Frontespizio di Tournevire, l'opera che presentiamo in prima traduzione assoluta in italiano
edita dalle Edition de "L'Esprit Nouveau", nel 1919.
II
DAGLI APPRENDISTI
Alle 7 precise tutti gli invitati arrivarono.
L’Orco li contò da destra a sinistra,
Matassin da sinistra a destra
Due posti restarono vuoti.
Secondo le convenzioni mondane si doveva
arrivare in orario: I due coperchi furono tolti.
Venne portato un grande pezzo di carne tutto
legato e fasciato come un neonato.
Qualcuno cercò un tovagliolo e non
trovandolo tastò dal lato della tavola ma essendo
stato ancora una volta deluso, si passò la mano apatica-
mente sulla fronte.
La padrona di casa aveva promesso un discorso
sulla distruzione dei parassiti negli alloggi
degli artisti.
Il pezzo di carne sembrava muoversi.
L’Uomo Nero prese il coltello; alcune
gocce di sangue scaturirono dalla ferita appena
aperta. Ma invano.
L’atleta intervenne – La tavola si divise in due
– Il bambino cadde tra le zampe dell’Orco.
– Bussano…
Sssst
Silenzio
Non apriamo
Sono loro, ancora loro, maledetti!
gemeva l’Uomo Nero
Spranghiamo la porta
Soprattutto non parlate
L’orso bianco si passò la lingua sulle gengive
con un tale fracasso che i colpi alla porta non
cessarono più.
– Aprite dunque amici miei
Luciole è sparita questa mattina rapita da un torna
do. L’ho cercata in ogni dove – ho avvertito il commis-
sario – niente.
Il sole…
Ancora il suo sole.
dissero a voce bassa Matassin e l’Uomo Nero.
– Il sole è apparso poco dopo – ma era
già stata rapita.
Allora mi sono tuffato nell’acqua per ripescare il suo
sguardo. Una rana puerpera di due perle.
mentre un verme luminoso saliva
verso il mio collo
Ho voluto fuggire
Ma il collare di corallo era troppo stretto
Ho guardato in fondo ai suoi occhi e soffocavo
La pagaia prelevò le perle del suo collare
E l’angelo Azariel febbricitante ed irrequieto
incombeva sui miei dispiaceri
Il vecchio artista lanciò uno sguardo altezzoso verso
l’Orco. Il buffone rifletté un istante e credette di vedere
dietro i vetri la fata Morgana, quella che con
Mirador aveva una volta contemplato il sole in faccia.
Si precipitò verso la porta.
Gadifer gli sbarrò il passo.
–Sono il solo amico di Luciole e di Mirador; ci
siamo conosciuti in culla. La fata Morgana ci
ha incantato tutti e tre e legati con un filo di seta
forte quanto l’amicizia.
L’orso bianco passò la sua zampa dietro l’orecchio
– si grattò – si leccò le labbra e, per prendersi una
piccola soddisfazione, inghiottì un pezzo di carta
in cui era un poema trasposto in pittura.
La porta cedette infine e Mirador si precipitò
tra le braccia di tutti.
Non aveva ancora fiuto
Un vento ostile e insoddisfatto soffiò dal
camino.
La fata Morgana passò su di una corrente d’aria dalla
sala da pranzo alla cucina ed andò a piazzarsi nel
rubinetto sopra il lavandino.
– Voglio divertirmi,
gridava la padrona di casa
oggi è la mia festa – mi chiamo Cantanette
Mirador avanzò con fiducia in mezzo alla stanza:
– Amici miei
Luciole dopo una notte d’insonnia e di febbre è
scesa dal suo letto rapida e agile come una lepre,
Si è affacciata alla finestra aperta, ansiosa e
scrutando il risveglio del sole…
L’astro maledetto, stanco senz’altro per aver cacciato
le lunule di stella in stella, non voleva mostrarsi.
Era dietro la casa quando il tornado la rapì.
Dal rubinetto chiuso male, delle gocce di vino si spar-
sero sul pavimento.
Un grande frastuono si produsse sul soffitto. Il candeliere
cadde con fragore ai piedi di Mirador.
Era il cannone?
E Luciole che fluttuava nell’aria…
Tutti scappavano.
Ma infine, questo giovane maledetto portava la
sfortuna con sé… ovunque!
La sua condanna era scritta su tutti i volti.
L’avvenire volò via in uno sguardo minaccioso dal
tubo del camino.
Un consiglio muto ebbe luogo dietro Mirador e
senza sapere perché egli piegò le spalle.
Il peso del suo corpo era pesante in questa
casa.
In un ultimo movimento di disperazione lanciò
lo sguardo al cielo.
Ma cosa era dunque?
Dallo squarcio spalancato del soffitto l’astro scendeva
verso lui.
Dietro la porta, il vecchio artista aveva visto un lucore.
L’occhio restava minaccioso
Al rubinetto delle gocce di sangue
Sul pavimento uno specchio
Il giorno scacciava la sera.
Mirador volle chiamare aiuto – nella
camera nessuno.
Le semisfere entrarono l’una nell’altra.
La fata Morgana dalle trecce dorate era là – la sua
testa toccava il soffitto. Sulle sue braccia Luciole ad-
tormentata sognava.
A questa nuova apparizione tutti gli invitati
rientrarono.
– Sono quello che hai incantato – quello che sa
amare – quello a cui hai affidato il dono dell’amicizia,
gridava Gadifer,
lascia la mia mano
Sono il maggiore dei tre – quello a cui hai offerto la
scatola dall’anima di metallo ed il Pierrot fosforescente.
Quando giocavamo a nascondino nella Casa del
Sentiero – ero io che per primo trovavo tutti i
nascondigli.
Voglio lo specchio d’argento.
– Sono stato io a divorare tutte le zanzare –
quando dormivi distesa sull’erba – sulla riva dello
stagno secco,
diceva l’orso bianco
A me lo specchio d’argento.
– Ti ricordi – un giorno quando, addormentata sulle
rotaie, sono arrivato nel momento in cui il treno stava per
passarti sopra. Con un sol dito ho scaraventato la locomo-
tiva nel fosso,
sussurrava l’atleta.
Merito lo specchio d’argento.
– La mia vista è debole e storta
Diceva Matassin
Non ho mai potuto guardare il sole in faccia… ma di
lato. Sempre fedele, ti ho avvertita di tutti i tra-
dimenti grazie al mio sguardo scrupoloso!
Dammi lo specchio d’argento.
E tutti vennero a farsi valere a turno:
– Ti ho dedicato degli alessandrini alla tua nascita.
– Ti avevo fatto un ventaglio con tutte le piume del
pavone. Lo trovasti al tuo risveglio – un giorno – quando,
addormentata sulle rive del lago di Parc Montsouris, il pavone
geloso delle tue trecce voleva fartele togliere dal
becco delle anatre.
– È Cantanette la più allegra di noi,
dicevano le donne.
Poi, a voce bassa all’orecchio della fata:
Luciole nella sua cattiveria ha maledetto Gadifer dopo
avergli rubato la scatola dall’anima di metallo – A Cantanette,
ha preso due perle blu che porta bei suoi
capelli – a me, una spilla di corallo – a Micheline,
un braccialetto a forma di luna.
Tutte le voci gridavano:
“A noi, lo specchio d’argento.”
La fata dissipò una nuvola che si era posata davanti
ai suoi occhi.
L’atleta apparve – giocherellò con la palla che, leggera
come il mattino, uscì dal buco sul soffitto.
Mostrò le sue mani vuote alla folla.
Il narratore chiese un bicchiere d’acqua fresca.
In cielo l’astro apparve. Ed il suo primo raggio
Andò a posarsi sulla fronte di Luciole addormentata.
[CONTINUA]
[Traduzione di Elisa Cardellini]
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