana. (Silenzio). La grande anemone (voce ansimante) sfugge a nuoto dalla sua gabbia sottomarina ed il suo corpo porterà i profumi del nord.
IL CANGURO. –Il macellaio Colin intrattiene la signorina Pelin sulla carne: richiede sempre della culotte.
SECONDA SCIMMIA. –Ma sento odore di peli, di peli che mi sfregano il volto, pungenti. Oh! Ancora. Mi strappano le membra, mi strappano le membra, mi strappano le unghie. Le mie dita, cosa fanno alle mie dita, cosa fanno alle mie dita, cosa fanno alle mia dita? Mi tagliano la pelle. La grande respirazione. Mi tagliano la pelle. Mi strappano i nervi. Chi mi strappa i nervi? La grande respirazione fa delle frecce con i miei nervi! E sempre la sabbia. Non vedo che una cosa appuntita, delle punte che avanzano verso me, che mi entrano nel petto. Oh! Vedo la forchetta, ha un respiro terribile. Nessuno ha l’aria di sapere chi sia. Ah! Il fascio dei rami grida. Quando l’aria esce dai suoi polmoni è sabbia e quando respira si sente la pelle che si stacca dal corpo, la pelle che se ne va. Oh! Il mio corpo si è aperto come una porta. Ooooh, mi strappano lo stomaco. I miei intestini fuoriescono. Oooh, le mie costole si spezzano, sto per morire. (cade come la prima scimmia).
Una voce dietro le quinte recita:
LA GRANDE ODE AL SILEXAME
FUTURA MINERVA
La salute virginale dei fiori senza atmosfera è terminata infine oggi 31 marzo 1924.
Nel museo della città natale di tutti i poeti le statue antiche sono di zucchero candito. Ma i poeti non si divertono a succhiare i falli di zucchero candito. È te che amano, Silexame, te di cui non si è mai potuto conoscere la natura, Silexame, Silexame, Silexame, Silexame. Se dovessi compararti a cose comuni direi che sei simile a quei prodotti farmaceutici dai nomi soavi: Silexame histogenol, Silexame urodenal, Silexame ermafrodita, Silexame esametillenetetramina, Silexame dietilmalonilurea. Ma nel cuore delle amanti di questi poeti sdegnosi dello zucchero candito c’è:
Un oceano di cloroformio che ha la proprietà di trasformare in bronzo il pancreas dei navigatori defunti. Ma il pancreas, quest’organo di cui dei medici riuniti nei concili religiosi hanno snaturato la portata sociale, non potrebbe accontentarsi delle massime morali che sono state poste sotto il suo nome in catechismi chiamati manuali di storia naturale. Il pancreas dei navigatori, come il pancreas dei poeti, è un blocco di ghiaccio che non si scioglie al calore e che non riflette il viso delle donne. Questo poeta sconosciuto dai popoli neri, questo poeta sconosciuto dalle tribù bianche, questo poeta sconosciuto dagli astronomi, compose, verso il terzo periodo terrestre del sole, la canzone del pancreas di bronzo dei poeti e dei navigatori che non riflette né il viso delle donne né il grado X+1 del termometro centigrado:
“Dormire salute buongiorno. È la canzone del pancreas, salicilato orribile ricordo tutti i profumi sono dei singhiozzi nelle cittadelle dei vostri cervelli. Ci tufferemo più lontano dei blocchi di bronzo. Silexame, Silexame, tu che non sei né la causa né risultante, tu che snaturiamo chiamandoti nulla perché sei anche meno di nulla, meno che meno di nulla ed anche meno che meno che meno di niente. Ispirami la canzone dei pancreas di bronzo. Fiammifero occhio di platino, bello sguardo bella piscina, tutti i filantropi sono morti assassinati da altri filantropi. Ma questi altri filantropi sono stati assassinati dai primi. Non gridate al paradosso, le vergini non hanno pancreas, le donne nemmeno di conseguenza. Ma gli uomini vergini hanno un pancreas e gli altri non ne hanno. È per questo che i poeti ed i navigatori sono vergini ed è per questo che i Silexame sono l’amore dei navigatori e dei poeti”.
Tra il 13° grado di latitudine nord ed il 26° grado di longitudine si trova il gioco di carte dei maelström cosmici. Sul suo cuore il poeta moderno non pone dei marchi di fabbrica.
Il Silexame nella sua tasca, il Silexame al posto del cuore, il Silexame al posto degli occhi, il Silexame al posto dei sensi, il Silexame al posto dei ricordi, il Silexame al posto del sesso, il Silexame al posto dell’ombellico. Se ne va sulla piccola strada se consideriamo la sua larghezza, sulla grande strada se consideriamo la sua la sua lunghezza.
In verità Silexame sei una bella cosa, ma questa ode è degna di te?
Silenzio.
Dal fondo della testa sorge Silexame (dalla testa di forchetta, il corpo a conchiglia, braccia ricoperte di foglie. Non lo si vede che allo specchio.
SIPARIO
André Breton, Robert Desnos e Benjamin Péret.
[Traduzione di Elisa Cardellini]
LINK all'opera originale:
Comme il fait beau!
Cinque cosine a proposito di L.H.O.O.Q.di Duchamp
di André Gervais
1
Tentando tardivamente di precisare quando, nel 1919, sia stata "fatta" L.H.O.O.Q., Marcel Duchamp fornirà due date: all'inizio del 1953, nei suoi colloqui con Sidney, Harriet et Carroll Janis, dirà in dicembre [1]; nel giugno del 1966, in uno dei suoi colloqui con Pierre Cabanne, in ottobre [2]. Ciò, sia in rapporto con i fatti riportati sia dalla lettura che se ne può ricavare, non è senza conseguenza.
Dagli inizi dell'agosto sino al 27 dicembre 1919, infatti, Duchamp abita, in avenue Charles-Floquet (Paris 7eme), presso Francis Picabia et Gabrielle Buffet (quest'ultima incinta di un quarto figlio da lui, che nasce il 15 settembre). Picabia, ha già traslocato da qualche giorno o settimane Émile-Augier (Paris 16eme), presso Germaine Everling, la sua amante (anch'essa incinta di lui, ed il cui figlio nascerà il 5 gennaio 1920 [3]).
Bisogna dedurre da questa situazione particolare che, durante questo soggiorno di quasi cinque mesi, i contatti Duchamp-Picabia sono stati episodici, se non inesistenti (tranne, secondo ogni verosimilianza, verso la fine del soggiorno), ciò permetterebbe di "spiegare" perché L.H.O.O.Q. non viene pubblicata nel n° 9 (novembre 1919), 10 (dicembre 1919) o 11 (febbraio 1920) di 391, la rivista di Picabia, bensì, in una versione Picabia intitolata Tableau dada par Marcel Duchamp [4] , nel n° 12 (marzo 1920).
Michel Sanouillet aggiunge su questo punto una precisazione: "Picabia gli chiese per lettera l'autorizzazione di "rifare" una Gioconda per 391, autorizzazione che fu naturalmente accordata. Ma Picabia, che non aveva conservato dell'opera di Duchamp che un ricordo impreciso, si limitò a disegnare i baffi [5]". Picabia, infatti, non riprende che "L.H.O.O.Q.", l’iscrizione che diventerà il titolo del readymade [6], iscrivendola a sua volta, verticalmente e senza i punti, su una delle sue tele, Le double monde [Il doppio mondo], [7], datata [dicembre] 1919 ed esposta da André Breton durante il Primo venerdì di (la rivista) Littérature, il 23 gennaio 1920, prima manifestazione di Dada a Parigi.
2
A causa del suo titolo (Tableau dada par Marcel Duchamp), la versione Picabia passerà per l’originale per molti anni, quest'originale non essendo mostrato per la prima volta che nel marzo del 1930 a Parigi, allo stesso tempo di una replica ingrandita (eseguita a fine gennaio o inizio febbraio 1930 [8]), durante l'esposizione intitolata La peinture au défi[La pittura in sfida] e prefatta da Aragon. Per un poeta, romanziere e critico come Aragon, un readymade non è, sin da quest'epoca, che un oggetto industriale, spostato dal suo contesto e sviato dalla sua funzione utilitaria.
3
Dobbiamo precisare che la riproduzione a colori che ne è la base non è una cartolina postale, malgrado che molti lo abbiano detto o scritto [9]. Non c'è che da guardarne il verso, publicato da Arturo Schwarz sin dal 1969 nella prima edizione del suo catalogo, per constatare che non c'è il dispositivo abituale della cartolina postale con gli spazi per l'indirizzo ed il timbro (a destra), per il "messaggio" e la legenda dell'illustrazione (a sinistra), ma invece, da parte di Duchamp, l'indicazione tecnica (a matita) su come fotografare il recto, e, più tardi, sopra la precedente, una dichiarazione ufficiale davanti al notaio (in inchiostro) come trattantesi dell'originale [10]. Questo piccolo palinsesto, al verso, non avendo nulla di simile, sul recto, se non i segni (di matita aggiungenti i baffi ed il pizzetto [11] sul volto (della Gioconda).
Ma dove si è procurato Duchamp questa riproduzione a colori? La cosa più probabile, come racconta agli Janis nel 1953, è che egli l'abbia acquistata in qualche negozio situato vicino al Louvre, rue de Rivoli, allo scopo di vendere a buon mercato delle riproduzioni delle grandi opere di questo museo, modo di fare conosciuto presso tutte le grandi città dove vi sono importanti musei. Bisogna ricordare che nell' aprile del 1911 il già celebre quadro di Leonardo, dipinto all'inizio del XVI secolo, è stato rubato al Louvre e che, perché lo si poteva credere sparito o distrutto (non sarà ritrovato che nel dicembre del 1913), se ne sono copiosamente diffuse, durante questi anni o immediatamente dopo, diverse riproduzioni a colori, foto ritoccate o non, di cui certe nel formato di una cartolina postale [12]. Senza dubbio sappiamo anche che nel 1919 è il 400° anniversario della morte del pittore. È fatta allusione a questi due avvenimenti (questa perdita forse irrimediabile e quell'anniversario) nella scelta di Duchamp.
Quando Duchamp chiede per lettera (New York, 9 maggio 1949) al suo amico Henri-Pierre Roché di andare ad acquistare un'ampolla di siero. diventata ampolla di Aria di Parigi- per sostituire quella, attualmente rotta, che ha riportato da Parigi, a fine dicembre 1919, ai suoi amici Louise e Walter Arensberg, scrive: "Potresti andare alla farmacia che è all'angolo della rue Blomet e la rue de Vaugirard (se esiste ancora, è là che avevo acquistato la prima ampolla) ed acquistato un'ampolla come questa qui: 125 c.c. e della stessa dimensione del disegno [...]. Se non di rue Blomet tuttavia, per lo meno della stessa forma, Grazie [13].
La semplice consultazione di un piano di Parigi ci mostra subito che non c'è angolo Blomet-Vaugirard, queste due strade essendo parallele! Ricordo quest'esempio per illustrare come un'indicazione precisa, anche proveniente dall'autore, può essere del tutto inesatta, addirittura erronea. Così è per L.H.O.O.Q., cartolina postale.
E quando Duchamp, in "Apropos of Myself" (1962-1964), descrive questa riproduzione a colori come "a Cheap Chromo", dobbiamo precisare che Chromo è in inglese, così come in francese, l'abbreviazione di Cromolitografia "immagine litografica a colori" (Petit Robert I), chromolithograph" a color print produced by chromolithography"(The American Heritage of the English Language). In francese, tuttavia, chromo, ora al maschile (e non al femminile), ha un senso peggiorativo: "ogni immagine a colori di cattivo gusto". Questo senso supplementare, che pone in scena il gusto, fa intervenire la questione estetica, cioè artistica, il che non è il caso in inglese, cheap significando in quest'esempio "of poor quality" (la cui riproduzione è di cattiva qualità), ma soprattutto "inexpensive" (che è di buon mercato) [14].
4
Quando Duchamp, nei suoi colloqui del 1966 con Cabanne, parla di Picabia e di L.H.O.O.Q., ne approfitta, se così posso dire, per aggiungere: "Un'altra volta Picabia ha fatto una copertina di 391 con il ritratto di [Georges] Carpentier; mi somigliava come due gocce d'acqua, è per questo che era divertente. Era un ritratto composito di Carpentier e di me [15].
Quest'altra volta, è l'estate del 1923, quando Georges Carpentier, il pugile, è andato da Picabia, al Tremblay-sur-Mauldre, il piccolo villaggio dove abita dal 1922, e che quest'ultimo ha eseguito il suo ritratto di profilo; il pugile, allora, ha anche firmato il ritratto. Quando Pocabia, più di un anno dopo, ha deciso di mettere questo ritratto sulla prima pagina dell'ultimo numero di 391(n° 19, ottobre 1924), ha cancellato incompletamente questa firma (che si può leggere sotto la cancellatura) ed ha aggiunto "Rrose Sélavy/ per Picabia", colpito successivamente dalla somiglianza tra Carpentier e Duchamp (di cui Sélavy è lo pseudonimo dal 1920) [16]. Duchamp non faceva che ripetere, nel 1966, questa "interpretazione" di Picabia.
Allo stesso modo, se, per contiguità, questo "ritratto composito" designa anche L.H.O.O.Q., bisogna dedurne che Duchamp ricorda, nel 1966, rappelle, en 1966, la sua dichiarazione del 1961 a proposito di questo readymade:"La cosa curiosa a proposito di questi baffi e quel pizzetto è che, quando guardate il sorriso, Mona Lisa diventa un uomo. Non è una donna travestita da uomo, è un vero uomo; ecco la mia scoperta, senza che all'epoca la realizzassi [17].
Nel 1919, una donna (la Gioconda in L.H.O.O.Q.) è anche un uomo come, nel 1920-1921, un uomo (Marcel Duchamp come Rose, poi Rrose, Sélavy) è anche una donna.
5
Senza veramente entrare nell'interpretazione del celebre readymade, si può far notare che questo 400° anniversario ha potuto essere non soltanto un elemento scatenante, ma anche una costrizione (in quanto cifrario), il 4 dicendo che non bisogna utilizzare che quattro lettere, i 00 suggerendo che uni di essi deve essere una O, sia raddoppiata [18]. Queste quattro lettere, come Duchamp dice in "Apropos of Myself", sono, come possiamo rendercene conto subito, nell'ordine alfabetico – H, L, O, Q – nel nome della via (cHarLes-flOQuet) in cui egli allora abitava. Ma anche nel nome del procedimentoalla base di questa riproduzione: essa è infatti cHromoLithOgraphiQue [Cromolitografica].
E mi piace constatare che a New York la notaia scelta da Duchamp e che, firmando, certifica, il 22 dicembre 1944, che si tratta dell'originale ("This is to certify that this is the original “ready made” L H O O Q Paris 1919" [19] ), si chiama Elsie Jenriche [20]: come non vedere che anch'essa è lì perché ha questo nome (che, per questo motivo, ritorna metatestualmente su una delle poste poste dell'opera), misto di mixte "je" (I in inglese o Ich in tedesco) e di "altro" (else), e che si tratta di problema di "genere" (jenre), else rimando con il femminile (elle: La Joconde, La Gioconda) che rima con il maschile (L: Léonard, Louvre), elle essendo diventato il!
Infine, se tracciamo una linea verticale ad angolo retto con l'alto dell'opera e se passiamo per il centro dei baffi, vediamo che, a causa dell'angolo del viso, allunghiamo il naso, a sinista, del personaggio femmina ed oramai anche maschio e che giungiamo, "down below" (come dirà Duchamp nel 1961), esattamente tra "L.H." e "O.O.Q.". Questo raddoppiamento di O è allora, una volta di più, designato.
NOTE
[1] Sempre inediti, i colloqui con la famiglia Janis (Sidney, il padre, Harriet, la madre, e Carroll, il figlio) sono stati effettuati in occasione della preparazione, da parte di Duchamp, del catalogo e dell'allestimento dell'esposizione Dada 1916-1923alla Sidney Janis Gallery, New York, 15 aprile -9 maggio 1953. Nella cronologia integrata del catalogo Joseph Cornell/ Marcel Duchamp... in resonance, Philadelphia Museum of Art, 8 ottobre 1998- 3 gennaio 1999, e The Menil Collection, Houston, 22 gennaio- 16 maggio 1999, Ostfildern-Ruit, Cantz Verlag, 1998, p. 277, Susan Davidson, senza dire da dove trae questa precisazione, considera anche il mese di dicembre.
[2] Pierre Cabanne, Entretiens avec Marcel Duchamp [Colloqui con Marcek Duchamp], Parigi, Belfond, 1967, p. 114.
[3] È un giorno dopo l'incontro con André Breton, invitato là, e dodici giorni prima che, il 17 gennaio, Tristan Tzara giunga ad abitarvi, questo soggiorno coincide con l'inizio di ciò che Michel Sanouillet ha chiamato "Dada à Paris": vedere la sua summa, Dada à Paris [Dada a Parigi], Parigi, Pauvert, 1965. La sede del "MoUvEmEnT DADA, Berlin, Genève, Madrid, New York, Zurich", dice la carta da lettera che inalbera quest'intestazione. è ora a Parigi. Tuttavia, noto la coincidenza (che forse non lo era nel 1919, dato lo stato delle conoscenze sull'opera di Leonardo): quando Duchamp è a Parigi quell'anno, le due donne (la sposa e l'amante) di Picabia sono incinte; quando Francesco del Giocondo, nella primavera del 1503, consegna una commissione a Leonardo affinché esegua un ritratto della sua sposa, quest'ultima gli ha già dato due figli (nel maggio 1496 e nel dicembre 1502). Vedere, Daniel Arasse, Léonard de Vinci. Le rythme du monde [1997], Parigi, Hazan, 2003, p. 388-389. La rima, qui, in entrambi i casi è: Joconde / féconde [Giocondo/ Feconda].
[4] A Cabanne, Duchamp dice Tableau dada di [sic] Marcel Duchamp.
[5] Michel Sanouillet, Francis Picabia et "391", tome II, Parigi, Losfeld, 1966, p. 113. (Il tomo I è in facsimile, la riedizione di 391[1917-1924] aumentata con diversi documenti inediti, Parigi, Losfeld, 1960.) Duchamp era a New York dal 6 gennaio ed il n° 12 di 391 non apparve che (precisa Sanouillet) alla fine di marzo, si può pensare che Duchamp, intervistato da Schwarz (The Complete Works of Marcel Duchamp, New York, Abrams, 2a edizione, 1970, p. 476), si ricorda erroneamente di ciò che è avvenuto all'epoca (ritradurrei): "Il mio originale non è arrivato in tempo e, allo scopo di non far tardare indebitamente la stampa di 391, Picabia ha egli stesso disegnato i baffi alla Mona Lisa ma ha dimenticato il pizzetto".
[6] Dico "l’iscrizione che diventerà il titolo del readymade" perché, nel catalogo-manifesto dell'esposizione presso Sidney Janis, Duchamp scrive: "La Joconde, postcard with pencil". Non è che a partire del primo catalogo dell'opera duchampiana, quella di Robert Lebel (Sur Marcel Duchamp, Parigi, Trianon Press, 1959), che questo readymade ha come titolo L.H.O.O.Q.E non è che a partire del catalogo Schwarz (Arturo Schwarz, The Complete Works of Marcel Duchamp, New York, Abrams, 1a edizione, 1969) che abbiamo le dimensioni esatte del detto readymade: 19.7 x 12.4 cm ou 7¾ x 4⅞ pouces.
[7] Le due O di "L H O O Q", esse stesse al centro di due altre O che hanno la forma di cordicelle formanti degli 8 o anche la forma delle pale di un'elica, ma di un'elica senza asse e molle, curvata dal vento, sono egualmente- e doppiamente- le O "doppio" e di "mondo". La piccola mancanza, in alto a sinistra, in uno di questi altri O non ha eguale, in basso a destra, che la piccola mancanza nella À di "À DOMICILE" [A DOMICILIO], un'altra iscrizione, e che il piccolo supplemento -la coda- della Q di "L H O O Q". Modi di far coincidere ironicamente speculazioni matematiche (topologia) e speculazioni mercantili (consegna "a domicilio", cioè in sede).
[8] "Ho eseguito poco prima di lasciare Parigi una Gioconda per Aragon [...]/ Man Ray ha la prima Gioconda" (lettera di Duchamp a Jean Crotti, Villefranche-sur-mer, 6 febbraio 1930, in Affectionately, Marcel. The Selected Correspondance of Marcel Duchamp, edizione di Francis Naumann e Hector Obalk, traduzione di Jill Taylor, Gand e Amsterdam, Ludion Press, 2000, p. 171).
[9] Tre esempi: Duchamp stesso nel 1953 (vedere nota 6); Ecke Bonk, Marcel Duchamp, The Box in a Valise. Inventory of an Edition, New York, Rizzoli, 1989, p. 241; Calvin Tomkins, Duchamp. A Biography, New York, Henry Holt and Company, 1996, p. 221.
[10] Dobbiamo aggiungere che Duchamp, nelle repliche successive, non ha mai utilizzato una cartolina postale.
[11] Utilizzo qui il plurale, come Duchamp nell'aprile 1942 quando indica all'inchiostro, in basso al modellino di una delle due versioni Picabia (quella riprodotta in 391), "Baffi di Picabia/ pizzetto di Marcel Duchamp". In francese, si dice indifferentemente, ad esempio, ciseau et ciseaux [forbice e forbici] (perché ci sono due lame), pantalon et pantalons [pantalone e pantaloni] (due gambe), moustache et moustaches [baffo e baffi] (due guance o, semplicemente, due lati del viso). Evidenzio inoltre che l'indicazione tecnica, iscritta da Picabia su due righe a matita verticalmente a destra della riproduzione, inizia con due legami- quello che inizia la S di "sans" sulla seconda riga- che non ha di eguale che l'estremità dei baffi! Per una riproduzione e dei commenti, vedere Francis Naumann, The Art of Making Art in the Age of Mechanical Reproduction, catalogo dell'esposizione presso Achim Moeller Fine Art, New York, 2 ottobre 1999- 15 gennaior 2000. Se il viaggio a Parigi fatto da Arp nell'aprile del 1942 è quello durante il quale entra in possesso di queste due versioni, l'incontro Arp-Duchamp (che si conoscono sin dal 1926) non può aver luogo che in una zona non occupata (a Grasse dove abita Arp, a Sanary dove abita Duchamp, prima della partenza di quest'ultimo per gli Stati Uniti i 14 maggio).
[12] Vedere le due cartoline postali, datate 1914, riprodotte in Roy McMullen, Les grands mystères de la Joconde [1975], traduzione di Antoine Berman, Parigi, Éd. de Trévise, 1981, p. 223.
[13] Affectionately, Marcel, op. cit., p. 272.
[14] È inoltre la traduzione, di Michel Sanouillet, di questo passaggio: "un chromo [...] a buon mercato" ("À propos de moi-même", in Duchamp du signe, Parigi, Flammarion, 1975, p. 227). Naumann prende esattamente la stessa via: "an inexpensive chromo-lithographic color reproduction" (The Art of Making Art in the Age of Mechanical Reproduction, op. cit., p. 10).
[15] Pierre Cabanne, Entretiens avec Marcel Duchamp [Colloquio con Marcel Duchamp], op. cit., p. 115.
[16] Vedere Michel Sanouillet, Francis Picabia et "391", op. cit., p. 166. Si può vedere (391, op. cit., p. 127) la firma di Carpentier e l’aggiunta di Picabia sotto alcune righe stampate in caratteri tipografici in basso alla pagina.
[17] Herbert Crehan, "Dada", Evidence, Toronto, n° 3, autunno, 1961. Mia traduzione.
[18] Queste due "O." non mancano anche di evocare, per via della rima "O"/ eau [acqua], il lago di montagna ed il lago di pianura nel celebre quadro, rispettivamente in alto a destra ed un poco più in basso a sinistra dominato dalla loggia dove si trova il modello, Lisa. E che dire della strada sinuosa proveniente dal lago di pianura, riflesso nella coda della "Q". (disegnata da Duchamp)?
[19] Una frase rappresentativa in un'altra, il riferimento di "This" (Questo, come in Questo è il mio corpo" o in "Questa è un'opera d'arte) essendo cataforico (cioè che segue il pronome): nel primo caso, è "the original “ready made"; nel secondo caso, è l'insieme della proposizione formnate il primo caso.
[20] Nel suo breve articolo, "Desperately Seeking Elsie", Authenticating the Authenticity of L.H.O.O.Q.’s Back" (in: Tout-Fait, New York, vol. I, n 1, dicembre 1999), Thomas Girst ci informa che questa signora, residente all'Hotel St. Regis, New York, dal 1943 al 1945, è una stenografa pubblica.
André Gervais
[Traduzione di Elisa Cardellini]
LINK al post originale:
Cinq petites choses à propos de L.H.O.O.Q.
LINK ad un post concernente l'analisi di un'altra opera di Duchamp:
RAOUL HAUSMANN
Célestin Ugolin (1926) di Georges Ribemont-Déssaignes e l'influenza di Alfred Jarry sul romanzo.
Patrick Bergeron
Cos'è bello? Cos'è brutto? Cos'è grande, forte, debole? Cos'è Carpentier, Renan, Foch? Non lo so. Cos'è io? Non lo so, non lo so, non lo so.
Georges Ribemont-Déssaignes, «Artichauds», in Dada, n° 7, Dadaphone, marzo 1920.
Queste poche righe di Georges Ribemont-Dessaignes (1884-1974) sono spesso state citate allo scopo di illustrare lo spirito di sovversione e quello d'intransigenza che il gruppo Dada portò al loro parossismo. Albert Camus, in L'uomo in rivolta, li aveva in mente al momento di evocare, a proposito della "poesia in rivolta", gli antecedenti dadaisti del surrealismo [1].
Ma non prese affatto la cura di indicare il nome dell'autore del lapidario "non lo so, non lo so", il che lasciava sospettare una tendenza a cancellare Ribemont-Dessaignes come creatore individuale a profitto di Dada e delle sue formule chiassose, come "Dada solleva tutto", "Dada sputa su tutto" o "Sì= no", tra numerose altre [2]. Bisogna ammetterlo: Dada resta debitore a GRD- lo scrittore aveva l'abitudine di farsi designare con le iniziali- in un numero notevole di manifesti, di articoli, di poesie, di drammi ed anche di disegni [3], senza contare gli sberleffi, i massacri simbolici ed altri lanci nella "trappola di Père Ubu [4]", all'interno di un cerchio (GRD fu in tutte le azioni pubbliche di Dada) desideroso di costringere l'assistenza a cambiare atteggiamento, di forzare spettatori o lettori ad abbandonare la sua buona coscienza borghese [5], in breve, di orchestrare degli scandali degni di quelli provocati da Alfred Jarry durante la creazione di Ubu Re nel dicembre 1896 al Théatre de l'Œuvre [6]. Questa (anti-)letteratura, in manifesti e manifestazioni, si metteva in scena per tutto mettere in scena, compresa se stessa. L'opera di GRD, lungi dal perdersi tra quelle dei suoi compagni saccheggiatori, risalta per la costanza e l'efficacia con le quali trasforma l'aggressione in principio estetico e, paradossalmente, creatore.
L'allusione alla "trappola di Padre Ubu" non è casuale. Sull'esempio di questo precursore del dadaismo che fu Jarry, Ribemont-Dessaignes ha enunciato una rabbia nel distruggere tutto, "anche le rovine", che si giustifica alla base per l'immensa repulsione nata dalla Grande Guerra. Il rifiuto categorico, lo slancio distruttore permanente diventavano per GRD la sola legittima risposta da opporre all'incapacità umana di superare ciò che egli stimava formare la soglia delle apparenze, il dominio del falso e del falsificato (l'arte, il linguaggio, la ragione, la morale, la Storia...), nella speranza di liberare un uomo nuovo e di restituire la vita allo stato nascente. Perché la vita, presso questo scrittore che vedeva nell'ambiguità uno dei motori dello spirito moderno e si fece forte nell'elevare la negazione al rango dell'elevazione, è il potere di distaccarsi dalla disgregazione sistematica di tutte le cose: "Vivere supera tutto, vivere sommerge tutto" [7]. Georges Ribemont-Dessaignes si impegnò in pieno nella ricerca di questa vita che batte ancora quando tutto è finito, quando tutto ciò che può essere ucciso è stato ucciso. La parola d'ordine enunciata da Dada è senza concessione: "Distruggere un mondo per sostituirlo con un altro, dove nulla esiste" [8]. La logica soggiacente si richiama al nulla ed alla sua paradossale pienezza; per esprimerlo, lo scrittore ha impiegato fantasiose immagini, soprattutto in Célestin Ugolin, quella delle mosche che depongono le loro uova nell'occhio di un topo morti [9]. Così le righe del manifesto "Artichauds", citate sopra, fanno parte dei testi denotanti il posto ancora timido, ma tuttavia concreto, che spettano di diritto a Ribemont-Dessaignes nella storia letteraria del XX secolo francese.
Ironicamente, allo stesso tempo che le riedizioni relativamente recenti presso Allia, Ivrea e Jean-Michel Place rendono i suoi libri più accessibili al lettore di oggi, GRD rimane misconosciuto, a dispetto di un'attività e di un'opera la cui abbondanza può sorprendere. Questo disconoscimento sembra soprattutto esercitarsi più duramente nel Ribemont-Dessaignes romanziere. Mentre i dadaisti, nella loro maggioranza, seguiti dai surrealisti, disprezzavano il romanzo come genere, con il pretesto che esso "distrugge il senso dell'eventuale [10], è paradossalmente la parte romanzesca dell'opera dessaignana che offre la più netta testimonianza della sua produttività- e forse anche della sua qualità di scrittore. Franck Jotterand ha contato una dozzina di titoli tra il 1924 ed il 1947, tra i quali Monsieur Jean ou l’amour absolu (facciamo notare la strizzatina d'occhi a Jarry), che valse al suo autore il premio des Deux Magots nel 1934 [11].
Célestin Ugolin, del 1926, il testo che poniamo al centro del nostro studio, può, secondo Albert Ayguesparse "essere considerato il primo grande romanzo di Ribemont-Dessaignes", per "un modo archetipico" [12]; vi ritroviamo i temi principali cari a GRD romanziere, che analizzeremo più avanti, così come la logica iconoclasta e provocatrice attraverso la quale l'ispirazione appare evidente, soprattutto nel modo in cui Céleste Ugolin confina nell'assurdamente assurdo (GRD apprezzava i raddoppiamenti: testimoni, il Cinese chiamato Nu-Un ed il vulcano Volcan nell'Autruche aux yeux clos [Lo struzzo dagli occhi chiusi], o la città di New-New ed il personaggio del Signor Mosè Mosè in Le Bar du lendemain[Il Bar del giorno dopo], così come all'assolutismo irrazionale, arbitrario e crudele, secondo l'immagine del "Guignol-Tiranno" che ne proponeva Rachilde [13], altrettanti aspetti culminanti nell'immaginario ubuesco.
Apparso lo stesso anno di Moravagine e Le paysan de Paris, Céleste Ugolin è centrato su un eroe in situazione di perpetua evasione: "È la storia di un personaggio che tenta di staccarsi da tutto e giunge anche a guarire dall'amore, riassume GRD. Percorre un ciclo che lo riconduce diabolicamente alla società e lo distaccherebbe sentimentalmente dalla vita se, il mattino della sua esecuzione capitale, non si rivoltasse accanitamente davanti alla morte" [14]. Ecco dunque, alcuni anni prima di Lo Straniero e Caligola, un tracciato disperato che riassegna ben al di qua di ogni speranza il ciclo degli atti della vita in cui gli eroi dessaignani tentano, fallendo la maggior parte delle volte, di situarsi, trovarsi un contegno.
Malgradociò, trent'anni dopo la sua morte, GRD è lungi dall'aver conservato la stessa attenzione presso i lettori e la critica di un buon numero dei suoi amici e collaboratori vicini, fossero Tristan Tzara, Philippe Soupault, Robert Desnos, Jacques Prévert o Raymond Queneau. La sua opera è sicuramente sconcertante, Célestin Ugolin ne è ampiamente testimone; ma essa chiarisce il percorso di un libero pensatore che seppe rimanere fedele allo spirito negatore di Dada (che ebbe vita breve: 1916-1922), senza tuttavia lasciarsi racchiudere (non più che nella "centrale surrealista", di cui non fu che un semi membro [15]), perché, come l'autore ha egli stesso spiegato in Déjà Jadis [Diggià un dì] del 1958, Dada rinviava ad un contesto di fermentazioni collettive, e GRD non era il solo a constatare la necessità di spingere la trasformazione dei valori sino alla loro dissoluzione completa. Ma anche, GRD ha concepito questo progetto di demolizione universale anche prima i raggruppamenti zurighesi del 1916 dove nacque (nominalmente) Dada, durante la sua mobilitazione al ministero della Guerra, un periodo coincidente con la genesi di L'Empereur de Chine [L'Imperatore della Cina], opera teatrale "proto-Dada" ed improntata all'ispirazione alla Jarry. Si tratta dunque di uno spirito di negazione scaturente da una singolare personalità di scrittore.
Vedremo che il riferimento a Jarry, applicato all'intera opera di GRD ed a Céleste Ugolin più in particolare, riveste un'importanza capitale; essa ci aiuterà a gettare nuova luce sull'opera di un romanziere marginale che tuttavia non ha nulla da invidiare ai Cendrars, Aragon e Soupault. In fondo, l'inventore di Padre e Madre Ubu e di Faustroll ha fortemente contribuito ad aprire una via all'interno della quale GRD ha situato l'essenziale della sua attività letteraria. Illustrando l'influenza di Jarry nel romanzo, Céleste Ugolin presenta inoltre l'interesse di contenere un'evocazione, volentieri satirica, della vita letteraria parigina ai prii tempi del surrealismo [16], la quale potrà facilmente essere messa a profitto nella prospettiva che si dà il presente studio.
Jarry, GRD, Dada
L'uso delle nozioni di "ubuesco" [ubuesque] e di "patafisica" nel linguaggio corrente sembra più che altro nuocere alla conoscenza dell'opera di Jarry come lo fecero quelle di "sadismo" e di "masochismo" per i libri del marchese de Sade e di Leopold von Sacher-Masoch. Questa banalizzazione ha per effetto di aggiungere al numero degli autori ridotti ad un preteso sistema estetico specifico- gli "ismi" a proposito dei quali ironizzava Dada-, senza apparentemente necessitare di lettura seria, e partendo da lì, minaccia di troncare i dati della sua ricezione, se non di votare il testo ai pregiudizi o all'oblio. È per questo che alcune considerazioni sulla natura dell'influenza di Jarry ci sembrano necessarie.
Alfred Jarry o dell'esistenza letteraria
Di recente, Michel Décaudin [17] ricordava a qual punto la ricezione di Jarry ha favorito gli stereotipi. Già i testi di amici e dei primi biografi o incensatori- che si tratti di Rachilde, di Paul Chauveau o di Apollinaire. tendevano ad associare l'uomo al personaggio, "questo strano personaggio, scive la scrittrice di Hors nature, che giocava con se stesso la commedia di un'esistenza letteraria spinta sino all'assurdo" [18]. Di colpo, gli stessi aneddoti concernenti le battute, gli scherzi e le stravaganze di Jarry si vedevano ripetute, in modo da congelare lo scrittore nella pelle, ad esempio, di "quello dal revolver", per riprendere l'espressione di André Breton [19]. Una tale evocazione, spinta all'estremo, ha potito dar luogo al celebre ritratto di agitatore incluso in Les Faux-monnayeurs(1925), Gide essendo stato tra i primi oppositori del tipo ed alla drammaturgia di Ubu.
Per l'essenziale, negli anni che seguirono la sua morte (nel 1907), Jarry ha lasciato l'impressione di un personaggio di umorista che giocava a freddo con l'insolito, diffidente della minima scala di valori, preconizzando l'assurdo sino alla bestialità e personificando l'anticonformismo assoluto nel suo pensiero e nella sua vita quotidiana; vivendo l'amalgama dell'erudito e dello sportiva (ciclista), abitante fantastico di una bicocca chiamata "il tripode", offriva l'immagine di un essere che si autodistruggeva nell'assenzio, chiamato a morire prematuramente (a trentaquattro anni), oberato dai debiti ed incompreso perché radicalmente avanguardista.
Questa figura di scrittore mistificato dalle sue eccentricità ed il suo "destino di parossista" [20] ha l asua importanza nella ricezione dadaista di Jarry. Ma rischia di alimentare un'ingiustizia: Ubu Ree per estensione il "ciclo di Ubu" non sono che la parte emersa dell'iceberg, l'opera di Jarry, composta di altri lavori, poesie, romanzi, saggi, che si rivela essere molto più estesa. Tutto indica che Tzara, Ribemont-Dessaignes e Breton, per non citare che loro, avevano letto, per lo meno preso conoscenza della maggior parte dei testi di Jarry. In Alfres Jarry, iniziatore e chiarificatore, del 1951, saggio breve sul giudizio "poco fallibile" di Jarry in materia di pittura, Breton si mostra formale: "non si potrebbe ammettere più a lungo che tutto ciò che ha espresso di altroJarry sia sacrificato al gusto che ha segnato- e illustrato come nessuno- per il teatro Guignol" [21].
Nello stesso ordine di idee, André Rolland de Renéville, nel saggio su padre Ubu compreso in L'univers de la parole [L'Universo della parola], del 1944, spiega come, da Minutes de sable mémorial a L'amour absolu, il pensiero di Jarry gli sembra essere fiorito. Henri Pastoureau, quando apparvero al Mercure de France nel 1949 delle poesie ritrovate di Jarry, situò questi inediti in rapporto ad altre opere nelle quali il "maestro occulto" aveva rivelato il suo "genio poetico" [22].
Inoltre, a credere a Décaudin, l'opera di Jarry, innegabilmente complessa, sarebbe meno diversificata di quanto non appaia. Décaudin denuncia infatti due inganni diffusi: l'assimilazione "Jarry=Ubu", sul modello flaubertiano "Madame Bovary, c'est moi", così come lo sfaccettamento di Jarry in molteplici volti non forzatamente apparentati tra loro, il che Breton deplorava già in questo modo: "sarebbe più che tempo di far cadere la maschera intonacata di "Coboldo" o di "Clown" che Gide ed altri che non l'apprezzavano [...] hanno attribuito a Jarry" [23].
Certo, da Ubu tiranno a Ubu incatenato il percorso ha di che sconcertare; jarry, descrivendo l'aspirazione al potere che cede il posto ad un desiderio di schiavitù, esprime la convinzione (dadaista ante litteram) che la libertà può essere tanto futile quanto la tirannia. Ecco un indice di continuità da parte di uno spirito iconoclasta. Décaudin invoca a questo proposito l'unicità dell'autore e la coerenza della sua opera, entrambe misurabili attraverso una lettura parallela dei testi; lo stesso principio si applicherà, per noi, con GRD. Ma può rivelarsi utile di determinare anticipatamente ciò che vuol dire "erede di Jarry", non tanto in teatro (questa domanda essendo stata abbondantemente discussa, delle indicazioni sommarie basteranno) che nel romanzo- un aspetto della fortuna di Jarry che ha, molto stranamente inoltre, poco ritenuto l'attenzione degli specialisti.
Ricezione esplicita e implicita
Una vasta parte della ricezione di Jarry, nel primo mezzo secolo, presenta un carattere esplicito: è il riconoscimento diretto attraverso eredi letterari, ammiratori, imitatori o continuatori. Molti sono artisti plastici (pittori, scultori, illustratori): pensiamo a Ubu Imperator (1923) di Max Ernst, al Ritratto di Ubu (1936) di Dora Maar o a l'Ubu re (1966) di Joan Miró, senza contare i ritratti di Escaro, Picasso, Man Ray o Georges Rouault. Jarry, a cui si debbono numerose illustrazioni del suo re fantoccio, è l'iniziatore di questa voga iconografica.
L'eredità diretta di Jarry è particolarmente evidente in ciò che concerne il teatro d'avanguardia. Jarry a rimesso in causa le fondamenta stesse della drammaturgia regnante nella svolta del secolo, come sostiene Jean-Marc Rodrigues: In opposizione ai principi naturalistici, Jarry si aspetta dal teatro che esso favorisca l'irruzione dell'irrazionale per mezzo di una semplificazione scenografica spinta sino all'astrazione, "tela non dipinta" o gioco di luci. Proposta scenografica che riprenderà Albert-Birot nel sui "théâtre nunique" (1917). Allo stesso modo, l'attore sparisce dietro una "voce di ruolo" e dietro una maschera [...]. L'unità profonda di Ubu è di rovinare ogni analogia con il reale servendosi del grottesco. E così, la procedura proclamata di Jarry è tutta contenuta in questa risposta dell'Ubu incatenato: "Poffarbacco! Non avremo distrutto nulla se non avremo distrutto le rovine stesse!
Rivoltando come un guanto tutti i valori, passandoli tutti al settaccio della buffoneria e della derisione si tratta di porre in disagio ciò che Jarry chiama la folla "affinché si riconosca dai suoi grugniti d'orso dove è e come sta messa" (Questions de théâtre).
Opere come L'Imperatore di Cina, Il canarino muto [Le sérin muet] e Il boia del Perù [Le bourreau du Pérou], considerate esemplari del teatro dada, prolungando questo spirito di linfa radicale, di "Decervellamento" generale. Pensiamo all'inizio dell'ottava scena del terzo atto di L'imperatore della Cina, molto chiaro a questo proposito:
Esplosioni. Grida. Massacro.
VERDETTO
Uccidere, uccidere.
[...]
Distruzione di ciò che è bello, buono e puro.
Giacché il bello, il buono e il puro sono marci.
Più niente da fare di tutto 'sto marciume.
[...]
Radere, radere, radere. Esplosione di cervelli.
A nudo , a nudo. [25]
La furia mortale del despota Espher o del boia il signor Victor, così come la ronda dei Clown Ironie e Équinoxe (che affermano alternativamente il "sì" ed il "no"), non sono che alcuni degli elementi attraverso cui affiora l'ispirazione di Jarry. (Possiamo pensare anche al fatto che GRD sembra essersi servito della Cina [26] e del Perù nello stesso spirito di Jarry per la Polonia, il "nessuna parte" di Ubu Re, cioè alla maniera di un quadro referenziale posto a dei fini puramente di fantasia. Lo stesso principio si applica, nel romanzo, con il messico (di cui una città ed un aprovincia si chiamano "Metempsico") ed il tandem bellicoso Serbia-Bulgaria in Lo struzzo dagli occhi chiusi o il continente americano in Le bar du lendemain [Il bar del giorno dopo], con la sua New York ribattezzata "New-New" e la sua "Terra di Bafflin" come paese degli Esquimesi).
Quando Ribemont-Dessaignes intraprese il suo teatro pre-dadaista, veros il 1915-1916, Ubu regnava, dall'inizio del secolo. L'autore di Céleste Ugolin se ne ricorderà, nel 1958, in Déjà jadis: "Uno degli uomini la cui l'influenza si esercitò, visibile o invisibile, sullo stato artistico di un periodo che possiamo situare tra 1905 e l'anteguerra del 1939, ma soprattutto tra il 1905 ed il 1925, fu Alfred Jarry" [27]. Sotto i motivetti della Belle Époque, spiega a questo proposito Franck Jotterand, si scopriva la crudeltà degli uomini che portavano il fior del progresso all'occhiello e le tasche piene di coltelli. Jarry, sul piano poetico, era stato "il passaggio misterioso dalla mistificazione al mistero". Fu anche, prima di Tzara, la negazione ed tutti i valori, il 1914 gli diede ragione [28].
Ritroviamo qui l'argomento, che abbiamo evocato poco fa, dei fermenti collettivi di Dada; l'ispirazione jarryica vi si inserisce perfettamente. In tutta evidenza, l'opera dessaignana è disseminata di allusioni dirette o discrete all'opera di Jarry, dalla poesia Chandelle Verte al romanzo Monsieur Jean ou l'amour absolu, a cui facevano riferimento precedentemente. Ma sarebbe inutilmente laborioso repertoriare tali tracce. La ricezione implicita di Jarry dà luogo ad un campo senza dubbio più sottile, ma sicuramente più fertile: si applica all'instaurazione di un clima propizio alle sperimentazioni testuali ed ai cambiamenti riguardanti i fondamenti concettuali.
Artaud e Vitrac hanno fondato il teatro Alfred-Jarry (1926) con questo spirito; Pierre Albert-Birot concepì il Manifeste pour un théâtre nunique(1916) e Tzara Coeur a gaz(1921) in questa vena sperimentale, incentrata sulla sconcertante esplorazione delle risorse del linguaggio.
L'opera di Jarry, tutti i generi compresi, si erigerebbe allora allo stesso rango di quelle di Lautréamont e di Rimbaud per la sua potenza poetica Tzara insisteva sulla portata della poesia in Jarry: "È essa ad essere alla base di ogni speculazione immaginativa, che dà nascita alle costruzioni spirituali di cui Jarry ha edificato un universo sorprendentemente nuovo [29]", se non è il suo "linguaggio litigioso (...) senza valore di scambio immediato", come faceva notare Breton a proposito dell'Haldernablou [30].
Come, ad esempio, la "Corsa delle diecimila miglia" (Le Surmâle) e la "Battaglia di Morsang" (La dragonne), testi che provano, secondo Breton, che il "suo genio innovatore (...) non è mai stato superato e nemmeno eguagliato [31]", Jarry ha aperto la strada ad una concezione ultramoderna della letteratura: nulla di ciò che è stato distrutto ai tempi di Dada da mille forze oscura non ha mai più potuto ricostituirsi con la coscienza di una forza reale, scrive Ribemond-Dessaignes. L'estetica si ferma al 1900 e fa ridere come un pacchetto di tagliatelle pietrificate [32].
Jarry ha voltato una delle ultime pagine del simbolismo (che i dadaisti pretendevano rinnegare [33]) ed inaugurato nuove strade, orientate in avanti (l'azione del Surmâle, romanzo scritto nel 1902, si svolge significativamente nel 1920). Il frequente accostamento di Jarry con Rabelais e Shakespeare traduce senza equivoco l'impressione, espressa da qualcuno [34] che l'autore ha segnato la sua epoca con il suo sigillo.
Così l'influenza jarryca supera una via iconoclasta che attraversa il dadaismo, il futurismo, l'esprit nouveau, il surrealismo, l'estetica del "Grand Jeu", i teatri della crudeltà e dell'assurdo, sino all'OuLiPo... Nel mondo simbolista in cui viveva, si domanda Tzara, chi avrebbe potuto apprezzare o anche capire Les minutes de sable mémorial, César-Antéchrist, L'amour absolu, queste opere che superano la loro epoca- e di molto? C'è voluto il Cubismo, Dada ed il surrealismo affinché questi libri magnifici apparissero nella scintillante luce del pensiero che essi nascondono [35].
Senza la "drôle de guerre" [guerra stramba], sarebbe andata diversamente; l'influenza di Jarry passa per una mania distruttiva sostenuta da un pessimismo mantenuto inalterati sul filo degli avvenimenti di mezzo secolo. Non torna a galla, dopo la seconda guerra mondiale, all'interno della "Conversazione" tra Geirges Ribemont-Dessaignes e Queneau riportata in Bâtons, ciffres et lettres? "Siamo in un momento in cui tutto è rimesso in questione una volta ancora", osserva Ribemont-Dessaignes, "ma in un modo talmente grave e così, sembra, che il mondo intero risente di questa crisi in cui il morale ed il materiale sono terribilmente legati... La vita è assurdo, si dice. Eppure viviamo [36]".
In Lo struzzo dagli occhi chiusi, l'autore aveva riso della "Der des ders"*, camuffata sotto la sua penna in "guerra serbo-bulgara". Descriveva, infatti, dell'avvelenamento di una situazione a ferri corti nei balcani, in cui i popoli sembravano colpiti da "cancrena", i governi si sputavano in faccia al di sopra delle frontiere, mentre i re si occupavano di feste, cacce e riviste [37]; questa geopolitica è una delle più ubuesche. In quanto eredi di Jarry, Ribemont-Dessaignes ed i suoi compagni dadaisti, non hanno assunto il ruolo di continuatori in carica (Dada, distruttore di idoli, restava prudente in tema di ammirazione), anche se L'Imperatore della Cina, lo abbiamo appena evidenziato, segue da molto vicino il modello ubuesco. I dadaisti non hanno ad ogni modo seguito Jarry così strettamente come un Ambroise Vollard (1886-1939), iniziando una tendenza che sembra proseguire sino ai nostri giorni, in Robert Florkon, con il suo Ubu pape, pièce en cinq actes [Ubu papa, commedia in cinque atti] del 1989, o Patrick Rambaud, autore di Ubu président ou l'imposteur, farse justicière [Ubu presidente o l'impostore, farsa giustiziaria], 1990.
Collezionista e mercante d'arte dell'isola Riunione, editore e scrittore, amico di Jarry, Vollard riprese per conto suo il personaggio di Père Ubu in La politique coloniale du Père Ubu, [La politica coloniale di Padre Ubu], (1919), Le Père Ubu au pays des Soviets, [Padre Ubu nel paese dei Soviet], 1930, e Réincarnations du Père Ubu, [Reincarnazioni di Padre Ubu], 1932. Ma egli si atteneva soprattutto ad un'immagine stereotipa del personaggio ed i surrealisti preferiranno un approccio più profondo e poù ambiguo dell'usurpatore del trono di polacco ("Vista l'ampiezza di questo sguardo, scrive Breton, il tutto sarebbe di restituirlo alla sua vera luce interiore" [38]); essi fanno riferimento ad un'immagine più conforme a quella che è suggerita nell'opuscolo-programma edito dalla rivista La Critique per il Théâtre de l'Œuvre: "Monsieur Ubu è un essere ignobile, è per questo che ci somiglia (in fondo) a tutti. Assassina il re di Pologna (è colpire il tiranno, l'assassinio sembre giusto a delle persone, che è una parvenza di atto di giustizia), poi, una volta re massacra i nobili, poi i funzionari, poi i contadini. E così avendo ucciso tutti, ha sicuramente epurato qualche colpevole e si manifesta l'uomo morale e normale" [39].
Una sequenza di Lo struzzo dagli occhi chiusisegue pressappoco questa logica di autocrazia epurativa ed arbitraria. È quella in cui Estelle de Malabar- avatar dessaignano di Madre Ubu- fomenta una nuova rivoluzione messicana ed in cui il Dr Venise diventa dittatore, prima di essere a sua volta cacciato dal potere dall'esercito del Chihuahua y Aragon e di finire legato ad un orinatoio (un'allusione alla controversa "Fontana" di Duchamp?). Indubbiamente, il politico è trattato in modo buffonesco. Il "Maresciallo" Venise decreta otto giorni di lutto per l'esercito- un esercito in cui tutti sono generali- a causa di un carico avariato di sacchi di bromuro di potassio; durante il suo governo, delle leggi sono promulgate e delle infrazioni represse che traducono una tirannia del gusto propriamente ubuesco [40].
Così, per l'essenziale, i dadaisti sono dei fedeli di Jarry. Al Cabaret Voltaire, durante la geurra, Hans Arp leggeva degli estratti di Ubu Redurante le serate dada. Tzara collezionava i manoscritti di Jarry, Picasso pure. Per questi scrittori e questi artisti, Jarry era un ispiratore; egli occupa a questo scopo un posto scelto, ma, bisogna riconoscere, non esclusivo. Egli si aggiunge ad un gruppo di modelli includenti Rimbaud e Lautréamont come poeti della rivolta; Bakunin, Stirner e Kropotkin come teorici dell'anarchia nichilista; Schopenhauer e Nietzsche come filosofi dell'assurdo; Sade come rivoluzionario dell'amore e della libertà psichica...
Jarry, per la sua feroce indipendenza di spirito, ha ispirato la generazione Dada sul piano dell'esistenza letteraria. In ogni circostanza sembrò loro avesse agito per derisione. Egli ha personificato l'aggressione letteraria perpetrata contro tutti e tutto. Il suo atteggiamento selvaggio, presto imitato da Apollinaire (Rachilde, che descriveva Jarry come "uomo dei boschi", racconta che una domestica aveva l'abitudine di chiamarlo "l'indiano"), sarebbe un modello per la rivista di Picabia, 391, come mostra uno degli articoli di Ribemont-Dessaignes, intitolato "Non-seul plaisir" [No-solo piacere], e che è una violenta offensiva contro "l'Arte [...] grande finzione degli uomini autosuggestionati": non c'è rimedio. Il rimedio sarebbe una tovaglia di petrolio infiammata. Civilizzati e pretendenti alla civiltà, sotto il puro consumo (...). C'è un modo di rimediare all'assenza di rimedio. È quello di spingere la massa al fanatismo distruttivo, all'incomprensione di tutto ciò che è "elevato". Quando l'artista non potrà più uscire senza aver la guancia coperta dagli sputi e l'occhio cavato, sarà l'inizio di un'era fresca e felice [41].
La dichiarazione è astiosa e tenta ogni mezzo per raggiungere lo scopo; niente e nessuno è stato risparmiato, nemmeno il franco tiratore, poiché è la demolizione obbligatoria che si esprime.
Patrick Bergeron
(Segue)
[Traduzione di Elisa Cardellini]
NOTE
[1] Ecco cosa scriveva Camus: "Macchina per ribaltare lo spirito, secondo Aragon, il surrealismo si è formato dapprima nel movimento 'dada' di cui egli fa notare le origini romantiche ed il dandismo anemico. L'assenza di significato e la contraddizione sono allora coltivati per se stessi". "I veri dada sono contro Dada. Tutti sono direttori di Dada". O ancora: "Cos'è bene? Cos'è brutto? Cos'è grande, forte, debole... Non lo so! Non lo so!" Questi nichilisti da salotto erano evidentemente minacciati di fornire come servi le ortodossie più strette. Ma c'è nel surrealismo qualcosa di più di questo non conformismo da parata, l'eredità di Rimbaud [...]" [L'uomo in rivolta, 1951, Tr. it., Milano, Bompiani]. Questo passaggio comprende una nota: "Jarry, uno dei maestri del dadaismo, è l'ultima incarnazione, ma più singolare che geniale, del dandy metafisico".
[2] Georges Ribemont-Dessaignes, Dada, 1994, p. 31.
[3] Jean Pierre Begot ne ha riunito il maggior numero nella voluminosa raccolta (636 pagine) Dada, edito da Ivrea.
[4] Georges Ribemont-Dessaignes si serve di questa espressione in Déjà jadis o Du mouvement Dada à l’espace abstrait [Dal movimento Dada allo spazio astratto, 1973, p. 81. Tra gli esemplari più noti, si può evocare la violenta requisitoria che Ribemont-Dessaignes ha redatto durante "l'affare Barrès". Vedere Dada, op. cit., p. 33-41, ed anche il dossier di Marguerite Bonnet, L’affaire Barrès, 1987.
[5] Non dobbiamo pensare che alla dichiarazione di GRD citata da Hans Richter in uno dei suoi libri maggiori sul movimento Dada: "Era necessario di far capir loro [ai borghesi] che eravamo contro la Cultura, e che non ci ribellavamo soltanto contro l'ordine borghese ma contro ogni ordine, ogni gerarchia, ogni sacralizzazione, ogni idolatria, poco importa l'idolo" (Dada. Art and Anti-art, 1978, tr. it.: Dada. Arte e antiarte, Mazzotta, Milano, 1974).
[6] I fatti essendo ben noti a proposito di questa nuova "battaglia di Ernani", ci accontenteremo di rimandare il lettore al capitolo "Ubu Re" del libro di Rachilde Alfred Jarry ou le surmâle des lettres, 1928, p. 76-89. In Dada. Arte e Antiarte, op. cit., Richter riporta che durante il venticinquesimo anniversario del tumulto che accompagnò la prima di Ubu Re, una grande serata dada è stata organizzata al Thèâtre de l'Œuvre. Lo scandalo del 1896 era, benché prevedibile, improvviso, mentre questa volta, tutto è stato pianificato accuratamente. I dadaisti hanno organizzato un vero spettacolo di varietà nel quale apparivano, invece di ragazze svestite, i Breton, Soupault, Dermée ed altri, completamente vestiti e che recitavano le loro opere. Il programma includeva La première aventure céleste de M. Antipyrine, di Tzara, che gli era già valso del successo a Zurigo, Le serin muet di Georges Ribemont-Dessaignes, S'il vous plaît di Breton e Soupault, Le ventriloque désaccordé di Paul Dermée e il Manifeste cannibale dans l'obscurité di Picabia. Poiché Picabia non apparve mai di persona- Georges Ribemont-Dessaignes lo accusò di "codardia fisica"-, è Breton che eseguì la lettura del suo manifesto.
[7] GRD, citato in epigrafe da Jacqueline Leiner, "Prefazione", nella sua riedizione di Bifur, 1976, p. V. Questa citazione riveste una portata particolare una volta che la si accosta all'ultima frase di L'autruche aux yeux clos, 1993, p. 170: "Si trascorre veramente la propria vita ad attendere la morte, ma è molto facile vivere".
[8] Georges Ribemont-Dessaignes, Déjà jadis, op. cit., p. 116-117. Questa affermazione servi a GRD per differenziare i sostenitori di Dada dai surrealisti (per cui "nulla esisteva, tranne..."- tutto si gioca nella proposizione tranne). Possiamo notare inoltre, nei confronti della Grande Guerra, ciò che ne diceva André Breton: "Noi che, nel corso di questa guerra, avevamo vent'anni, cioè l'età in cui si sistematizza la propria vita, diovemmo, facendo ciò, tenere conto di realtàimplacabili. Per non provarne dispiacere fummo indotti a non attribuire che poca importanza a tutte le cose. Venimmo a chiedere ai nostri poeti, ai nostri filosofi lo stesso sacrifici. A tale assalto del ragionevole, nessuno meglio di Jarry riuscì a resistere" (Alfred Jarry, in: Les pas perdus, 1969, p. 42-43).
[9] Georges Ribemont-Dessaignes, Céleste Ugolin, 1993, p. 62.
[10] Vedere Jacqueline Chénieux-Gendron, Le temps et le possible, Le surréalisme et le roman (1922-1950), 1983, p. 71-85. Ricordiamoci della condanna di Breton: "Malgrado le sue pretese, un romanzo non prova mai nulla" (André Breton, Pour Dada, in Les pas perdus, op. cit., p. 74). Nelle sue Mémoires de l’oubli (1923-1926), 1986, p. 78, Philippe Soupault, che , come Aragon, apprezzava e praticava il genere romanzesco, si ricorda, per l'anno 1923, della sua "pubblicazione provocatrice di due romanzi, Le bon apôtre e À la dérive. Inoltre, Jacqueline Chénieux spiega che "sin dal primo Manifesto, l'esclusione del romanzo lascia dietro di sé, come dei riquadri di resistenza, delle personalità di valore (Knut Hamsun, Apollinaire, che fu anch'egli narratore, Swift, Sade, Chateaubriand, Benjamin Constant, Hugo, Aloysius Bertrand, Edgar Poe, Alfred Jarry) e, inoltre, un marchio di qualità, il meraviglioso" (Le surréalisme, op. cit., p. 13).
[11] Franck Jotterand, Georges Ribemont-Dessaignes, 1966, p. 187. Nella prefazione di Georges Ribemont-Dessaignes, Adolescence, 1989, p. 19-20, Jacques-Elie Moreau evoca un testo che potrebbe essere il tredicesimo romanzo di Mémoires et Voyages imaginaires, rimasto inedito, "diciasette quaderni scolastici pieni di scrittura minuta".
[12] Albert Ayguesparse, Pour saluer Georges Ribemont-Dessaignes[Per salutare Georges Ribemont-Dessaignes], 1973, p. 4.
[13] Rachilde, Alfred Jarry ou le surmâle des lettres, op. cit., p. 81.
[14] Georges Ribemont-Dessaignes, Autobiographie, in: Bulletin bimensuel du groupe libre de Bruxelles, dicembre 1926, ripreso in: Dada, op. cit., p. 576.
[15] Sappiamo che GRD si allontanò dal gruppo presieduto da Breton prendendo parte per "le Grand Jeu". Sarebbe facile riconoscere André Breton sotto i tratti di André Vésuve, il "poeta sostenitore di Céleste Ugolin (benché Gilles Losseroy sia invece dell'avviso che si tratti di un doppio di Albert Gleizes). Sia quel che sia, GRD testimonia a momenti una vera animosità nei confronti del surrealismo e del suo "papa", come testimonia questa eufemizzazione del movimento: "Una piccola costola di Dada, ecco cos'è i surrealismo" (À propos du surréalisme, in: Dada, op. cit., p. 279). Vedere anche Papologie d’André Breton, (ibid., p. 365-366).
[16] Questa evocazione corrisponde da una parte all'apparizione dei pittori Picasse e Picape (in cui è facile roconoscere Picasso e Picabia), e d'altra parte al gruppo degli abitué del Sein d'or (nome che richoama "la Sezione aurea"), caffè frequentato da prostituti maschi (che vivono dei loro sogni) e femmine (che vivono del loro corpo). Questo raggruppamento compone un campionario d'umanità al sapore Dada: "Un'ignobile cantina fredda e malsana frequentata da puttane, ladri, assassini, magnaccia, maniaci, curiosi- di molta curiosità- anche delle vergini- ma tutti poeti a causa della fessura attraverso la quale scorre la fede, l'amore e la certezza meglio stabilita e da cui penetra un odorino spaventoso, quello che esce dalla bara", (Georges Ribemont-Dessaignes, Céleste Ugolin, Op. cit., p. 28-29). Il testo li presenta come "veri poeti", ma che fuggono la poesia (come se fosse putredine) a profitto "della idraulica, vecchi stracci, della prostituzione, della politica, del furto con scasso, della Borsa, dell'ebbrezza, delle corse..." (p. 30). Questi "antipoeti" sono legati tra di loro dalla "negazione" (p. 116), sono dei "dilettanti della dissoluzione" (p. 142), ma il romanzo racchiude poche allusioni alla loro opera, tranne la menzione della loro rivista dedicata a dei soggetti tecnici. Tutti insieme, compongono una distraente fauna surrealista (GRD si è d'altronde ispirato, nei loro confronto, ad aneddoti reali del portafoglio trovato e di una lettera anonima ostile): André Vésuve, poeta protettore ed eventuale editore dei quaderni di Ugolin; Pate, che confeziona minuscoli oggetti creati da molti parti e si affilia al partito comunista; Florimond Casque, inventore di "un'arte inarticolata da idiota fatta di rutti di fischi bagnati, di borborigmi"; Paul Oriza, che, sotto forma di poesia, pone le sue labbra su una foglia e vi lascia il loro segno (p. 117)... La raccolta di questi "prostituti maschi" al Sein d'or è presentata come un intermezzo delizioso, prima che non debbano un giorno fuggire dalla libertà.
[17] Vedere Michel Décaudin, "Prefazione" in Alfred Jarry, Oeuvres, 2004, p. VII-XIV.
[18] Rachilde, Alfred Jarry ou le surmâle des lettres, op. cit., p. 11.
[19] André Breton, Alfred Jarry, in Anthologie de l’humour noir, [Antologia dello Humour nero, Einaudi, Torino, 1971]: Come ha egli stesso detto: "Redon - quello che mistero "o" Lautrec quello che manifesto [affiche], si dovrebbe dire: Jarry, quello che revolver".
[20] L'espressione è di Rachilde, Alfred Jarry ou le surmâle des lettres, p. 210.
[21] André Breton, La clé des champs, 1991, p. 309.
[22] Henri Pastoureau, "La revanche de la nuitpar Alfred Jarry » (paru en juillet 1949, repris dans Ma vie surréaliste, 1992, p. 138-141).
[23] André Breton, La clé des champs, op. cit., p. 309.
[24] Jean-Marc Rodrigues, XXe siècle, 1988, vol. I, p. 86-87. Jarry avait exposé ses idées dans un article publié par le Mercure de France en septembre 1896, « De l’inutilité du théâtre au théâtre » : refus du décor, suppléé par des écriteaux indiquant les lieux, utilisation étendue des accessoires (une table ou une chaise peuvent tenir lieu de fenêtre ou de porte), port de masques par les acteurs à l’effigie du personnage interprété et recours à la « voix du rôle » ainsi qu’à des jeux de lumière pour nuancer l’expression des masques.
[25] Georges Ribemont-Dessaignes, L’Empereur de Chine, dans Théâtre, 1966, p. 118.
[26] En ce qui concerne le chronotope de la Chine, on peut consulter le texte de Georges Ribemont-Dessaignes, « La Chine et les nations », dans Dada, op. cit., p. 569-571. En outre, il est possible de voir dans L’Empereur de Chine un clin d’oeil au conte d’Andersen, Le rossignol de l’empereur de Chine, l’oiseau comptant, avec le singe, parmi les bêtes préférées de GRD dans son « bestiaire surréaliste ».
[27] Georges Ribemont-Dessaignes, Déjà jadis, op. cit., p. 26.
[28] Franck Jotterand, Georges Ribemont-Dessaignes, op. cit., p. 45.
29 Tristan Tzara, « Alfred Jarry », dans OEuvres complètes, 1975-1982, vol. 5, p. 359-360. Pour Apollinaire, Jarry dépasse de beaucoup le domaine de la poésie : « On ne possède pas de terme qui puisse s’appliquer à cette allégresse particulière où le lyrisme devient satirique, où la satire s’exerçant sur la réalité dépasse tellement son objet qu’elle le détruit et monte si haut que la poésie ne l’atteint qu’avec peine, tandis que la trivialité ressortit ici au goût même et, par un phénomène inconcevable, devient nécessaire » (Apollinaire, « Il y a— Messein », cité dans Rachilde, Alfred Jarry ou le surmâle des lettres, op. cit., p. 18-19).
30 André Breton, L’amour fou, 1973, p. 8.
31 André Breton, La clé des champs, op. cit., p. 309.
32 GRD, cité dans Franck Jotterand, Georges Ribemont-Dessaignes, op. cit., p. 36.
33 Un article d’Henri Béhar vient cependant nuancer cette position : « Le symbolisme absolu de Georges Ribemont-Dessaignes », 1986. Dans L’autruche aux yeux clos, GRD inclut des éléments qui semblent provenir de la
littérature décadente et symboliste : pensons à l’image de la tête coupée d’Estelle de Malabar, retrouvée dans la jungle, ou, aspect plus frappant encore, la fantaisie du roi bulgare Boris consistant à recréer un paysage éthiopien artificiel à même son château, et d’y adjoindre des accessoires tels un serpent artificiel ou un mouchoir au nom brodé de Cléopâtre, le tout, pour faire illusion à… une autruche aveugle, qui nous rappelle la contemporanéité du texte avec les Cocteau, Satie et Dalí.
34 Voir Rachilde, Alfred Jarry ou le surmâle des lettres, op. cit., p. 81 : « Les critiques impartiaux eurent tout de même, dans ce bouleversant tapage, la vision d’un type nouveau, quoique éternel, de Guignol-tyran, à la fois
bourgeoisement poltron, lâchement cruel, avare, génialement philosophe, tenant par sa grandiloquence de Shakespeare et par son humanité primitive de Rabelais. »
35 Tristan Tzara, « Alfred Jarry, loc. cit. », p. 359.
36 Raymond Queneau, « Conversation avec Georges Ribemont-Dessaignes », 1950, p. 35-36.
* Con l'espressione "la Der des Ders", forgiata in francia alla fine della prima guerra mondiale si intendeva ironizzare sul quello che era stato il suo contenuto ideologico per cui era stata combattuto, l'essere cioè l'ultima delle ultime guerre: dernière des dernières, (N. d. T.].
37 Georges Ribemont-Dessaignes, L’autruche aux yeux clos, op. cit., p. 122.
38 André Breton, La clé des champs, op. cit., p. 309.
[40] Georges Ribemont-Dessaignes, L’autruche aux yeux clos, op. cit., p. 81-86. Le même principe s’applique au président Chihuahua y Aragon, qui interdit à son peuple de s’enivrer, mais admet l’alcool renommé « eau lustrale » ou « antidote » ; décrit comme un « moraliste avisé » et un « grand homme d’État », il se révèle inspiré par les lois en usage aux États-Unis, ce qui fournit l’occasion à GRD de tourner en dérision l’esprit prohibitionniste américain (ibid., p. 95-96).
[41] Georges Ribemont-Dessaignes, « Non – seul plaisir », paru dans 391, n° 11, p. 2-3, repris dans Dada, op. cit., p. 194-196 (p. 196 pour le passage cité).
Le passage à la postérité de l'écrivain français Georges Ribemont-Dessaignes (1884-1974) est assuré en ce qui concerne ses activités de poète, de polémiste et de dramaturge au sein du grou...
http://www.erudit.org/revue/etudlitt/2005/v36/n3/011529ar.html?vue=integral
Le edizioni Allia hanno ripubblicato le sole tre opere dada di Clément Pansaers apparse quando egli era vivo e ciò ci ricorda molte cose.
Uno dei miei più lontani ricordi risalente alla prima infanzia di mio fratello e mia, è la panchina nera che si trovava in casa nella biblioteca rossa. Era quella dei giochi e delle risate con nostro padre, delle risate e delle pazze risate da farsi venire il mal di pancia.
Più tardi fu quella delle storie che egli inventava raccontandocele. La storia di Lionel, ad esempio, il ragazzino che viaggia in treno e che scopre che dall'ultimo al primo vagone è del tutto solo... sino alla locomotiva dove non c'è nessuno! Storia per addormentarci o svegliarci?
Poi venne la panchina di rilassamento e della lettura sin da quando seppi leggere... Disteso su di essa, non avevo che da allungare il braccio per prendere, a caso un libro, e mi ricordo, come se fosse ieri, di Bar Nicanor: delle parole, in grassetto in un testo normale, mi saltavano agli occhi come un filo conduttore, un indice analitico o una pubblicità:
AÉRO
Soubrette 007
sempre più in alto?
siamo i venti
culi
siamo i 20
kuori
stupidi 20 culi
pri pru bru aha
……[1]
È evidentemente un libro per bambini! scritto per far ridere i piccoli, che non hanno ancora bisogno di comprenderli per giocare con le parole... Non ne parlavo, naturalmente, non più degli altri libri per bambini e di altre pubblicità che c'erano in casa.
Mio padre non ne parlava affatto. Ci raccontava o leggeva sempre delle storie ma non le commentava. Non ci parlava naturalmente mai di Dada né di poesia. Si può parlare di poesia ai bambini? Essi sono poesia, e basterebbe di parlarne loro perché essa non brilli che per la sua assenza...
Durante la seconda guerra mondiale eravamo nell'età in cui si raccontano delle chiacchiere udite altrove. Egli a sua volta ci raccontò la storia, risalente alla sua giovinezza, di un sindaco che riceve un ministro, gli mostra con fierezza il suo villaggio e termina con il monumento ai morti: -"Ma come?, si meraviglia il ministro aggrottando le sopracciglia, non ci sono più morti qui?...".
Scherzo Dada? Forse, ma non vi fece alcuna allusione. Non più di quando alla stessa epoca gli ho chiesto cosa volesse dire Pan-Pan au Cul du Nu Nègre [Pan-Pan al Culo del Nudo Negro], e che mi aveva risposto: "Un pan-pan è una pistola o un fucile; e un negro tutto nudo o quasi nel suo territorio natale, cosa c'è di più ordinario?" senza alcun commento: Dada era passato di moda...
Qualche anno dopo la guerra, non tornavo a casa che una sola volta alla settimana, e ci si raccontava cosa era accaduto tra l'una e l'altra:
— Un giovane Francese, Édouard Jaguer, si interessa a Clément Pansaers ed è venuto a parlarmene.
— Il figlio Marc del vostro amico Robert Dachy, è un ammiratore di Dada, ed è venuto a dirmelo.
— Un giornalista della radio (RTBF) mi ha chiesto se il Presidente Eisenhower era dada. Gli ho risposto di sì, evidentemente, per la semplice ragione che non sa cosa sia.
— La televisione francese è venuta sino a qui per interrogarmi sui miei ricordi di Dada...
Dada aveva fatto ritorno con il vento!
E per me la panchina era tornata quella del riposo per eccellenza: il luogo migliore dell'universo! mi dicevo, quello del dolce far niente.
Tutto ciò che è vivo ozia.
L'uomo solo rimane un forzato.
Quest'aforisma si trova in Apologie de la Paresse[Apologia della pigrizia], potrebbe esserne il sottotitolo ed è entrato nel mio linguaggio corrente. Da quando? Non saprei dirlo con esatezza, in ogni caso a partire da quegli anni in cui Paul Neuhuys, molto sollecito per dire e scivere ciò che Dada era stato per lui, ce ne parlava.
Ma quando lo si prendeva anch'egli per un poeta dada, si difendeva: "Non è dada chi lo vuole!" ci diceva. Intendeva con ciò che non si diventa un un poeta dada, si nasce dada... Oppure non lo si è.
Ciò non impedisce che tutti i movimenti di avanguardia che seguirono le due guerre del ventesimo secolo, è Dadache essi posero in testa, perché era il più puro. Ed il più puro perché ha sempre fatto fallire ogni tentativo di recupero, non resistendo, ma sparendo "con la più giravoltosa disinvoltura".
Non cessò di mostrare il suo attaccamento a Dada, e gli rimase fedele sino alla fine. Lo testimoniano: il titolo della sua ultima raccolta: L'Agenda d'Agénor(1984); quanto ha detto in un'ultima trasmissione della televisione fiamminga (BRT 1984); i suoi scritti pubblicati dopo la sua morte in Mémoires à Dada [Memorie a Dada] (Le Cri 1996).
Thierry NEUHUYS
[Traduzione di Elisa Cardellini]
NOTE
[1] Riportiamo qui sotto i versi nella lingua originale:
AÉRO
Soubrette 007
toujours plus haut?
nous sommes les 20
culs
nous sommes les 20
d'keurs
con 20 culs
pri prou brou aha
…..
La traduzione che ho dato del testo è naturalmente letterale, i tre versi assurdi dove compare il numero 20 sono di doppi sensi fonetici:
1) "nous sommes les 20 culs" (siamo i venti culi) suona come: "nous sommes les vincus", e cioè: "Noi siamo i vinti".
2) "nous sommes les 20 d'keurs (siamo i venti di cuore), suona come: "nous sommes les vainqueurs", e cioè: "Noi siamo i vincitori".
3) "con 20 culs" (stupidi 20 culi), suona come "convaincus", e cioè: "Convinti".
I tre versi vanno quindi intesi foneticamente così:
Noi siamo i vinti
noi siamo i vincitori
convinti
Qui in basso riproduciamo, tratti dal Dada Archive dell'Università dello Iowa, il più grande sito mondiale di materiale Dada, le pagine in cui i versi citati nell'articolo sono tratti. Infatti, i versi sono stati scelti a caso in pagine poste in sequenza
LINK al post originale:
La rivista Ça ira! tra comunismo e dadaismo
di Georges-Henri Dumont
Quando si schiude il 1920, le musiche da ballo e le gioie della liberazione sono belle e bene dimenticate. Il Belgio ha terminato la guerra in uno stato di profonda devastazione. Certo, ha perso, sui campi di battaglia, meno soldati degli altri belligeranti: circa 60.000, cioè il 2% dei suoi effettivi contro il 7% della Francia. Ma, indebolita da quattro anni di privazione, la popolazione ha resistito male all'epidemia dell'influenza spagnola che ha sconvolto l'Europa. In quanto ai danni diretti di guerra, essi si aggirano all'incirca ad un quinto del patrimonio nazionale. L'illusione persiste che sarà la Germania a pagare. Il franco è svalutato ed i salari salgono soltanto perché la vita rincara. Al contempo più lucido e più pessimista degli uomini politici che, dopo un breve periodo di sacra unione, hanno ritrovato le loro abitudini, il re Alberto I scrive; "Vi sono 300.000 disoccupati, scioperi dappertutto, una grande preparazione negli ambienti anarchici ed anche i ragazzi di città sognano di eguagliare i bolscevichi i cui grandi profeti annunciano da due anni la loro caduta imminente ma che si mantiene sempre e sembra rafforzarsi".
Durante questo periodo- e già prima dell'armistizio- molti autori scrivono dei racconti di guerra. Le opere di Maurice Gauchez, Max Deauville, Robert Vivier, Martial Lekeux, Lucien Christophe, Constant Burniaux, non hanno l'intensità accusatrice di Il Fuoco di Henri Barbusse, si tengo alla stessa distanza dal pacifismo deluso e dal lirismo eroico. Tuttavia alcuni giovani di Anversa che hanno venti anni all'epoca non si curano di questa letteratura di circostanza e, più ancora, del nazionalismo che la sottende. La loro intenzione era di pubblicare una rivista con il titolo di Momus, il dio degli scherzi, ma constatando rapidamente che le loro concezioni divergevano sui contenuti e nel tono, si separarono in due gruppio. Amichevolmente, sembra. Nell'agosto 1919, Roger Avermaete lancia, la rivista Lumière.
In quel momento, il poeta Paul Neuhuys, nato ad Anversa nel 1897, risiede a Parigi dove ha seguito i corsi che la Sorbona riserva agli studenti stranieri. Ha appena ottenuto un diploma di fantasia, firmato da tutti i suoi professori ed il rettore Henri Poincaré, quando riceve la visita di Georges Manier. Questo vecchio amico dell'Ateneo di Anversa lo convince facilmente di tornare in città per unirsi al gruppo dissidente Ça ira!
Sono per ora sei: Maurice Van Essche, il primogenito, Georges Marlier, Willy Koninckx, Paul Neuhuys, Henri Lothaire (Henri Alexander) e Paul Manthy (Henri Nevens). Tengono le loro riunioni in casa di Maurice Van Essche, rue des Babillardes, sulla parte posteriore di un edificio composto per la maggior parte di studi di pittori. Il primo numero di Ça ira! appare nell'aprile del 1920 con una impaginazione molto classica con una copertina di Floris Jespers, rappresentante i grandi magazzini. Maurice Van Essche firma l'editoriale. "Piegati sotto il giogo di un militarismo ingannevole e beffardo", egli scrive,"ingannati dalle grida insidiose di un capitalismo avido di profitti, gli uomini di ogni dove si sono contrapposti a lungo gli uni contro gli altri. Ma oggi hanno avuto paura nell'aver visto le loro mani rosse del sangue altrui. Hanno visto i capibranco rientrare a casa loro con la bisaccia piena e le mani bianche. Hanno rabbrividito nell'aver aiutato, senza volerlo, ma comunque aiutato, ad accumulare tutte queste rovine. Ed hanno detto: no! Hanno anche detto: tutto ciò deve finire!".
In questo stesso numero, Paul Manthy [1] inizia il commento ad un opera del pastore olandese H. W. Ph. E. van den Bergh van Eysinga Revolutionnaire cultuur. Lo prosegue nel numero di maggio. Dopo una citazione dell'autore, secondo cui la nuova società sarà "een communistische gemeenschap zonder rechtbank, zonder soldateska, zonder tirannie", Paul Manthy scopre le sue armi: "La rivoluzione non si compirà da sé. Benché il comunismo sia la prosecusione logica del capitalismo, la semplice evoluzione non può portare alla sua fondazione. La forza d'inerzia deve essere vinte. Bisogna passare agli atti. Questi atti sono: l'uso della potenza collettiva delle masse operaie. Desideriamo tutti, come l'autore di Revolutionnaire cultuur che gli spargimenti di sangue ci siano risparmiati. Siamo contro l'insurrezione sanguinaria in linea di principio. Ma se la realtà ci obbliga, se la borghesia invia contro le truppe proletarie le sue armate (ed essa lo farà, perché vorrà, e lo comprendiamo bene, mantenere la propria autorità; ovunque un'armata rossa si sia formata delle armate bianche le vennero opposte), se il capitalismo allinea i suoi cannoni ed i suoi carrarmati e le squadriglie dei suoi aeroplani e tenta di disperdere con le mitragliatrici poste agli angoli delle strade, i ranghi serrati dell'Armata della rivoluzione, allora, provocatore avendo creata la rivolta sanguinaria, la combatteremo con le armi, sino alla vittoria. Perché la vittoria è certa".
L'intonazione è data e, nel numero di giugno, Paul Manthy, nella rubrica Lieux communs [Luoghi comuni] grida: "Lenin, questo nome irraggia al di sopra del pantano sanguinario in cui sguazzarono i nostri fratelli maggiori; Lenin, l'uomo ardente di fede, che circondato dai suoi fedeli, intraprese la più grande opera che mai fu tentata e che riuscì. Se era necessario affinché in Russia sorgesse l'aurora di una nuova umanità, che le nazioni si scannassero a vicenda per più di quattro anni, non rimpiangiamo le formidabili ecatombi preparate dai criminali propositi dei nostri padroni di ieri e di oggi. Perché hanno contribuito alla loro sconfitta e dalle rovine che essi accumularono, rovine materiali e morali, nascerà in un prossimo futuro, la Rivoluzione dei popoli, che spazzerà le loro istituzioni marce e darà agli uomini una nuova coscienza".
Questa presa di posizione non è sorprendente che per la debolezza intellettuale degli argomenti invocati; per il resto si iscrive nel contesto di un'opinione minoritaria ma influente che si esprime nell'immediato dopoguerra. In Belgio come in Francia, anche gli antichi combattenti si interrogano sul senso delle sofferenze subite. Una volta svelati i misfatti del conflitto, osserva lo storico François Furet [2], "Il ricordo di avervi partecipato assume la forma del mai più! Ed è in questo mai più che la rivoluzione d'Ottobre trova il suo auditorio, unendo alla forza di una speranza l'ossessione di un rimorso".
In Belgio, la sinistra politica e sindacale è molto sensibile a ciò che è chiamato "il fascino dell'Ottobre". Costringe inoltre il Primo ministro Léon Delcroix di rifiutare il transito attraverso il porto di Anversa delle armi e munizioni che la Repubblica francese ha deciso di inviare in Polonia per aiutare Varsavia assediata dagli eserciti sovietici che si sono spinti sino alla riva della Vistola. Ne deriva la dimissione del ministro per gli Affari esteri Paul Hysmans seguita da quella del governo intero, il 4 novembre 1920. I redattori di Ça ira! non sono né vecchi combattenti né militanti, ma nella crisi di senso che li unisce, vedono la rivoluzione sovietica come una grande luce; salutano in essa "una rottura decisiva e positiva con il capitalismo e la guerra". Non sono i soli nel piccolo mondo dei periodici. Molte riviste condividono il loro punto di vista: Clarté a Parigi, De Stijl a Leida, De Nieuwe Amsterdammerad ad Amsterdam, Ruimte ad Anversa. Tutte si situano all'avanguardia con le loro opzioni politiche oltre che per i loro orientamenti letterari.
Facciamo brevemente notare i legami di solidarietà intrecciati da Ça ira! con il movimento fiammingo. "Una sola cosa ci interessa, leggiamo nel primo numero, e cioè che la questione fiamminga è una questione di giustizia. Per questa ragione, siamo fiamminghi con tutta la nostra energia, e tutti coloro che non lo sono contro di noi [...]. Non è alle sue qualità intrinseche che il francese deve le sue prerogative nelle Fiandre. Il francese non è altra cosa che il trattino di unione che congiunge tutti i rappresentanti dell'idea borghese, dagli arricchiti ai gesuiti". In seguito, paradossalmente sotto l'effetto dei rimproveri rivolti da Théo Van Doesburg, il direttore di De Stijl, verrà posta una sordina a questi slanci di solidarietà. Non rimarrà che l'ammirazione per la cultura fiamminga, in particolare il posto che occupano la pittura e la scultura espressioniste.
Sia quel che sia, per un anno intero, Ça ira!, non presenta un granché di una rivista di avanguardia letteraria. Le poesie pubblicate da Paul Neuhuys, Willy Koninckx, Pierre-Jean Jouve, René Arcose, cosa inaspettata, Paul Colin sono sprovviste di audacia. Sono nella linea di ciò che Willy Koninckx chiama un "classicismo contemporaneo", un po' influenzato dall'unanimismo di Jules Romains. Quelli di Charles Plisner- ha ventiquattro anni nel 1920- sono sicuramente più impegnati. Nel Vincitore cieco, il poeta pacifista fa dialogare due sopravvissuti di una battaglia:
Un lucore sfiorò la valle. Sembrava
che la gleba diventasse vivente.
V'erano nell'alba esangue in cui moriva lo spavento,
due Uomini che andavano.
Ed il vincitore gettò la sua arma
-la sua arma?- la sua croce...
Ed il vinto, con le lacrime
Cancellava il sangue dalle sue dita...
Più esplicito, Fuliggine e Pioggia termina con questo grido:
Aha! Aha!
La rivolta crea dei giganti! [3]
Al contrario della letteratura, piuttosto ristrettamente rappresentata nei primi numeri di Ça ira!, le arti vi hanno la maggior parte [4]. Non soltanto con gli articoli di critica scritti da Georges Marlier- lo si ritroverà a fianco a Paul Colin durante la seconda occupazione tedesca- ma anche per la riproduzione di disegni, in legno e lino di Floris Jesper, Frans Masereel, Pail Joostens, Josef Cantré, Jan Cockx. Jean Warmoes, nel catalogo dell'esposizione Cinquant'anni di avanguardia 1917-1967, afferma che a partire del numero 13 di Ça ira!, "la politica sparisce a vantaggio dell'arte [5]". Non è del tutto esatto. Nel numero 14, H.-L. Foin, fondatore dell'effimero Partito individualista e sovranazionale, consegna le sue riflessioni sulla Rivoluzione sociale Rivoluzione politica che Paul Manty- sempre lui, ma sotto i colpi della rivelazione degli scacchi della politica sovietica in Russia- commenta in questi termini: "L'Esperienza bolscevica offre preziosi insegnamenti in quanto ai metodi che devono portare dal passaggio dell'ordine capitalista all'ordine comunista. Ma annunciare il fallimento del tentativo di Lenin, perché non lo può realizzare pienamente, è un po' prematuro. La rivoluzione russa ha fallito là dove il suo programma, troppo ideale, in cui le realtà della vita, "realtà eterne", entrano in conflitto con esso. E questo fallimento parziale si ritrovò accelerato dal fatto delle misure economiche che l'Intesa prese per impedire l'entrata in Russia di merci e soprattutto di macchine la cui mancanza costituisce il più grande fattore della disgregazione di questo paese".
Conviene inoltre, segnalare la pubblicazione per le edizioni di Ça ira! dell'opuscolo di Charles Plisnier Réforme et Revolution alla quale è unito un Avviso al lettore che prega quest'ultimo di rimpiazzare le parole socialisme et socialiste con comunismo e comunista, in conformità con le decisioni del III Congresso di Mosca. Date queste precisazioni, bisogna ammettere che a partire dalla seconda ed ultima serie (oramai in formato in-8° e non più in-4°), che si chiude nel 1923, Ça ira! è oramai una vera rivista letteraria di avanguardia. Come spiegare questa svolta? Senza dubbio per l'incontro con il dadaista Clément Pansaers, di cui la rivista ha pubblicato, nei numeri 11 e 12, degli estratti del suo romanzo Lamprido. Strano personaggio questo Clément Pansaers, il cui vero nome è Guy Boscart! Da dicembre 1916 a maggio 1918 pubblicò Résurrection, rivista internazionalista che accolse in traduzione dei testi di giovani scrittori tedeschi come Walter Hasenclever, Franz Wedekind e Ernst Stadler, così come dei contributi di Charles Vildrac, Pierre-Jean Jouve, Michel de Ghelderode [6] et René Verboom.
In piena occupazione nemica, Clément Pansaers si arrischiava a scrivere: "Erigiamo sull'antico Belgio una federazione fiammingo-vallona in cui le vecchie discordie fanno posto ad una semplice concorrenza cordiale di sviluppo intellettuale". Alla liberazione, perseguitato per le sue simpatie tedesche, fu perquisito- "gendarmi e soldati con baionetta inastata" ma si trasse facilmente d'impaccio. Più deciso che mai a trasgredire i valori stabiliti, aderì nel 1919 al movimento Dada che i suoi amici berlinesi gli avevano fatto scoprire e che corrispondeva alla sua propria evoluzione. Poi prese contatto con i dadaisti francesi e pubblicò per le edizioni Alde a Bruxelles il suo famoso Le Pan Pan au Cul du Nu Nègre, in cui Paul Neuhuys, nel suo rendiconto in Ça ira! dell'agosto del 1920, percepì "sotto una piacevole parvenza di alienazione mentale un bel sforzo metafisico".
Nella primavera del 1921, Clément Pansares si unisce alla maggior parte dei dadaisti parigini; rimprovera loro di non radicalizzare il loro movimento. Lo abbandona durante una cena presso Cesta, il 25 aprile 1921. Il suo amico il pittore Picabia lo aiuta a pubblicare un articolo in Comoedia, l'11 maggio. Arrabbiato, nel suo isolamento, corrisponde con il poeta americano Ezra Pound ed il romanziere irlandese James Joyce. È allora che Paul Neuhuys gli affida l'elaborazione del numero 16 di Ça ira! interamente dedicato a Dada, la sua nascita, la sua vita, la sua morte, È un evento "di una incongruità assoluta nell'ambiente accoglientemente retrogrado", scriverà Paul Neuhuys presentando la riedizione del 1973.
Quest'affermazione non significa, da parte di Paul Neuhuys, un'adesione a Dada. "La traiettoria di Ça ira!, osserva Marc Dachy, resterà insomma un atteggiamento di esitazione tra una generosa politica di apertura ed accoglienza e la tentazione, il passaggio all'atto mai posto di un impegno risoluto nel movimento dell'avanguardia internazionale" [7]. È rivelatore che nessun membro del gruppo della rivista contribuisca a questo numero speciale, ma vi ritroviamo le collaborazioni di Francis Picabia, Paul Éluard, Benjamin Péret, Ezra Pound ed altre celebrità.
Francis Picabia si scatena allo spettacolo del fallimento della rivoluzione sovietica: "La nobiltà russa ha venduto i suoi gioielli per continuare lo slancio del suo piacere, presto venderanno i loro cuori nel modo in cui le sfortunate prostitute di Mosca vendono le loro chiappe o, ciò che è ancora peggio, le daranno via per niente ad un cugino di primo grado del nuovo zar Lenin... Scusa mio caro Lenin, è vero, non siete uno zar, concentrate l'ideale ed i bisogni della vostra epoca, i quali consistono per la maggior parte dei vostri ammiratori, nel desiderio di mettersi della polverina per starnutire nel naso! L'altro giorno passando nelle vostre vicinanze, ho scavalcato lo steccato del vostro giardino, essendomi accordo dei magnifici frutti sugli alberi ed ho scosso energicamente uno di questi alberi allo scopo di spegnere la mia sete e di calmare la mia fame. Ho allora ricevuto sulla testa una superba merda che intendo esporre e vendere alla sala Druot a vantaggio degli animali dei vostri giardini zoologici se non hanno ancora avuto la fortuna di essere stati mangiati da voi!".
Da parte sua, Pierre de Massot constata: "È finita la storia promessa, miei cari amici ed il ricordo di Dada si confonde nel crepuscolo con la cenere delle nostre sigarette profumate". Georges Ribemont-Dessaignes fa eccezione, rimane fedele al primo Dada e celebre Tristan Tzara: "È per questo che saluto il Signor grande avvoltoio che non è il paradiso e fa le sue uova tra le rocce non per l'allevamento dei polli dai colli spennati ma perché l'umidità del prato fa ammuffire le frittate con un odore di falsa carogna".
Ezra Pound fa la caricatura di una Serata: "Quando apprese che sua madre versificava e che il padre versificava che il figlio minore si occupava di edizione e che l'amico di famiglia rovinato stava approntando un romanzo il giovane pellegrino americano esclamò: 'Eccolo un ambiente chic!'"
Clément Pansaers ricorda che "il punto di partenza teorico della scuola che avrebbe potuto chiamarsi Dada e che resterà malgrado tutto così chiamata, risale ad Alfred Jarry per l'idea e a Stéphane Mallarmé per un colpo di dadi ed alcuni divagazioni espressive". Ammette l'influenza esercitata su di lui dalla lettura di Chuang Tzu, Cinese contemporaneo di Aristotele, ed anche da quella di Spencer e William James. Sicuramente, accusa Dada di non essere più, "in ultima [8] analisi" che "Tam-Tam-Réclame", ma constata che "malgrado tutto Dada è esistito ed esiste. Come sempre, alcuni aspettano le opere, come vi sono molti che ancora aspettano il Messia, mentre le opere sono là. E poco importa che esse non siano che una curiosità... provvisoriamente".
Di Paul Éluard è pubblicata una breve poesia intitolata, non so perché, Public:
Figlio di nutrice,
figlio di corsa,
figlio intelligente,
donna del mondo sconosciuto, mia bella bambina, tu
scivoli (fiore appassito, peccato mortale, piccola?)
nell'erba morta, calore morto.
Figlio sottomesso,
una volta il bimbo, i giochi, l'indecenza,
recito la parte del vecchio amico recito un monologo,
recito la parte del contadino
Benjamin Péret, lui, invoca, una Riforma:
In slitta sulla Neva
scivolo translucido
circondato da ippocampi bianchi
piccolo culo pallido
cosa vieni a fare qui
gli schiaccianoci hanno chiuso le loro orecchie
i funghi crescono alla fonte
non ci siamo più che noi a pensare alle gomme da cancellare [8a]
Segnaliamo ancora alcuni testi provocatori a volontà come quello di Georges Félician Herbiet, che si firma Christian: "I Da' non sono eunuchi e non [10] portano camicia ognuno può vederlo. Reggendo la bellezza, l'ora è giunta di coricarla sotto di noi, per ridere e e nient'altro che per ridere nel gioco del bestia dai due dorsi". La proclamazione termina con un P. S.: "La bellezza propria vale esser baciata e due volte piuttosto che una".
Comunicazione di GEORGES-HENRI DUMONT
alla seduta mensile del 8 aprile 2000
[Traduzione di Elisa Cardellini]
NOTE
[1] Scrivendo la prefazione alla riedizione della collezione completa di Ça ira! per Jacques Antoine, nel 1973, Paul Neuhuys non cita Paul Manthy tra i collaboratori della sua rivista!
[2] Furet, Le passé d’une illusion. Essai sur l’idée communiste au XXe siècle, Paris, 1995, p. 139; [Tr. it.: Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel XX secolo, Mondadori, Milano, 1995].
[3] queste due poesie non sono presenti nell'Œuvre poétique edita nel 1979.
Ecco il testo in francese:
Une lueur frôla la vallée. Il semblait
que la glèbe devînt vivante.
Ils furent dans l’aube albe où mourrait l’épouvante,
deux Hommes qui allaient.
Et le vainqueur jeta son arme,
— son arme ? — sa croix...
Et le vaincu, avec des larmes
Effaçait le sang de ses doigts...
Plus explicite, Suie et Pluie se termine par ce cri :
Ahan ! Ahan !
La révolte fait des géants!
[4] Sul piano delle arti plastiche, pagine eccellenti sono state scritte da Marc Van den Hoof, Histoire d’une revue : Ça ira (1920-1923), mémoire de licence en philologie romane, Katholieke Universiteit te Leuven, 1971, p. 35-51.
[5] Bruxelles, 1983, p. 10.
[6] Sulle relazioni tra Michel de Ghelderode e Clément Pansaers, cfr. Roland Beyen, Michel de Ghelderode ou la hantise du masque, 2e éd., Bruxelles, 1971, p. 110-113.
[7] Marc Dachy, "Meeting pansaérien, suivi d’un Appel à témoins", in: Plein chant, 39-40, Bassac, 1988, p. 23. Nello stesso numero, interrogato da Christian Bussy, Paul Neuhuys ricorda: "Avemmo uno scambio di opinioni con Clément Pansaers ad Anversa. Ne risultò una reciproca perplessità. Molto robusto, la schiena un po' ricurva, avvolto in un grande mantello un po' alla maniera dandy di Barbey d’Aurevilly. Lo chiamavamo il conestabile, il conte della scuderia Dada. Era affiancato da una compagna in cappellino e gonna corta, il che era molto audace per l'epoca, la marchesa Bianca da Pansa" (p. 97).
Da parte sua, Pansaers racconta a Van Esche, il 3 febbraio 1918, il suo incontro con la redazione di Ça ira! ad Anversa, alla taverna Holsters: "Flaccido ed incolore scambio di vedute- mi occorse un bel po' di tempo– il tempo che si formasse un'atmosfera- un po' tiepida- solleticante- narcotica- per sciogliere la lingua- ho piuttosto ascoltato- un po' distratto- amorfo- Mia moglie ha ammirato il vostro piccolo raggruppamento e la sua buona volontà- spirito che non si trova a Bruxelles". Citato da Marc Van den Hoof, op. cit., p. 85.
[8] La prima fu Haro, che pubblicò dei testi di Clément Pansaers, Auguste Haberu e Charles Plisner.
* [8a] Testo in lingua originale:
Fils de nourrice,
enfant de course,
enfant intelligent,
femme du monde inconnu, ma belle enfant, tu
glisses (fleur fanée, péché mortel, petite ?)
dans l’herbe morte, chaleur morte.
Fils soumis,
une fois le bambin, les jeux, l’indécence,
je joue du vieil ami je joue du monologue,
je joue du paysan
Benjamin Péret, lui, invoque, une Réforme :
En traîneaux sur la Néva
je glisse translucide
entouré d’hippocampes blancs
petit cul pâle
que viens-tu faire ici
les casse-noisettes ont fermé leurs oreilles
les champignons poussent sur la fonte
il n’y a plus que nous qui pensons aux gommes à effacer
[9] Reconnaissance à Dada, N.R.F., 1° agosto 1920, citato da Marcel Raymond, De Baudelaire au surréalisme, Paris, 1934, p. 316; Tr. it.: Da Baudelaire al surrealismo, Torino Einaudi, 1948.
* In francese Ça ira! si può tradurre con "Ci riusciremo" oppure "Riuscirà", da qui il gioco di parole e cioè: Riuscirà (nel senso di rivista) riuscirà (nei suoi intenti di esistere ed inverare i suoi ideali) [N. d. T.].
[10] Una fotocopia di questo manoscritto, datato al 1972, è conservato negli Archives et Musée de la Littérature [Archivi e Museo della Letteratura]. Il passaggio citato non è presente nella versione edita Mémoires à Dada, Le Cri, Bruxelles, 1996.
[Traduzione di Elisa Cardellini]
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La revue Ça ira entre communisme et dadaïsme
di Henri-Floris JESPERS
Ça ira, numero 16, del novembre 1921.
La mostra, che si è tenuta su Pierre Albert-birot al "centre international de poésie Marseille", ha visto anche gli interventi di Arlette Albert-Birot, Isabelle Krzywkowski e di Frédéric Acquaviva e la diffusione di inediti sonori e visuali di Birot.
Concepita da Frédéric Acquaviva, questa esposizione è organizzata nel quadro del festival actOral, a cui il cipM si associa da alcuni anni presentando una persona emblematica dell'incrocio delle scritture e delle arti, scelto tra le avanguardie del ventesimo secolo.
Così, dopo- nel 2007- Henri Chopin, pioniere della poesia sonora, editore della rivista OU, cineasta sperimentale ed artista; poi Gil J. Wolman, il poeta dei megapneumi, il cineasta dell'Anticoncetto, l'editore delle éditions inconnues, sarà il 2009 l'anno del poeta Pierre Albert-Birot, l'editore della rivista SIC, il poeta-tipografo, l'autore del leggendario Grabinoulor.
Frédéric Acquaviva, colui che ha concepito le tre esposizioni, pubblica "Une Pandémie" in Cahier de Refuge, n° 183, ottobre 2009, di cui ecco due estratti:
Così come degli uomini possono essere attratti verso lo stesso tipo di donna, ho da parte mia un'attrazione certa- di natura differente- per gli artisti, soprattutto poeti, capaci di inventare in molteplici campi in cui spesso essi sono avvertiti come dei semplici dilettanti, ciò che in generale merita loro di passare nella sala d'attesa prima di sperare di stabilire i loro quartieri in luoghi un po' più frequentati.
[...]
Naturalmente- è la ragione d'essere di questa esposizione- mi ha egualmente catturato la modernità di PAB tipografo, come ne testimonierà nel 1964, l'edizione di Ian Hamilton Finlay della sua poesia-cartello Paradis [Paradiso] (Wild Hawthorn Press), anche il fatto che non aspetti più editori, per non dire che fa dei libri artistici, questa nicchia avvenire. È senz'altro la stessa pulsione che spinse il geniale compositore Carlo Gesualdo ad acquistare di che stampare da sé le sue partizioni al cromatismo sottile ed avanzato. Immagino senza difficoltà un PAB negli anni 80 che si serve del suo personal computer per trarne qualche esempio, è Gil Wolman con le sue Éditions Inconnues. La permanenza del gesto avanguardistanin qualcosa che sorprende per la totale ripetizione del suo impossibile assorbimentonda parte del mondo contemporaneo.
Così, si potrà vedere durante questa esposizione i 41 opuscoli editi da PAB vivente, escluse le poesie visuali rimanenti che appartengono oramai al Gabinetto d'arte grafica del Centre Pompidou e delle 17 poesie in forma di auguri annuali (De Temps en Temps), che egli stampò dal 1953 al 1967 ed inviò ai suoi amici, prima che Arlette non proseguisse questa tradizione. Questi libri, per chi li ha avuti tra le mani, sono di un aspetto unico, fragili e preziosi, semplici ed evidenti, in questa frattura tipografica decantata da ogni effetto, moderne ed anti-bibliofile. E se vi è effetto, è l'esplosione della Luna (Che si rivede merlettata che ho scelto per il manifesto di questa esposizione!) Là ancora, colpisce tutta una discendenza, se non la Poesia visiva e concreta, le Dattilopoesie di Chopin, le Poesie prints di John Giorno... Si direbbe che il tempo di incubazione sia finito.
*
Pierre Albert-Birot è presente nel sommario del numero 16 di Ça ira, 'Dada, sa naissance, sa vie, sa mort'. Paul Neuhuys, qui rivedrà PAB nel 1959 alla Biennales de la Poésie a Knokke, lo considerava come uno dei rari dadaisti francesi. Nelle sue Mémoires à dada (Bruxelles, Le Cri, Coll. Les Évadés de l'Oubli, 1996), scriverà:
Di fronte a quei due giganti che furono Pound e Joyce, e tenendo conto che Picabia era di origine spagnola, Pansaers belga, si può dire che i soli Ribemont-Dessaignes, Pierre Albert-Birot e Benjamin Péret siano autentici dadaisti francesi. Tutti e tre sono presenti nel sommario del nostro numero dedicato a Dada. Ribemont, con una piccola opera teatrale Zizi de Dada, che ci valse delle discussioni con il nostro stampatore perché terminava con: "Sono il Papa, per Dio"; Pierre Albert-Birot, con un frammento dialogato tra Poire e Cœur [Pera e Cuore] e Drame pour acrobates: la scena rappresenta un chiaro di luna, Poire e Cœur si stringono, la luna cade a terra, il sipario si abbassa- la luna cade a terra era l atrovata; ed infine Péret, con la poesia Réforme. È certamente quello tra i dadaisti che ricorda di più Jarry e l apatafisica. In Mort aux vaches et au champ d’honneur [Morte agli sbirri ed ai campi d'onore], farà dire ad uno dei suoi personaggi: "La difesa nazionale sono io, ed io ho voglia di dormire".
Pierre Albert-Birot: L'homme coupé en morceaux [L'uomo tagliato a pezzi].
*
Dramma comico in 3 atti per acrobati, funamboli
ed equilibristi
(frammento)
Pera e Cuore entrano di slancio, Pera ha
il ventre luminoso e Cuore è enorme).
Pera
Non so più tacere
Avete saputo piacermi
Cuore
Il mio cuore è in tumulto
Dio mio sorreggetemi!
Pera
Non siate leggera
Ed io sarò sincera
Cuore
Ah per l'eternità
Giuriamo fedeltà
Pera
A voi l'arte di incantare
A me quello di amare.
(Si abbracciano, la luna cade
in terra, cala il sipario.)
Pierre ALBERT-BIROT
Nel 1968, in occasione dell'anniversario di sua moglie, Neuhuys aveva invitato Henri Chopin, il libraio Petithory e la signora Albert-Birot a colazione. Quest'ultima confidò che nella tesi di laurea di Sanouillet sur Dada “quel che v'era di più interessante era l'indice”.
Henri-Floris JESPERS
Post originale datato giovedì 1° ottobre 2009
LINK al post originale:
Panorama bio-icono-bibliografico dei sessanta firmatari di L'Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921)
Proponiamo all'attenzione degli appassionati del dadaismo e dei suoi principali esponenti, la prima di due parti di un saggio eruditissimo e argomentativamente complesso ma di grandissima soddisfazione sul piano della fruizione storica e critica rivolta verso una singola opera artistica o un singolo autore. I richiami ad altre opere di Duchamp rende il saggio ancora più intrigante tanto più che allo scopo di essere chiaro quanto esaustivo sul piano interpretativo, l'autore, Roberto Giunti, dedica ampio spazio alle tecniche utilizzate da Duchamp in quest'opera. Ricordiamo che Rrose Sélavy è il personaggio creato da Duchamp nel 1920 e per cui egli posò vestito da donna in una celebra fotografia di Man Ray (che riproduciamo sotto il titolo), in termini ermetici la sua anima femminile attraverso cui trasformarsi, anzi perfezionarsi e completarsi in un essere ermafrodita.
R. rO. S. E. Sel. A. Vy
Marcel Duchamp nei panni del suo alter ego femminile Rrose Sélavy,
in una celebre foto di Man Ray.
di Roberto Giunti
1. L'odissea dei Rammendi
1a. Tre Rammendi Tipo
Figure 1
È già stato ampiamente discusso dagli studiosi il fatto che la procedura operativa descritta da Duchamp per la realizzazione dei Tre Rammendi Tipo (1913-14) (Fig. 1) non sembra essere attendibile. L'evidenza sperimentale fa infatti escludere la possibilità di ottenere qualcosa di simile ai Rammendi di Duchamp. Non solo, ma una ispezione dell'opera esposta al MOMA ((Museum of Modern Art in New York City) evidenzia delle imbastiture sul retro delle tele di supporto, che definitivamente sembrano escludere quanto descritto nella celebre nota della Scatola Verde. Tutto questo è accuratamente documemtato da Shearer & Gould (1999), i quali tuttavia precisano anche l'insistenza con cui Duchamp, esplicitamente intervistato a proposito, conferma la veridicità del contenuto della nota. In questo primo paragrafo intendo presentare alcune considerazioni sull'argomento.
Una semplice misurazione mostra che la distanza (in linea retta) fra i due capi visibili di ciascuno dei tre Rammendi è costante. Ciò è evidenziato anche dal fatto che in Tu m' (Fig. 2), di cui parleremo più avanti, Duchamp presenta i Rammendi accuratamente appaiati, capo contro capo. Ora, è assolutamente improbabile che tre fili che cadono liberamente si dispongano mostrando tre volte di fila la stessa distanza da un capo all'altro. Ciò sembra confermare una volta di più l'impossibilità pratica di ottenere un risultato come quello presentato da Duchamp seguendo le istruzioni della nota della Scatola Verde.
Tuttavia, se Duchamp sostiene caparbiamente di essersi attenuto a quel protocollo operativo, questa insistenza deve farci riflettere. E' vero che la sua opera è disseminata di tranelli e di ambiguità volutamente fuorvianti; tuttavia usualmente Duchamp opera in modo che siano i nostri sensi ad ingannarci, e non le sue parole; in altri termini la sfida che egli ingaggia con l'osservatore è una sfida leale, mantenuta costantemente su un piano di correttezza: le tracce potranno essere volutamente rese ambigue, tuttavia sono messe davanti all'osservatore nella loro oggettività: sta all'osservatore leggerle con razionalità.
È interessante notare che nei Tre Rammendi Tipo, Duchamp sembra dissimulare accuratamente l'uguaglianza delle sei misure in linea retta dei fili e delle loro sagome di legno.
Osserviamo come li dispone Duchamp, quando i fili e le sagome siano posti verticalmente (come suggerisce l'orientamento dell'etichetta di testo di ogni filo). Per questo scopo considererò la riproduzione miniaturizzata dei Tre rammendi Tipo della Boite-en-valise (1941) (Fig. 3), perché è la sola rappresentazione che io conosca dove tutti e sei le componenti (3 fili e tre sagome) sono sicuramente disposte da Duchamp stesso. Ma simili considerazioni potrebbero essere fatte anche per tutte le altre disposizioni che io conosco, inclusa quella al MoMA.
Fili (F) | Sagome (S) | ||||
FA | FB | FC | SC | SA | SB |
rotazione a 180° & ribaltamento | rotazione a 180° & ribaltamento | rotazione a 180° |
Infine, mentre in due sagome il punto di partenza del profilo curvilineo è evidenziato da una tacca ben incisa nel legno (e ad uguale distanza dal lato superiore), nella terza abbiamo ancora una volta uno sfasamento (in avanti) del punto di partenza del profilo curvilineo. (Con quest'ultima sagoma sembra tuttavia che Duchamp intenda fornirci un piccolo indizio, perché qui manca l'incisione della tacca nel punto di partenza del profilo curvilineo: una difformità che balza subito all'occhio).
Non sappiamo se questi spiazzamenti nella disposizione degli elementi della composizione sono casuali o no (noi sappiamo tuttavia che Duchamp era molto meticoloso nella pianificazione e preparazione delle sue opere). Se no, possiamo pensare che ciò che viene nascosto così meticolosamente deve assolutamente avere una grande importanza. Nel caso contrario, possiamo almeno capire perché, fina ad ora, gli studiosi non hanno considerato il dato oggettivo che sto discutendo, in relazione alle nuove difficoltà che introduce per l’accettazione del protocollo operativo dichiarato da Duchamp per i Rammendi.
Ora, ammettendo che effettivamente Duchamp abbia lasciato cadere i fili, allora deve esservi stato un qualche dispositivo per mantenere costante la distanza fra i due capi nel corso della caduta. A questo punto si possono congetturare diverse possibili di tecniche esecutive, compatibili 1. con quanto possiamo vedere nei Rammendi; 2. con ciò che è descritto nella nota della Scatola Verde; 3. con quanto dichiarato da Duchamp in diverse interviste. A titolo di curiosità ne presento un paio.
Il primo ipotetico dispositivo può essere un semplice tutore, come nello schizzo in Fig. 4 -- il tutore dovrebbe cadere assieme al filo.
Un altro dispositivo, illustrato in Fig. 5, potrebbe essere costituito da due guide verticali; anche in questo caso potremmo avere le due eccedenze di filo per le imbastiture alle opposte estremità del filo.
Comunque sia, nei Tre Rammendi Tipo possiamo considerare due punti fissi A e B, e tre linee che passano per essi, come mostra la Fig. 6.
Ciò può evocare alla nostra mente l'assioma euclideo dell'esistenza e unicità della retta per due punti. Come è noto, il motivo dei Rammendi ricompare spesso nell'opera di Duchamp, e basandosi su questo elemento, egli sviluppa numerosi ed importanti concetti. Non sembra essere arbitrario pensare a quest'opera come una sorta di assioma a partire dal quale Duchamp deduce la costruzione dell'intero edificio della sua opera (geometrico, ma non solo). Ma, cosa asserirebbe questo assioma?
1b. Reticolo di Rammendi
Figure 8
Marcel Duchamp, Young Man and Girl in Spring, 1911
Di fatto nel Reticolo Duchamp utilizza ricorsivamente i Rammendi: abbiamo i tre Rammendi ripetuti tre volte, organizzati in terne e con una gerarchizzazione espressa da un grafo ad albero piuttosto astratto, che sembra sottolineare una diramazione.
La stessa diramazione è la cifra formale unificante del dipinto Giovane e fanciulla in primavera, sebbene qui la diramazione abbia lo specifico significato di sdoppiamento: infatti tutta la composizione è basata su un motivo a forma di Y. In accordo con La sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche, dobbiamo far risalire questa cifra al simbolismo alchemico, dove Y sta per androgino (Schwarz, 111). Sia il Giovane che la Fanciulla levano le braccia aperte in una Y; i loro stessi corpi hanno una innaturale disposizione obliqua, che se osservata capovolta mostra nuovamente le diramazioni di una Y. Alla base della composizione abbiamo due archi diramanti, mentre alla sommità troviamo le diramazioni di un albero.
Al centro della composizione c'è una forma circolare all'interno della quale vediamo una piccola figura umana; da questa forma circolare parte l'albero con le sue diramazioni; quindi se guardiamo alle due figure del Giovani e della Fanciulla come al prolungamento di tali diramazioni, esse costituiscono le diramazioni della piccola figura umana al centro della composizione. (Secondo Schwarz gli archi diramanti sono glutei, la figura circolare rappresenta Mercurio nell’ampolla, e l’albero con le sue ramificazioni rappresenta un fallo; infine, il percorso che ho descritto dovrebbe essere letto all'inverso, come il desiderio dei giovani di ricongiungersi in una primordiale unità androgina).
Dunque, eseguendo il Reticolo di Rammendi sulla copia (incompiuta) di Giovane e fanciulla in primavera, Duchamp puntualizza gli antecedenti formali dell'opera. Possiamo sottolineare la stretta continuità fra le due opere osservando che l'unico dettaglio ben definito della copia è il busto della fanciulla con le sue braccia aperte: questa ramificazione umana è innestata con perfetta continuità sulle diramazioni del reticolo. Questo innesto (ricorsivo) di una opera su un'altra opera costituirà anche negli anni a venire uno degli elementi distintivi del modo di operare di Duchamp.
Aprendo il paragrafo abbiamo detto che in Duchamp le rotazioni di 90° sono speciali segnali, per mezzo dei quali viene allertata la nostra attenzione. Vediamo quali significati può avere in questo caso. L'inarcamento del busto e la posizione delle braccia della fanciulla denotano una postura eretta che tuttavia è chiaramente contraddetta dall'orientamento del quadro; come a dire: non interessa l'elemento figurativo della ragazza, ma il motivo formale della diramazione. Dunque, nel passaggio dai Giovani al Reticolo Duchamp ci chiede di focalizzare l'attenzione sull'aspetto concettuale (della ricorsione), mentre l'elemento narrativo (il mondo psichico dei due giovani e le vicende connesse) è apertamente confinato sullo sfondo (ma chiaramente non rimosso): questo passaggio all'astrazione è un primo salto di qualità.
Il secondo salto qualitativo si ha nel passaggio da una iterazione su base 2 (sdoppiamenti) ad una ricorsione su base 3 (tre volte tre Rammendi). Abbiamo già ricordato che per Duchamp 3 spesso significa molteplice o infinito.
Non riesco a vincere la tentazione di proporre qualche una congettura interpretativa: stiamo forse osservando la Sposa supina che leva le braccia nel delirio sei sensi, soggiacendo all'abbraccio tentacolare dello Scapolo? O forse il Reticolo non rappresenta dei tentacoli ma delle fiamme? Della passione o della punizione? Siamo forse testimoni della progressiva messa a fuoco da parte di Duchamp di quell'innesto uomo-macchina che ci verrà compiutamente rappresentato nel Grande Vetro? (Fig. 10)
Figure 10
[a.k.a. The Large Glass], 1915-23
Comunque sia, la prossima stazione dell'odissea dei Rammendi è segnata da una nuova rotazione a 90°, per mezzo della quale il Reticolo di Rammendi viene prospetticamente proiettato su un piano orizzontale e diviene il sistema dei Capillari nell'Apparato Scapolo del Grande Vetro. Il salto di qualità connesso a questa nuova rotazione non ha bisogno di essere sottolineato. Esso comporta (fra altre importanti considerazioni) l'esportazione del principio del 3 (e quindi anche del 9) al Grande Vetro, a cominciare dagli Stampi Maschi (Fig. 11), che devono essere uno per Capillare, quindi appunto 9, mentre sappiamo dalla lettura delle note della Scatola Verde che nel progetto iniziale erano solo 8.
1c. Tu m'
Nel 1918 Duchamp realizza il suo ultimo dipinto Tu m', in cui riprende e elabora ulteriormente le tematiche che nello stesso periodo sviluppa nel Grande Vetro. All'interno del dipinto (di cui Schwarz, 1974, ha fornito una esauriente e convincente interpretazione) ricompaiono i Rammendi in una strana composizione che voglio analizzare in questo paragrafo.
Sulla sinistra del dipinto e in basso abbiamo una rappresentazione delle sagome dei Rammendi; qui sembra che Duchamp voglia giocare a carte scoperte: le sagome sono tutte e tre accuratamente allineate, in modo da evidenziarne le uguali lunghezze. I Rammendi sono direttamente rappresentati altrove nel dipinto, come vedremo oltre. Tuttavia Duchamp usa solo due delle tre sagome, la prima e l'ultima; quella centrale, qui non utilizzata, è la stessa che ci aveva ingannato nei Tre Rammendi Tipo (forse un'espiazione?)
Una mano col dito puntato, dipinta approssimativamente al centro della composizione, indica chiaramente la parte destra, dove, a colpo d'occhio, riconosciamo chiaramente i Rammendi; essi sono disposti nuovamente a coppie, e formano quattro coppie: il Rammendo rosso (corrispondente alla sagoma più in basso) e il Rammendo nero (sagoma più in alto). Nelle due coppie più in alto (una coppia di coppie) i Rammendi hanno lo stesso orientamento, mentre nelle coppie più in basso (altra coppia di coppie) i Rammendi sono disposti con orientamenti differenti. Così, abbiamo una coppia di coppie di coppie: un altro suggerimento di ricorsività, sebbene nuovamente a base 2.
Ricordiamo che abbiamo già osservato la stessa oscillazione fra 2 e 3 come base numerica della ricorsione nelle note della Scatola Verde, dove Duchamp prevedeva solo 8 (=23) Stampi Maschi ( da cui dovevano partire 3 capillari per ogni Stampo) mentre la scelta definitiva sarà 9 (=32, uno per ogni Capillare). Ma questa scelta non è definitiva, come testimonia il ritorno al 2 in Tu m'.
Torniamo alla descrizione del dipinto. I Rammendi paiono fluttuare liberamente nella superficie del dipinto. Da essi si dipartono perpendicolarmente dei raggi colorati da cui irradiano delle circonferenze (composti alla Kandinsky, suggerisce Schwarz). I raggi ci danno prospetticamente la dimensione della profondità, e sembrano alludere vagamente a evolute e evolventi di una curva, che Duchamp può aver visto sui testi di geometria. O, seguendo Henderson i raggi con le loro irradiazioni potrebbero essere una allusione alla presenza di Elettricità. In King and the Queen surrounded by Swift Nudes (1912) and the Invisible Worldof Electron dice che: "simili immagini circolari o spiraliformi continuerebbero a servire a Duchamp in numerose opere susseguenti come indicatrici della presenza di elettricità o magnetismo."
A partire dalla sinistra del dipinto abbiamo l'ombra della Ruota di bicicletta del 1913 (Fig. 15)
Figure 15
The shadow of Bicycle Wheel (1913) in Tu m' (1918), detail
(che starebbe per Duchamp, nell'interpretazione di Schwarz), poi osserviamo l'ombra del Cavatappi del 1918 (Fig. 16)
Figure 16
The shadow of Corkscrew (1918) in Tu m' (1918), detail
(secondo Schwarz sarebbe il fallo dello Scapolo-Duchamp, che desidererebbe consumare l'incesto violando l'intimità della sposa, e questo sarebbe il significato del trompe l'oiel dello strappo al centro della composizione) e infine sulla destra l'ombra della Cappelliera del 1917 (Fig. 17) (essendo appesa al soffitto simbolizzerebbe l'impiccagione quale punizione per l'incesto, ancora una volta secondo Schwarz).
Figure 17
The shadow of Hat Rack (1917) in Tu m' (1918), detail
Ho provato un certo imbarazzo nel constatare che l'ombra della Cappelliera sembra eseguita maldestramente rispetto alle altre ombre, la cui esecuzione invece è impeccabile. Poi ho notato che mentre nelle fotografie del ready-made la cappelliera ha sei steli, nell'ombra proiettata sembra di scorgerne (ma in modo incerto) più di sei: uno più marcato che mostra la sua tipica arricciatura, ed altri sfumati e solo leggermente accennati… L'interpretazione di Gi è che stiamo osservando l'ombra dell'ombra. Questa è la straordinaria proprietà (ricorsiva) dello spazio generalizzato racchiuso dal prisma.
Una vicenda della biografia di Duchamp pare in relazione con quanto osservato, e sembra indicare una persistente presenza delle tematiche nel pensiero di Duchamp nel periodo in cui elaborò Tu m'. Ho appreso infatti dalla lettura delle Effemeridi di Gough-Cooper & Caumont (1993) che il 23 luglio del 1918 (l'anno di Tu m') Duchamp regalò all'amica Carrie Stettheimer per la sua casa delle bambole una miniatura in inchiostro e matita di 9.5x5.5 mm del proprio Nudo che discende le scale n.2 del 1912 (Fig. 18), che venne collocato nella sala da ballo miniaturizzata. Così, possiamo osservare la stessa idea di ripetizione in scatola che abbiamo incontrato in Tu m', ma qui abbiamo inoltre l'importante specificazione della scala ridotta.
Possiamo riconoscere tracce dell'idea della ripetizione in scatola e su scala ridotta anche in altre opere. Ricordiamo Le delizie di Kermoune, del 1958 (Fig. 19): Duchamp creò un grafo ad albero che ricorda il Reticolo di Rammendi, composto di aghi di pino fissati ad un foglio con la stessa tecnica a imbastitura usata per i Rammendi; era un regalo di ringraziamento per l'ospitalità ricevuta da Claude e Bertrande Blancpain a Kermoune.
Apprendo dalla lettura delle Effemeridi (alla data 1-8-58) che Duchamp pose l'opera in una scatola grigia nascosta nell'armadio degli ospiti.
Nell'idea di ripetizione in scatola e su scala ridotta sembra di poter leggere una sorta di presagio dell'idea di frattale. In una nota della Scatola Verde leggiamo:
Fare questo armadio a specchi per stagnola.
Così, se l'armadio dei Blancpain fosse stato un simile armadio (con specchi interni), allora la scatola grigia sarebbe stata ripetuta infinite volte, proprio come in un frattale.
Il tema della ripetizione in scala ridotta è anche sviluppato a fondo nella Boite-en-valise del 1941 (Fig. 20).
L’articolo Marcel Duchamp: A Readymade Case for Collecting Objects of Our Cultural Heritage Along with Works of Art sottolinea una importante proprietà dell'opera: il punto di partenza è una foto (2D) del celebre ready-made; la piccola gabbietta è ritagliata lungo i lati destro, alto e sinistro; questa sagoma è poi ripiegata su uno sghembo prisma solido (3D) che ha la sezione simile a quella del prisma di Tu m'. Dunque abbiamo superficie 2D che simula un oggetto 3D (per mezzo della piega lungo il lato frontale superiore della gabbietta, così da sovrapporsi al corrispondente lato del prisma). Così, la dimensionalità di questo oggetto è un numero fra gli interi 2 e 3.
Si tratta di una sorprendente coincidenza: l'idea di ripetizione (dell'ombra, in Tu m', dell'oggetto in scala ridotta, nella Boite-en-valise) è esplicitamente associata ad una dimensionalità non intera, cioè ad una dimensionalità frattale: un'altra suggestiva proprietà dello strano prisma. Altrove troviamo un esplicito riferimento ad una dimensione non intera da parte di Duchamp, nei versi composti per Mina Loy; il titolo è Mina's poems à 2 dimensions ½ (Effemeridi, 14 aprile 1959) (Fig. 22).
Un chiarimento è ora necessario per evitare possibili fraintendimenti. Non desidero affermare né che le opere di Duchamp esaminate (e altre che considereremo nel seguito) siano frattali (i frattali sono oggetti geometrici ben definiti, con diverse ben definite proprietà che non possiamo notare in Duchamp: questo è assolutamente ovvio), né che Duchamp abbia chiaramente intuito un tale concetto. Dobbiamo solo ammettere che l'idea di ripetizione ricorsiva in scala ridotta è oggettivamente collegata a quella di frattale, così che, in presenza dell'idea di ricorsione (anche se solo intuita) l'idea di frattale deve assumere una qualche evidenza, almeno in una forma embrionale. Io penso (ed ho iniziato a mostrare altrove, Giunti, 2001b) che nella misura in cui l'intuizione della ricorsione da parte degli artisti diviene più definita e precisa, allora anche la rappresentazione di frattali risulta essere consapevole, più chiara e più pertinente (come ad esempio nei casi di Klee ed Escher).
Tuttavia, dobbiamo riconoscere che l'intuizione di una dimensionalità non intera, specialmente se relazionata ad una ripetizione su scala inferiore, è una intuizione straordinaria, che non possiamo notare (per quanto ne so) in nessun altro artista dello stesso periodo. Si ricordi inoltre che il primo libro di Mandelbrot sui frattali, dove egli li definisce in termini di dimensionalità non intera, fu pubblicato nel 1975. Infine torniamo a Tu m' per un'ultima considerazione. Una fotografia che ho visto nelle Effemeridi (9 gennaio 1918) mostra la libreria di Miss Dreier prima dell'installazione di Tu m' (Fig. 23). In primo piano vediamo chiaramente una gabbia per uccelli. Forse lo strano prisma era già in partenza concepito come una voliera.
1d. Due brevi divagazioni circolari
Sebbene il tema della ricorsione sia frequentemente collegato al motivo del Reticolo (vedremo nel seguito altri esempi riferibili all'odissea dei Rammendi), riconosciamo la sua eco in altre opere nel corso dell'intera carriera artistica di Duchamp. Qui voglio discutere altre due opere, entrambe riferibili alla sua biografia; queste opere che si collocano emblematicamente agli opposti estremi della sua vita artistica: Giovane triste in treno del 1911 (Fig. 24)
Figure 24
e Ritratto di famiglia del 1964 (Fig. 25).
Figure 25
Marcel Duchamp, Family Portrait (1899), 1964
Il primo motivo di tristezza è che il giovane sente col proprio moto di aggiunge solo poca cosa al moto generale del treno. Questa congettura di Gould conduce a mia volta ad una ulteriore congettura. Se guardiamo al moto nel moto come ad una precoce intuizione dell'idea di frattale, allora la tristezza del giovane sarebbe in relazione con l'intuizione di una importante caratteristica dei frattali: quella dello scaling dimensionale. Così, la tristezza del Giovane è simile a quella di Achille, che nel paradosso di Zenone, non può raggiungere la tartaruga.
Il secondo motivo di tristezza è che nel suo moto il giovane è doppiamente vincolato (dai binari e dal corridoio della carrozza) ad un percorso lineare, che Duchamp sente come fortemente limitativo: così sembra esservi la percezione della limitatezza della linearità; di fatto lo stesso anno, in Giovane e fanciulla in primavera, Duchamp introduceva l'importante elemento della circolarità nella iterazione, attraverso le turbolenze convettive che già abbiamo indicato in un paragrafo precedente.
Le teste della madre e della piccola Magdeleine formano gli occhi, mentre la testa del giovane Marcel è la bocca; infine Suzanne, Yvonne ed il padre Eugene formano le braccia ed il torace. Per adesso sorvoliamo sul significato (non solo psicologico) dell'esclusione dei fratelli maschi da questa composizione (ne riparleremo in un paragrafo successivo, dopo aver acquisito nuovi elementi). Ora limitiamoci alle conseguenze sul piano formale di questa esclusione: notiamo che la sagoma formata dall'esclusione di un fratello forma in modo funzionale l'incavo dell'ascella del grande busto di busti, mentre la permanenza del secondo fratello e delle altre persone presenti nella foto originale avrebbero reso irriconoscibile o almeno deformato la sagoma del grande busto.
Ora, voglio osservare che Duchamp ha ottenuto questa opera a partire dalla fotografia di una famiglia (la propria); in questo modo la ricorsione, che abbiamo notato sul piano formale, è ricollegata, sul piano dei contenuti, alla ricorsione ciclica del perenne ricambio generazionale, in cui i figli diventano i nuovi genitori, che avranno nuovi figli che diventeranno nuovi genitori… Dunque abbiamo l'associazione di ciclicità e ricorsione. Questa associazione è rinforzata dal fatto che la sagoma che si viene a creare attraverso il ritaglio operato non ha più nulla delle rigidità rettilinee a senso unico del primo autoritratto, ma ha piuttosto, come giustamente nota Clair (2000) le curve e le rotondità di un famoso readymade: quelle della Fontana del 1917. Ritorneremo più avanti su questa importante osservazione.
Infine, se guardiamo al Ritratto di famiglia come alla filogenesi di Duchamp, allora l'autoritratto di Giovane triste in treno potrebbe illustrare la sua ontogenesi (dopo tutto questo autoritratto non è statico ma una rappresentazione piuttosto dinamica della sua evoluzione temporale). Se così fosse, dovremmo riconoscere l'implicita affermazione che entrambi i processi (filogenesi e ontogenesi) condividono le medesime modalità ricorsive.
Roberto Giunti
[A cura di Elisa Cardellini]
LINK al saggio originale:
Clément Pansaers è il solo rappresentante di Dada in Belgio e non è affatto probabile che gliene saremo mai grati. Quindi nessuno più facilmente di Clément Pansaers riesce a lasciar fluttuare il proprio spirito alla periferia del mondo ragionevole, nelle regioni difficilmente accessibili dell'assurdo.
Le Pan-Pan au cul du Nu Nègre [Il Pan-Pan al culo del Nudo Negro] è la prima prova di Clément Pansaers. Questo titolo può significare il "Nudo Negro" seguito dal "Pan-Pan", ma credo che Clément Pansaers chiama "Pan-Pan" una pistola. Allora? sarebbe diverso. Clément Pansaers ascolta tutti i suoni discordanti che ci circondano oggi. Sembra aver fatto il giro di tutte le idee come testimoniano alcune frasi: ("Una museruola al rettore della brutalità", ecc) e dà infine l'impressione di un fonografo disorganizzato che, arrivato in fondo al disco, si metta a battere il tamburo. Clément Pansaers abuse delle terminologie ricercate. Si pensa a momenti a lo scolaro limosino di Rabelais ma se ne giustifica dicendo: "Un chimico fallito vale il filosofo- che facendo evaporare dei vocaboli scopre dei princìpi".
In Bar Nicanor, Clément Pansaers prosegue la stessa tendenza ma ad un grado ancora più violento. Clément Pansaers si lancia in forti voluttà. Nel pezzo intitolato Aéro rovescia i quattro punti cardinali. Viaggia nel vuoto, effettua "delle curve in altalena". Le orecchie gli fischaino a forza di "brucare i rozzi suoni [Brouter les bruits bruts] in gamme interplanetarie". Schianta il suo motore per trarne il maggior rendimento possibile.
L'ebbrezza gli procurerà le stesse sensazioni eterogene. Porta le labbra a tutti gli elettuari e scruta la sua semi-ebbrezza per metterer a nudo la particella di immaterialità che palpita in lui. Vanta il carattere eminentemente cosmopolita della ubriacografia. Risolvere l'esistenza è, secondo lui, "beccarsi una sbornia incommensurabile" finché i muri vacillano mentre il pricipio dell'essere segue "la corsa variopinta verso la qualità pura, denominatore infinito conducente a zero pan-0".
Delle sensazioni pervertite percorrono le zone erogene. Saccheggia la donna come farebbe un bambino con un giocattolo, per dispetto di non riceverne di più belli ancora. Clément Pansaers fa pensare a degli Esseintes che rispondono alle più folli audacie dell'uomo nuovo.
Clément Pansaers e suo figlio Ananga, 1921
In L’Apologie de la paresse, un sommovimento morbido sembra risultare da questo costante sforzo di intervento mentale. Delle scosse improvvise come delle suonerie elettriche crepitano nella sua testa. Clément Pansaers è stato di volta in volta "un domatore di tribadi", "un paria in demolizioni, "un violatore dell'identità umana".
Gli uomini gli apparivano come degli asessuati. Con una indifferenza erasmiana effettua l'apologia dell'ozio. Cos'è il cinismo, se non l'ozio? L'ozio è la condizione sovrana della ragione umana.
È fastidioso
il mio encefalo è scordato
Impossibile regolare il mio intendimento
al diapason delle volizioni cosmiche di moda.
Si rassegna a sacrificare all'ozio:
Ti rivolto?
Ogni rivolta abortisce.
[Je te révolte ?
Toute révolte avorte.]
Per cosa insorgere? Facciamo dunque come gli altri. Invece di fare la rivoluzione, facciamo lo sciopero generale. Tutto qui. L'ozio inoltre si estende sino ai primi elementi terrestri.
Morbidezza spasmodica
Il mare e la terra
si compenetrano
e la commozione è comatosa
Paul NEUHUYS
[Traduzione di Elisa Cardellini]
LINK al post originale:
Clément Pansaers, paria ès démolitions
LINK pertinenti all'argomento trattato:
Rossano Rosi, L'eterno ritorno del pan-pan al culo, 1991