Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
24 aprile 2011 7 24 /04 /aprile /2011 07:00
L'invisibile attraverso la manipolazione della luce: Man Ray
 

Cinzia Busi Thompson

 

ray-.jpgMan Ray è da considerarsi un'artista multimediale. Il suo mezzo preferito era la pittura, ma ritengo che le sue opere più interessanti siano quelle fotografiche, poiché questo corpus è molto vasto ed estremamente diversificato sia dal punto di vista tecnico che dei contenuti. Inoltre, la fotografia è un atto bidirezionale in quanto nello stessa momento in cui essa si svela, essa occulta la realtà attraverso la trasformazione della tridimensionalità in bidimensionalità, dando luogo ad una costruzione d'ipotesi.

In questo vasto panorama ho scelto alcune immagini significative per la ricerca dell'invisibile, tema che si sta affrontando in questo ambito.

duchamp scacchi 1963Numerosi studiosi hanno esaminato la sua opera dal punto di vista simbolico, con riferimenti alla psicanalisi, soprattutto freudiana, ma resta difficile determinare quanta consapevolezza ci fosse nella poetica di Man Ray e quanto, invece, fosse il risultato di manifestazioni inconsce. La scacchiera, ad esempio, che spesso appare nelle opere di Man Ray (il suo amico Duchamp era un grande esperto di scacchi), costituisce uno di quei simboli che racchiudono quegli indizi che possono portare allo scoprimento dell'invisibile nella sua poetica; infatti, le caselle sono 64 (numero dell'unità cosmica), le bianche e le nere si alternano regolarmente rappresentando l'alternarsi del giorno e della notte, la scansione temporale della vita.

ray--enigma-di-Isidore-Ducasse.jpgL'assemblaggio "L'enigma di Isidore Ducasse" (1920), omaggio a Lautréamont (ovvero il poeta Isidore Lucien Ducasse che scrisse "Bello come un incontro fortuito sopra un tavolo di anatomia fra una macchina per cucire ed un ombrello"), che anticipa gli impacchettamenti di Cristo, è una delle opere più simboliche nella ricerca dell'invisibile in quanto sotto la tela e le corde altro non c'è se non l'invisibile.

ray--larmes.jpgCon la fotografia "Larmes" (1930) compie un'operazione dadaista in quanto applica all'occhio truccato di una ballerina delle lacrime di vetro che non  esprimono alcuna emozione.

La parola "fotografia" deriva dal greco e significa scrivere con la luce; il fotografo è quindi un manipolatore di luce. Inoltre la parola Man pronunciata all'inglese richiama alla mente il suono della parola francese "mains", ovvero mani. Per meglio entrare nell'opera di un artista occorre avere alcune coordinate biografiche essenziali, possibilmente estratte direttamente dagli scritti dell'autore stesso, per "entrare nel suo cuore".

alfred StieglitzMan Ray (1890-1976) nasce a Filadelfia (USA) come Michael Radnitzky (anche se sul vero cognome ci sono tuttora delle perplessità). Nel 1904 segue corsi di disegno libero ed industriale, nel 1910 mentre lavora come grafico a New York, frequenta la galleria 291 aperta da Alfred Stieglitz nel 1905, dove scopre le avanguardie artistiche europee. Stieglitz è infatti il primo gallerista americano ad alternare a mostre fotografiche, quelle di artisti delle avanguardie europee quali Matisse, Rodin, Toulouse-Lautrec, ma anche oggetti di artigianato africano.

Marcel%20DuchampNel 1915 partecipa, in veste di pittore, alle prime mostre dove ha occasione di incontrare Marcel Duchamp, con il quale nel 1920 comincia a collaborare. Nel 1921 si trasferisce a Parigi, dove grazie a Marcel Duchamp, si avvicina al gruppo dei Dadaisti. Il vocabolo Dada fu preso a caso dal dizionario (francese) e, nel linguaggio dei bambini, significa cavallo a dondolo. Tzara dice: "Dada non significa nulla, è un prodotto della bocca".

000cover.jpgGli artisti appartenenti a questo movimento rifiutano il concetto di arte; il gesto dell'artista eleva il comune oggetto prodotto in serie, decontestualizzandolo dal quotidiano, al grado di opera d'arte al fine di ridurre tutti gli oggetti e le opere d'arte allo stesso livello. Alla base ci sono la distruzione dei valori e legami etico-culturali, la casualità, l'ironia e l'assunzione di materiali ritrovati, ovvero degli objets trouvés come mozziconi, foglie, ecc. "Ciò che mi interessa è un oggetto che non sembri un'opera d'arte; qualcosa che sia più o meno utile ... Non è necessario andare in un museo o in una galleria; essi sono vicini a noi".

Poiché con la sua attività pittorica non riesce ad avere entrate economiche sufficienti a mantenersi, inizia a fare ritratti fotografici e foto di moda per Paul Poiret. Usa inoltre la fotografia per "documentare" le sue opere, in quanto gli oggetti, una volta usati, vengono spesso distrutti, gettati o dimenticati. Questa sarà una funzione utilitaria della fotografia che egli non esclude mai.

Ray--ritratto-della-marchesa-Casati.jpgÉ un errore fotografico a renderlo famoso presso l'alta società parigina. Infatti, fotografando la marchesa Casati in scarse condizioni di luce, ottiene dei negativi sfocati dove però appaiono tre paia di occhi. La marchesa rimane strabiliata dal risultato asserendo che ha ottenuto "il ritratto della sua anima". Da quel momento comincia a fotografare deliberatamente fuori fuoco in quanto, attraverso la sfocatura, riesce ad ottenere una fusione tra gli elementi di contorno ed il soggetto. È questo uno dei tanti momenti in cui, nella poetica di Man Ray, si comincia a trovare un collegamento con l'invisibile.

ray-Matisse.jpegIn un'altra occasione, accingendosi a fare un ritratto di Matisse, si accorge di aver dimenticato l'obiettivo della sua macchina fotografica; lo sostituisce con i suoi occhiali da vista ed il risultato che ottiene è una foto sfocata, dove però gli elementi più importanti sono nitidi. La mancanza di fuoco gioca un ruolo definito nella fotografia; il soggetto spogliato dai suoi aspetti materiali, condivide i ritmi degli elementi di contorno e si fonde con essi in una relazione simbiotica.

In alcune immagini sfrutta l'effetto del mosso che, assieme a quello degli specchi, secondo l'interpretazione che alcuni critici ne danno, al di là dell'effetto visivo stesso, vuole esprimere l'emotività personale ed il disagio verso la realtà di vita moderna. Essi, infatti, servono a confondere il senso della spazio del fruitore, ovvero a creare riferimenti visivi non correlati. Questa è la caratteristica che si collega alle esposizioni multiple dal punto di vista dell'estetica.

Man Ray non è particolarmente interessato alla tecnica fotografica, ma riesce ad acquisire una preparazione tecnica tale da permettergli di padroneggiare il mezzo ed usarlo per i suoi scopi. Egli, in quanto artista multimediale è, senza dubbio, colui che può, meglio di chiunque altro definire i "confini" fra pittura e fotografia, diatriba ormai secolare che si trascina dalla nascita di quest'ultima. Fotograferei un'idea piuttosto che un oggetto, ed un sogno più che un'idea. Nella fotografia egli infatti inventa e reinventa tutto; là dove la fotografia "classica" non basta ai suoi scopi, egli sviluppa nuove tecniche e procedimenti che si rifanno a quelli del secolo precedente.

Ray_portrait.jpgDipingo ciò che non può essere fotografato e fotografo ciò che non desidero dipingere. Se mi interessano un ritratto, un volto o un nudo, userò la macchina fotografica. É un procedimento più rapido che non fare un disegno o un dipinto. Ma se è qualcosa che non posso fotografare, come un sogno o un impulso inconscio, devo far ricorso al disegno o alla pittura. Per esprimere ciò che sento mi servo del mezzo più adatto per esprimere quell'idea, mezzo che è sempre anche quello più economico. Non mi interessa affatto essere coerente come pittore, come creatore di oggetti o come fotografo. Posso servirmi di varie tecniche diverse, come gli antichi maestri che erano ingegneri musicisti e poeti nello stesso tempo. Non ho mai condiviso il disprezzo ostentato dai pittori per la fotografia: fra pittura e fotografia non esiste alcuna competizione, si tratta semplicemente di due mezzi diversi, che si muovono in due diverse direzioni. Fra le due non c'è conflitto.

ray--cliche-verre-corot.gifEgli infatti mette la fotografia al servizio della pittura. Riscopre indipendentemente la tecnica del cliché-verre (utilizzata un secolo prima da pittori come Corot e Delacroix), ma come supporto, anziché una lastra di vetro affumicato, usa una lastra negativa esposta alla luce, sviluppata e fissata sulla quale va a "disegnare". Una volta finito, appoggia la lastra ad un foglio di carta sensibile e la espone alla luce ottenendo un numero indefinito di copie.

La casualità con la quali egli scopre e riscopre le tecniche, sembra essere fortuita, ma non è così. In realtà è il risultato di un lavoro mentale che lo porta a considerare la macchina fotografica come un attrezzo al servizio della mente, e quindi ad affrontare certe problematiche inerenti al mezzo proiettandosi verso il nuovo, lo sconosciuto.

ray--rayografia-1922.jpgEd ecco che, mentre sta sviluppando un positivo, mette un foglio di carta sensibile non esposto nello sviluppo e vedendo che non appare immagine alcuna, lo mette da un lato appoggiandoci sopra un imbuto di vetro, una provetta ed un termometro. Quando riaccende la luce, si accorge che sulla carta comincia ad apparire le silhouette dei tre oggetti ottenendo un fotogramma che egli ribattezza Rayografia. Sostanzialmente il procedimento è lo stesso seguito da Talbot per ottenere i suoi calotipi, diverso è invece lo spirito di Man Ray che non vuole riprodurre la natura, bensì esprimere lo spirito Dada usando objets trouvés. Inoltre queste Rayografie somigliano alle radiografie per suggerire la capacità della fotografia di penetrare la materia solida e suggerire l'invisibile. Le Rayografie hanno la peculiarità di essere uniche e quindi non riproducibili.

Le sue Rayografie, inoltre, si differenziano notevolmente da quelle dei suoi contemporanei, come Schad e Moholy-Nagy, in quanto utilizza la luce con angolazioni diverse per ottenere ombre che hanno una vasta gamma di grigi e quindi creano un senso di spazialità.

Ray-1933-autoritratto-solarizzato.jpgNessun altro fotografo ha sperimentato tanti procedimenti quanto Man Ray: la sgranatura, la distorsione ottenuta inclinando l'ingranditore, l'effetto rilievo ottenuto ingrandendo contemporaneamente un negativo ed una diapositiva della stessa immagine leggermente sfalsati, e soprattutto la solarizzazione, procedimento scoperto da Armand Sabattier nel 1860-62. Essa consiste nell'esporre alla luce, durante la fase di sviluppo, la carta con l'immagine latente; si ottiene così uno scurimento dei contorni che fa risaltare meglio il soggetto rispetto al fondo. L'uso della solarizzazione nel nudo fa' sì che il soggetto "estraniato" abbia una valenza erotica relativa, mentre quando viene usata nei ritratti permette una quasi introspezione psicologica, benché, nel caso di Man Ray, essi sembrino seguire uno stereotipo.

La sua attrezzatura fotografica è estremamente basilare. Una "modesta Kodak", lampadine e, in mancanza della camera oscura, il buio della notte. Durante la sua vita alterna l'attività di fotografo a quella di pittore e cineasta. Partecipa a numerose mostre ed ottiene numerosi premi.

ray.jpgAnche nell'adozione dello pseudonimo (Man= uomo Ray= raggio di luce), compie un'operazione dadaista in quanto esso non ha nessuna particolare relazione con l'uomo; anche i titoli che egli dà alle sue opere non hanno analogia alcuna con il loro contenuto (esempio la serie di Rayografie "Les Champs Délicieux"); forse rappresentano una sorta di indizio su una delle mille possibili interpretazioni che lo "spettatore" può ottenere facendo appello ai suoi pensieri ed alla sua immaginazione. É proprio tramite questa titolazione che egli compie l'operazione Dadaista di estraniazione dell'oggetto dal suo contesto.

L'esempio più chiarificatore è quello della fotografia di un frullino che dapprima Man Ray intitola "La Femme" (1918) e poi, in seguito ad un'inversione di cartellini ad un'esposizione, diventa "L'Homme"; questo scambio non viene corretto in quanto, in ogni caso, i titoli non fanno riferimento diretto all'immagine. Non bisogna rastrellare i nostri cervelli in cerca di una soluzione, dobbiamo vivere come se non ci fossero problemi e come se non ci fossero soluzioni da ottenere. Questa è l'arte finale che non richiede sforzo se non quello di vivere ed aspettare. Nel 1941 rientra negli USA dove resta sino al 1951, per poi ritornare a Parigi dove morirà nel 1976.

Ray--1975.jpgInteressante è una considerazione fatta da Helmut Gernsheim, fotografo e storico della fotografia, sulle tecniche "sperimentali" che, in Europa si sono sviluppate nel periodo fra gli anni '20 e '30: "Innegabilmente questi esperimenti rivoluzionari hanno allargato i limiti della fotografia e sradicato le condizioni superate. La maggior parte di essi (esperimenti) sono stati ottenuti attraverso tecniche puramente chimiche o ottiche e quindi non possono essere criticate dal punto di vista fotografico. Tuttavia molti artifici hanno condotto ad un vicolo cieco come succede inevitabilmente quando i pittori si interessano di fotografia per scopi personali, dimenticando che la fotografia e pittura devono seguire strade differenti".

 

Cinzia Busi Thompson

 

Bibliografia:

Man Ray: Fotografia anni 30" Università di Parma, C.S.A.C., 1981

Man Ray: Photographs" Thames & Hudson, NY, 1981-1982

Man Ray "Autoritratto", SE, Milano, 1998

Arturo Schwarz "Man Ray" Art Dossier, Giunti, 1998

Petr Tausk "Storia della Fotografia del 20° Secolo" Mazzotta Editore, 1980


© 1985/2003 Parol - quaderni d'arte e di epistemologia

Condividi post
Repost0
21 aprile 2011 4 21 /04 /aprile /2011 13:43

LOUIS ARAGON


ANICET o il panorama


Manoscritto di Anicet

Ammetto, e soprattutto mi auguro, che la figura di Louis Aragon possa anche non piacere, magari sia come scrittore o poeta e uomo, ed ancor più come esponente politico-culturale. La sua conversione allo stalinismo, ma soprattutto la sua incrollabile fede in esso sino alla fine dei suoi giorni ne fanno un soggetto a dir poco sgradevole. È per questo che di quell'Aragon lì non ce ne occuperemo affatto, anzi mai.
Il nostro blog tratta, per fortuna, in modo centrale di dada e quindi è il Louis Aragon dadaista che ci interessa, sino al 1923-24, possiamo dunque stare tranquilli, in generale. Questo Aragon ci piace e non poco, è brillante, impregnato di una sottilissima vena ironica, innovativo, provocatorio e fantasioso.
Oggi presentiamo il primo capitolo di una sua eccellentissima opera, il suo primo romanzo intitolato Anicet ou le panorama [Aniceto o il panorama]  che egli scrisse tra  il settembre del 1918 ed il mese di marzo del 1920 e che fu edito nel 1921 dalle Editions de la Nouvelle Revue Française. Quindi prima che egli aderisse a dada.
Il romanzo, ricco di trovate e colpi di scena anche grotteschi, è formalmente un intreccio di generi presentandosi sia come un romanzo di formazione psicologica sia come un romanzo poliziesco ma anche come un roman philosophique a cui l'ironia e la parodia si presentano in modo oltrettutto esuberante.

 

 

LOUIS ARAGON

 

 

ANICET, Aragon 

A N I C E T

 

O  IL  PANORAMA

 


 

 

L’assenza di sistema è ancora un

sistema, però il più simpatico.

Tristan Tzara.

 

 

 

 

 


 

C A P I T O L O   P R I M O 

 

ARTHUR.

 

 

Anicet non ricordava dei suoi studi superiori che la regola delle tre unità, la relatività del tempo e dello spazio; a questo si limitavano le sue conoscenze dell’arte e della vita. Vi si aggrappava saldamente adeguando ad esse il proprio modo di agire. Ne risultarono alcune stravaganze che non allarmarono affatto la sua famiglia sino al giorno in cui non egli manifestò pubblicamente eccessi poco decenti: si capì allora che era poeta, rivelazione che dapprima lo meravigliò ma che egli accettò di buon grado, per modestia, nella convinzione di non poter egli stesso giudicare meglio di chiunque altro. I suoi genitori, senza alcun dubbio, si adattarono all’opinione generale poiché fecero quello che tutti i genitori dei poeti fanno: lo chiamarono figlio ingrato e gli ingiunsero di viaggiare. Non ebbe coraggio di opporre loro resistenza perché sapeva che né le ferrovie né i piroscafi avrebbero modificato il suo noumeno.

 

Una sera in un albergo di un paese qualsiasi (Anicet non si fidava della geografia, basata come tutte le scienze su dati sensibili e non sulle realtà intangibili), notò durante il pranzo che il suo vicino di mensa non toccava nessuna portata e sembrava malgrado ciò provare tutti gli appagamenti gastronomici del buongustaio. Anicet intuì istantaneamente che questo strano convivente era uno spirito libero che si rifiutava di ricorrere alle forme a priori della sensibilità e non provava il bisogno di portare gli alimenti alla bocca per provarne le qualità. “Vedo, Signore, gli disse, che non cadete nell’incredulità a cui si attengono generalmente gli uomini, e che, in disprezzo della loro stupida rappresentazione della dimensione, vi astenete dai simulacri attraverso cui essi credono di cambiare i loro rapporti con il mondo. Allo stesso modo in cui certi popoli credono alla virtù dei segni scritti, così il senso comune attribuisce superstiziosamente ai propri gesti il potere di rovesciare la natura. Me la rido quanto voi di una simile pretesa, la quale denota la leggerezza di spirito dei nostri contemporanei (parola sprovvista di senso che prendo in prestito, come giustamente ben pensate, dal loro linguaggio) e la facilità a cui danno luogo le apparenze nell’eccedere al loro gioco. Mi chiamano Anicet, sono poeta e fingo di viaggiare per compiacere la mia famiglia. Non potrei nascondervi quanto arda di apprendere accanto a chi sono seduto. La distinzione che appare sul vostro viso e la preminenza dei principi di cui avete dato sfoggio in questa occasione mi incitano a non aver altro desiderio più vivo".

 

  Anicet tacque, molto soddisfatto di sé, dell’arguzia che aveva posto nelle sue dichiarazioni, del suo periodo e della soavità dei sentimenti espressi, infine di alcuni arcaismi attraverso cui aveva così finemente disprezzato l’idea di tempo e la puerile ed onesta cronologia dei bruti che presentemente si crogiolavano con l’illusione di un accostamento del loro palato e di una torta alla crema.

 

  Lo sconosciuto non si fece pregare e cominciò il seguente racconto: “Mi chiamo Arthur e sono nato nelle Ardenne, a quanto mi hanno detto, ma nulla mi permette di affermarlo, tanto più che non ammetto affatto, come avete ben indovinato, la dislocazione dell’universo in luoghi distinti e separati. Mi accontenterei di dire: sono nato, se anche questa proposizione non avesse il torto di presentare il fatto che esprime un’azione passata invece di presentarla come uno stato indipendente dalla durata. Il verbo è stato creato in tale forma che tutti i suoi modi sono funzioni del tempo, e sono certo che la sola sintassi incoroni l’uomo schiavo di questo concetto, perché egli concepisce seguendo essa, ed il suo cervello non è in fondo, che una grammatica. Forse il participio nascendo, restituirebbe approssimativamente il mio pensiero, ma voi capite, Signore,” e qui Arthur colpì il tavolo con il pugno, “che non la finiremmo più se volessimo conformare i nostri discorsi alla realtà delle cose, e che il padrone dell’albergo ci caccerebbe da questa sala prima della fine della mia storia, se non diamo il nostro consenso strada facendo a concezioni puramente formali a categorie che aborriamo come false divinità, e di cui ci serviremo, se lo acconsentite, anziché servirle.

 

“Mi chiamo Arthur e sono nato nelle Ardenne. Molto presto, mi diedero un precettore che doveva insegnarmi il latino ma che preferì interessarmi di filosofia. Mal gliene incolse, perché molto rapidamente osservai che il mio professore smentiva con la sua condotta i principi stessi che egli aveva dimostrato. Agiva come se Dio per costruire la terra avesse anticipatamente calcolato la decimilionesima parte del quarto del meridiano terrestre. Fui offeso da questa disonestà. Ai rimproveri un po’ veementi che gli feci, l’improbo filosofo rispose con la delazione. Mio padre, uomo semplice e che ignorava tutto dell’imperativo categorico, mi fustigò davanti alle mie sorelle. Decisi di abbandonare la casa perché già possedevo quel senso acuto del pudore che doveva dominarmi successivamente. Viaggiai in un primo momento per le strade, mendicando il mio pane o rubando preferibilmente. È durante questo periodo della mia vita che appresi a concepire le acque, le foreste, le fattorie, le figure dei paesaggi indipendentemente dai loro legami sensibili, a liberarmi dalla menzogna della prospettiva, ad immaginare su di un piano quanto altri considerano su diversi come i bambini che sillabano, a non farmi più ingannare dall’illusione delle ore ed abbracciare simultaneamente la successione dei secoli e dei minuti. Una bella sera, un po’ stanco di questi panorami campestri, mi infilai in un treno e feci, nascosto sotto un sedile per non pagare il biglietto, l’itinerario da C… a Parigi. Questa posizione non mi era scomoda, ben sapendo che soltanto un pregiudizio porta i viaggiatori a preferirne un’altra. Utilizzai il tragitto nell’abituarmi a guardare il mondo a rasoterra, la qual cosa mi permise di farmi un’idea delle rappresentazioni possedute dagli animali di bassa taglia. Poi mi accorsi che contrariamente al mio passatempo abituale nulla era più semplice del riportare su diversi piani quanto si vede su uno solo: basta fissare obliquamente ciò che si  vuole dissociare anziché osservarlo frontalmente. Applicai immediatamente questo procedimento per allontanare dal mio volto gli stivali del viaggiatore seduto sopra me. Nell’entusiasmo di questi esercizi, scandii mentalmente, al suono ritmato del treno sul pietrisco delle massicciate ferroviarie, delle poesie che facevano a meno dello stesso principio di identità.

 

Anicet si permise di interromperlo: “Siete dunque anche poeta, Signore?”

 

–A tempo perso, replicò il narratore. Giunsi a destinazione nella più felice delle disposizioni di spirito. Pensate a quel che è Parigi per un ragazzo di sedici anni che sa meravigliarsi di tutto e in mille modi. Sin dalla stazione mi sentii trasportato: il movimento, le case caricate dalla prospettiva, il modo orientale di scrivere CAFÉ sui frontoni dei palazzi, le feste luminose della sera ed i muri coperti di iperboli, tutto contribuiva alla mia gioia. V’erano poche possibilità che mi stancassi di una decorazione incessantemente variata attraverso alcuni dei metodi di contemplazione che possedevo, quando un’avventura venne a darmi le distrazioni ed il luogo necessari per elaborarne altri.

 

Un mattino in cui m'imbattei in un funerale, mi raffigurai il morto, come mi ero abituato a farlo, indipendentemente dalla durata. Simultaneamente lo percepii nelle pose più arroganti, le più insignificanti e le più naturali, compiendo tutte le bassezze e tutte le stupidità di una vita senza interesse, con i suoi piccoli vizi e le sue piccole virtù, così poco responsabile che sghignazzai sonoramente nel vedere dei passanti scoprirsi davanti alla cassa lucida che racchiudeva i suoi resti. A quell’epoca, la fine infelice di una guerra ancora recente, i dissensi politici ed il giogo sempre severo del romanticismo portavano gli spiriti parigini a delle violenze poco usuali agli abitanti della città più amabile del mondo. Un quidam mi fermò e mi ordinò con tono enfatico di togliermi il cappello dalla fronte a non so quale immagine della nostra umiltà. Accarezzai il mio olibrius con alcuni epiteti e non feci nulla di quanto richiestomi. Poiché quest’individuo tentava di costringermici gli diedi una lezione pratica di filosofia. La cosa finì alla stazione di polizia e venni gettato in una cella oscura in cui mi si dimenticò per tre giorni. Per essere più libero dei miei carcerieri, bastava che mi astraessi dal tempo e dall’estensione, però preferii mettere a profitto questa reclusione per nuove evasioni. I matematici hanno inventato altri spazi oltre il nostro, a n dimensioni, essi dicono. Ma intralciati dall’abitudine di pensare secondo le tre dimensioni, essi non giungono a rappresentarsi le loro stesse immaginazioni. Grazie a queste ginnastiche preliminari, fu al contrario un divertimento per il mio spirito costruire il mondo dando a n i valori più diversi; stavo concependo la distesa ad un terzo di dimensione quando ci si ricordò della mia presenza per farmi comparire davanti al commissario. Poiché le mie risposte subivano un leggero disturbo da quell’esercizio, questo funzionario, che aveva un’idea puerile della relatività dei concetti, non comprese nulla dei miei discorsi e, convinzione di parlare ad un pazzo, mi fece rilasciare.

  Parigi divenne per me un bel gioco di costruzioni. Inventai una specie di Agenzia Cook esilarante che cercava invano di riconoscersi con una guida in mano in questo dedalo di epoche e di luoghi in cui mi muovevo facilmente. L’asfalto si rimise a bollire sotto i piedi dei pedoni; delle case affondarono; ve ne furono alcune che si arrampicarono su quelle a loro vicine. I cittadini portavano diversi indumenti che si vedevano tutti insieme come sulle tavole illustrate della Storia dell’Abbigliamento. L’Obelisco fece spuntare il Sahara Place della Concorde, mentre delle galere vogavano sui tetti del Ministero della Marina: erano quelle degli scudi con le insegne municipali. Delle macchine girarono a Grenelle; vi furono delle Esposizioni in cui si distribuirono delle medaglie d’oro dai millesimi differenti sul dritto e sul rovescio; esse coincisero con l’arrivo di Sovrani e di delegazioni straordinarie. Si abitò senza problemi in immobili in fiamme, in acquari giganteschi. Una foresta crebbe all’improvviso presso l’Opera, sotto i cui alberi di ferro si vendevano delle stoffe baiadere. Scambiai di posto i quartieri les Abattoir e il canale Saint-Martin; lo sconvolgimento non risparmiò i Musei e tutti i libri della Bibliothèque Nationale sommersero un giorno la folla dei perditempo.

 

Vi parlerò dei mille mestieri che feci, di volta in volta venditore ambulante che cantava come fossero poesie i titoli dei giornali che vendevo; uomo reclame per amore dei cappelli alti, facchino, scaricatore alla Villette? L’estraneità della mia vita mi attirò delle curiosità, delle frequentazioni, delle amicizie. Conobbi in certi ambienti un successo eguale a quella di un prestidigitatore o di equilibrista. Infine alcuni oziosi della riva sinistra mi trovarono del genio. Fui ammesso in circoli scelti, degli accademici mi ospitarono, delle donne di mondo vollero conoscermi. Il contatto giornaliero dei miei simili aveva fortemente sviluppato in me questo sentimento del pudore di cui vi ho già parlato e che mi era innato.

 

 Mi sottraevo alle sollecitazioni del mondo per evitare di mettermi a nudo davanti a tutti. È a quest’epoca che conobbi Hortence. Ignorava tutto della vita, ma non dell’amore. Immagine della passività, sopportò le mie fantasie senza comprenderle. Ammise tutte le esperienze, si piegò a tutti i capricci e mi lasciò penetrare sino al disgusto i segreti della femminilità. Davanti a lei potevo togliermi ogni maschera, pensare ad alta voce, svelare la mia intimità, senza timore che lei mi capisse. Fu un manuale prezioso che abbandonai in capo a tre settimane: avevo imparato a conoscere la visione femminile del mondo, così distante da quella degli uomini quanto lo è quella dei topi ballerini del Giappone che non immaginano che due dimensioni nello spazio.

 

Tra gli amici che mi erano valsi alcuni doni naturali ve ne fu uno che si legò a me in modo particolare. Quando L*** giunse a penetrare il mio pensiero, lo battei a sangue. Mi seguiva come un cane. Il mio pudore era infastidito all’eccesso da questa presenza costante e il mio solo rifugio era quello di evadere in un universo che mi costruii e in cui L*** cercava di raggiungermi con degli sforzi così grotteschi che a volte ridevo di lui finché non piangeva. Quella vergogna che mi afferrava quando mi si scopriva andò accentuandosi in questo periodo al punto che una semplice domanda come: che ore sono? Se per caso ero io stesso a proferirla, mi faceva arrossire e rendeva la vita intollerabile. Divenni aggressivo, diffidente, insolente. Schiaffeggiavo per un nonnulla gli indiscreti. Vi furono degli scandali durante delle riunioni, dei banchetti. Il colmo fu che un’avventura di questo genere si ritrovò ad essere raccontata ironicamente in un giornale con il mio nome a chiare lettere. Non potei più sopportare lo sguardo delle persone per la strada: decisi di espatriare.

 

L*** mi accompagnò a Londra dove la nebbia ci permise alcune nuove distrazioni. Grazioso sogno dorato delle rive del Tamigi, ci si stanca alla fine di paragonare i riverberi a punti coronati. La diversione giunse fortunatamente sotto forma di una commessa di una di quelle botteghe di sottaceti e mostarde che profumano un intero quartiere di aceto rosso, incenso di un culto sconosciuto. Aveva l'aspetto di quelle bambole inglesi, eroine dei racconti di Golliwog, e che si chiamavano immancabilmente Peg, Meg o Sarah Jane, i capelli dipinti molto neri sul cranio ovoidale, gli zigomi di carminio, gli occhi dipinti con il pennello, niente naso, il corpo formato da pezzi di legno apparentemente articolati da tenoni, le membra cilindriche. Non appena fu la mia amante mi accorsi del mio errore: niente era più armonioso di questa ragazza paffutella, niente era più esile dei suoi gesti. Abituato a Hortense, mi lasciavo andare a pensare ad alta voce davanti a Gertrud, a trasporre la vita, a mostrarmi al naturale. Molto presto dovetti convenire che lei mi penetrava, che nulla le sfuggiva di quanto le abbandonavo e che non vi era gioco tanto complesso di cui lei non sapesse afferrare la regola e lo svolgimento. Dopo essermi ribellato contro una perspicacia che non avevo richiesto affatto, non potei trattenermi dal provare ammirazione per questa Gertie così vicina a me che pensavo già di raggiungerla e confondermi con lei. Apportava nel volermi seguire una intelligenza, una lucidità che mi sconcertavano. Mi superava in queste competizioni spirituali, indovinava la direzione che stavo per prendere, mi sorprendeva per i balzi che effettuava da un sistema all'altro e mi insegnava a sua volta mille nuovi divertimenti. A volte ci inseguivamo attraverso gli spazi di nostra invenzione, ci sfuggivamo, ci nascondevamo l'un all'altro, ed infine ci incontravamo all'angolo di un universo. Tutto approdava all'amore. Diventava lo scopo supremo della vita: non un gesto, non una risata che non vi portasse. Quanto mi sentivo lontano al di sopra dell'emozione gustata nei primi giorni di Parigi, ora che contemplavo con Gertie dalla cupola di Saint Paul Church quest'altra metropoli che le stesse tecniche accomodavano a mio piacere, ma per portare ad una gioia più nobile e più completa, dal seno della quale guardavo con pietà queste povere astronomie passate e gli entusiasmi dei miei sedici anni! Suprema abolizione delle categorie, l'amore rendeva tutto più facile, tutto docile, non avevamo più limiti a noi stessi nel momento in cui si compiva. Ammettevamo senza protesta che fosse il nostro padrone, ma lo servivamo bene. Si piegava ai nostri capricci, perché conoscevamo il segreto dell'eternità, di raccomandarlo, di sospenderlo. Lo conoscemmo sotto tutte le sue forme, ne inventammo,e portammo nell'amore i nostri metodi di esaltazione. Ci abbandonammo alle confusioni di piani, luoghi, istanti e durata. Ogni cosa assumeva un senso esotico e tutto diventava altare per la religione dell'amore. Una finta rivalità di immaginazione ci spinse alle fantasie più folli. Ci amammo in tutte le contrade, sotto tutti i tetti, in tutte le compagnie, in tutte le usanze, sotto tutti i nomi. Fu un meraviglioso viaggio di nozze. “Gertie, se andassimo ai laghi italiani?”. Cercavamo di deluderci, ma la delusione stessa si tramutava in voluttà. Nel momento preciso in cui uno di noi perdeva il controllo di se stesso, il secondo a volte si salvava in un altro mondo. Il gioco consisteva a costringere l'evaso a fermarsi. Cosa volevo di più? A volte provavo il bisogno di essere solo e Gertie interveniva, mi tormentava finché una menzogna non mi avesse sbarazzato di lei. A volte mi stancavo di essere un lottatore ad armi pari di fronte ad un altro lottatore. A volte, mi irritava dover dire: noi sempre, mai: io. A volte c'era un abisso tra le nostre labbra unite. A volte mi sentivo ostile, duro, con la maschia voglia di picchiare questa ragazza troppo chiaroveggente le cui astuzie mi esasperavano, le cui derisioni mi ferivano, le cui provocazioni non eccitavano soltanto il mio desiderio ma anche l'odio nero del mio pudore offeso. In breve, il dialogo mi superava, ed il pretesto che si offrì (L*** voleva tornare sul continente), fu accolto come un sollievo. Un giorno, invece della via lattea, presi il treno per Dover.


Alcune discussioni con L*** che degenerarono in litigi, un viaggio durante il quale credetti di morire, la certezza trovata nel corso del mio ultimo legame che l'arte non è lo scopo di questa vita, uno scandalo che si verificò verso la stessa epoca intorno al mio nome, la pubblicità che gli si diede e la calunnia che se ne impadronì, infine mille cause più offensive le une delle altre mi costrinsero a cambiare vita. Mi risolvi a dare uno scopo diverso ai miei giorni e di rivolgere la mia attività verso il commercio e l'acquisizione delle ricchezze. Dopo aver liquidato ciò che restava del mio passato, mi munii di una partita di perline colorate e partii per l'Africa orientale, con l'intenzione di praticare la tratta dei negri.


La facilità con la quale mi adattavo a non importa qual modo di pensare, l'assenza di ogni legame che incatenano gli Europei in esilio, mi posero rapidamente in luce agli occhi degli indigeni, poco abituati di vedere un bianco preoccuparsi di loro con tanta chiaroveggenza, e presso quei coloni che dovettero presto rivolgersi a me per ogni traduzione con le persone del paese. Non vi fu più uno scambio, un affare in cui non fossi implicato o in cui non intervenissi. Mi arricchii impudentemente alle spese di tutti, e tutti in compenso mi espressero la loro gratitudine. Divenni una specie di potentato economico, così indispensabile alla vita quanto il sole alle colture.

 

 

 


 

 

 

 

[Segue]



LINK all'opera originale:



LINK di presentazione alla presente opera dada:
Louis Aragon: Anicet ou le panorama, 1921
   

 

 

 

 

 

LOUIS ARAGON

 

 

A N I C E T

O IL PANORAMA

 

 

L’assenza di sistema è ancora un

sistema, però il più simpatico.

Tristan Tzara.

 

 

 

 

 


 

C A P I T O L O   P R I M O

 

 

ARTHUR.

 

 

Anicet non ricordava dei suoi studi superiori che la regola delle tre unità, la relatività del tempo e dello spazio; a questo si limitavano le sue conoscenze dell’arte e della vita. Vi si aggrappava saldamente adeguando ad esse il proprio modo di agire. Ne risultarono alcune stravaganze che non allarmarono affatto la sua famiglia sino al giorno in cui non egli manifestò pubblicamente eccessi poco decenti: si capì allora che era poeta, rivelazione che dapprima lo meravigliò ma che accettò di buon grado, per modestia, nella convinzione di non poter egli stesso giudicare meglio di chiunque altro. I suoi genitori, senza alcun dubbio, si adattarono all’opinione generale poiché fecero quello che tutti i genitori dei poeti fanno: lo chiamarono figlio ingrato e gli ingiunsero di viaggiare. Non ebbe coraggio di opporre loro resistenza poiché sapeva che né le ferrovie né i piroscafi avrebbero modificato il suo noumeno.

Una sera in un albergo di un qualunque paese (Anicet non si fidava della geografia, basata come tutte le scienze su dati sensibili e non sulle realtà intangibili), notò durante il pranzo che il suo vicino di tavola non toccava nessuna portata e sembrava malgrado ciò provare tutti gli appagamenti gastronomici del buongustaio. Anicet intuì istantaneamente che questo strano convivente era uno spirito libero che si rifiutava di ricorrere alle forme a priori della sensibilità e non provava il bisogno di portare gli alimenti alla bocca per provarne le qualità. “Vedo, Signore, gli disse, che non cadete nell’incredulità a cui si attengono generalmente gli uomini, e che, in disprezzo della loro stupida rappresentazione della dimensione, vi astenete dai simulacri attraverso cui essi credono di cambiare i loro rapporti con il mondo. Allo stesso modo in cui certi popoli credono alla virtù dei segni scritti, così il senso comune attribuisce superstiziosamente ai propri gesti il potere di rovesciare la natura. Me la rido quanto voi di una simile pretesa, la quale denota la leggerezza di spirito dei nostri contemporanei (parola sprovvista di senso che prendo in prestito, come giustamente ben pensate, dal loro linguaggio) e la facilità a cui danno luogo le apparenze nell’eccedere al loro gioco. Mi chiamano Anicet, sono poeta e fingo di viaggiare per compiacere la mia famiglia. Non potrei nascondervi quanto bruci di apprendere accanto a chi sono seduto. La distinzione che appare sul vostro viso e la preminenza dei principi di cui avete dato sfoggio in questa occasione mi incitano a non aver altro desiderio più vivo.” Anicet tacque, molto soddisfatto di sé, dell’arguzia che aveva posto nelle sue dichiarazioni, del suo periodo e della soavità dei sentimenti espressi, infine di alcuni arcaismi attraverso cui aveva così finemente disprezzato l’idea di tempo e la puerile ed onesta cronologia dei bruti che presentemente si crogiolavano con l’illusione di un accostamento del loro palato e di una torta alla crema.

Lo sconosciuto non si fece pregare e cominciò il seguente racconto: “Mi chiamo Arthur e sono nato nelle Ardenne, a quanto mi hanno detto, ma nulla mi permette di affermarlo, tanto più che non ammetto affatto, come avete ben indovinato, la dislocazione dell’universo in luoghi distinti e separati. Mi accontenterei di dire: sono nato, se anche questa proposizione non avesse il torto di presentare il fatto che esprime un’azione passata invece di presentarla come uno stato indipendente dalla durata. Il verbo è stato creato in tale foggia che tutti i suoi modi sono funzioni del tempo, e mi assicuro che la sola sintassi incorona l’uomo schiavo di questo concetto, perché egli concepisce seguendo essa, ed il suo cervello non è in fondo, che una grammatica. Forse il participio nascendo, restituirebbe approssimativamente il mio pensiero, ma voi capite, Signore,” e qui Arthur colpì il tavolo con il pugno, “che non la finiremmo più se volessimo conformare i nostri discorsi alla realtà delle cose, e che il padrone dell’albergo ci caccerebbe da questa sala prima della fine della mia storia, se non diamo il nostro consenso strada facendo a concezioni puramente formali a categorie che aborriamo come false divinità, e di cui ci serviremo, se lo acconsentite, anziché servirle.

“Mi chiamo Arthur e sono nato nelle Ardenne. Molto presto, mi diedero un precettore che doveva insegnarmi il latino ma che preferì interessarmi di filosofia. Mal gliene incolse, perché molto rapidamente osservai che il mio professore smentiva con la sua condotta i principi stessi che egli aveva dimostrato. Agiva come se Dio per costruire la terra avesse anticipatamente calcolato la decimilionesima parte del quarto del meridiano terrestre. Fui offeso da questa disonestà. Ai rimproveri un po’ veementi che gli feci, l’improbo filosofo rispose con la delazione. Mio padre, uomo semplice e che ignorava tutto dell’imperativo categorico, mi fustigò davanti alle mie sorelle. Decisi di abbandonare la casa perché già possedevo quel senso acuto del pudore che doveva dominarmi successivamente. Viaggiai in un primo momento per le strade, mendicando il mio pane o rubando preferibilmente. È durante questo periodo della mia vita che appresi a concepire le acque, le foreste, le fattorie, le figure dei paesaggi indipendentemente dai loro legami sensibili, a liberarmi dalla menzogna della prospettiva, ad immaginare su di un piano quanto altri considerano su diversi come i bambini che sillabano, a non farmi più ingannare dall’illusione delle ore ed abbracciare simultaneamente la successione dei secoli e dei minuti. Una bella sera, un po’ stanco di questi panorami campestri, mi infilai in un treno e feci, nascosto sotto un sedile per non pagare il biglietto, l’itinerario da C… a Parigi. Questa posizione non mi era scomoda, ben sapendo che soltanto un pregiudizio porta i viaggiatori a preferirne un’altra. Utilizzai il tragitto nell’abituarmi a guardare il mondo a rasoterra, la qual cosa mi permise di farmi un’idea delle rappresentazioni possedute dagli animali di bassa taglia. Poi mi accorsi che contrariamente al mio passatempo abituale nulla era più semplice di riportare su diversi piani quanto si vede su uno solo: basta fissare obliquamente ciò che si  vuole dissociare anziché osservarlo frontalmente. Applicai immediatamente questo procedimento per allontanare dal mio volto gli stivali del viaggiatore seduto sopra me. Nell’entusiasmo di questi esercizi, scandii mentalmente, al suono ritmato del treno sul pietrisco delle massicciate ferroviarie, delle poesie che facevano a meno dello stesso principio di identità.

Anicet si permise di interromperlo: “Siete dunque anche poeta, Signore?”

– A tempo perso, replicò il narratore. Giunsi a destinazione nella più felice delle disposizioni di spirito. Pensate a quel che è Parigi per un ragazzo di sedici anni che sa meravigliarsi di tutto e in mille modi. Sin dalla stazione mi sentii trasportato: il movimento, le case caricate dalla prospettiva, il modo orientale di scrivere CAFÉ sui frontoni dei palazzi, le feste luminose della sera ed i muri coperti di iperboli, tutto contribuiva alla mia gioia. V’erano poche possibilità che mi stancassi di una decorazione incessantemente variata attraverso alcuni dei metodi di contemplazione che possedevo, quando un’avventura venne a darmi le distrazioni ed il luogo necessari per elaborarne altri.

Un mattino in cui imbattei in un funerale, mi raffigurai il morto, come mi ero abituato a farlo, indipendentemente dalla durata. Simultaneamente lo percepii nelle pose più arroganti, le più insignificanti e le più naturali, compiendo tutte le bassezze e tutte le stupidità di una vita senza interesse, con i suoi piccoli vizi e le sue piccole virtù, così poco responsabile che sghignazzai sonoramente nel vedere dei passanti scoprirsi davanti alla cassa lucida che racchiudeva i suoi resti. A quest’epoca, la fine infelice di una guerra ancora recente, i dissensi politici ed il giogo sempre severo del romanticismo portavano gli spiriti parigini a delle violenze poco usuali agli abitanti della città più amabili del mondo. Un quidam mi fermò e mi ordinò con tono enfatico di mettere il cappello basso sul di fronte a non so quale immagine della nostra umiltà. Accarezzai il mio olibrius con alcuni epiteti e non feci nulla di quanto richiestomi. Poiché quest’individuo tentava di costringer mici gli diedi una lezione pratica di filosofia. La cosa finì alla stazione di polizia e venni gettato in una cella oscura in cui mi si dimenticò per tre giorni. Per essere più libero dei miei carcerieri, bastava che mi astraessi dal tempo e dall’estensione, però preferii mettere a profitto questa reclusione per nuove evasioni. I matematici hanno inventato altri spazi oltre il nostro, a n dimensioni, essi dicono. Ma intralciati dall’abitudine di pensare secondo le tre dimensioni, essi non giungono a rappresentarsi le loro stesse immaginazioni. Grazie a queste ginnastiche preliminari, fu al contrario un divertimento per il mio spirito costruire il mondo dando a n i valori più diversi; stavo concependo la distesa ad un terzo di dimensione quando ci si ricordò della mia presenza per farmi comparire davanti al commissario. Poiché le mie risposte subivano un leggero disturbo da quell’esercizio, questo funzionario, che aveva un’idea puerile della relatività dei concetti, non comprese nulla dei miei discorsi e, nella convinzione di parlare con un pazzo, mi fece rilasciare.

Parigi divenne per me un bel gioco di costruzioni. Inventai una specie di Agenzia Cook esilarante che cercava invano di riconoscersi con una guida in mano in questo dedalo di epoche e di luoghi in cui mi muovevo facilmente. L’asfalto si rimise a bollire sotto i piedi dei pedoni; delle case affondarono; ve ne furono alcune che si arrampicarono su quelle a loro vicine. I cittadini portavano diversi indumenti che si vedevano tutti insieme come sulle tavole illustrate della Storia dell’Abbigliamento. L’Obelisco fece spuntare il Sahara Place della Concorde, mentre delle galere vogavano sui tetti del Ministero della Marina: erano quelle degli scudi con le insegne municipali. Delle macchine girarono a Grenelle; vi furono delle Esposizioni in cui si distribuirono delle medaglie d’oro dai millesimi differenti sul dritto e sul rovescio; esse coincisero con l’arrivo di Sovrani e di delegazioni straordinarie. Si abitò senza problemi in immobili in fiamme, in acquari giganteschi. Una foresta crebbe all’improvviso presso l’Opera, sotto i cui alberi di ferro si vendevano delle stoffe baiadere. Scambiai di posto i quartieri les Abattoir ed il canal Saint-Martin; lo sconvolgimento non risparmiò i Musei e tutti i libri della Bibliothèque Nationale sommersero un giorno la folla dei perditempo.

Vi parlerò dei mille mestieri che feci, di volta in volta venditore ambulante cantando come fossero delle poesie i titoli dei giornali che vendevo; uomo reclame per amore dei cappelli alti, facchino, scaricatore alla Villette? L’estraneità della mia vita mi attirò delle curiosità, delle frequentazioni, delle amicizie. Conobbi in certi ambienti un successo eguale a quella di un prestidigitatore o di equilibrista. Infine alcuni oziosi della riva sinistra mi trovarono del genio. Fui ammesso in circoli scelti, degli accademici mi ospitarono, delle donne di mondo vollero conoscermi. Il contatto giornaliero dei miei simili aveva fortemente sviluppato in me questo sentimento del pudore di cui vi ho già parlato e che mi era innato.

Mi sottraevo alle sollecitazioni del mondo per evitare di mettermi a nudo davanti a tutti. È a quest’epoca che conobbi Hortence. Ignorava tutto della vita, ma non dell’amore. Immagine della passività, sopportò le mie fantasie senza comprenderle. Ammise tutte le esperienze, si piegò a tutti i capricci e mi lasciò penetrare sino al disgusto i segreti della femminilità. Davanti a lei potevo togliere ogni maschera, pensare a voce alta, svelare l’intimo di me stesso, senza timore che lei mi intendesse. Fu un manuale prezioso che abbandonai in capo a tre settimane: avevo imparato a conoscere la visione femminile del mondo, così distante da quella degli uomini quanto lo è quella dei topi ballerini del Giappone le quali non immaginano che due dimensioni nello spazio.

Tra gli amici che mi erano valsi alcuni doni naturali ve ne fu uno che si legò a me in modo particolare. Quando L*** giunse a penetrare il mio pensiero, lo battei a sangue. Mi seguiva come un cane. Il mio pudore era infastidito all’eccesso da questa presenza costante e il mio solo rifugio era quello di evadere in un universo che edificai e in cui L*** cercava di raggiungermi con degli sforzi così grotteschi che a volte ridevo di lui finché non ne piangesse. questa vergogna che mi afferrava quando mi si scopriva andò accentuandosi in questo periodo al punto che una semplice domanda come: che ore sono? Se per caso andavo io stesso a proferirla, mi faceva arrossire e rendeva la vita intollerabile. Divenni aggressivo, diffidente, insolente. Schiaffeggiavo per un nonnulla gli indiscreti. Vi furono degli scandali durante delle riunioni, dei banchetti. Il colmo fu che un’avventura di questo genere si ritrovò ad essere raccontata ironicamente in un giornale con il mio nome a chiare lettere. Non potei più sopportare lo sguardo delle persone per la strada:

 

Rimaud era nato a Charleville-Méziéres.

Condividi post
Repost0
16 aprile 2011 6 16 /04 /aprile /2011 13:23

 

00cover--apologie-de-la-paresse.jpg

 

 

 

 

II


 

 

…Affamato di sapere!

-Una semplice mutandaia in mutande.

 

 

…Non a spasso per disoccupazione

-smarrita.

 

 

…Filosofo? Visionario demente.

 

…Ho ritrovato la verità. Ed ozio.

Prendi posto su questa riva,

se non hai fatto un voto di astinenza…

Assenzio ed oppio…

Ma sei filosofa. Vestita di saggezza.

 

 

…Neoempirista? Marcio di utilità.

Aristocratico dello spirito. Capisco.

Burlone a ripetizione.

Davanti agli affamati di libertà-

l'aristocrazia sparisce-

la borghesia sparisce-

il proletariato sparisce-

Un mondo comune che ozia.

 

Non turbarti. Sì. Un mondo comune.

L'utilità è femmina. La verità pure.

Divorzio. Reintegrare il domicilio reciproco.

Non si accoppiano due femmine- arriviste.

 

 

…Allucinato. Io?

Domatore di lesbiche

-corrotto da saggezza libresca.

 

 

…L'orbita del mondo?

Allo Zenit, un groviglio di squallore.

 

 

…Il posto dell’uomo in questo mondo?

   Lo squallore, che si supera, muore e

   risorge.

   Guarda vicino a questo aratro…

   Sei capace di distinguere l’uomo dal bue?

Anche il coolie è un uomo

   e il corroso dai parassiti sotto il portico della chiesa

(Quale blasfemia di fronte al sacro mutilato sulla

sua croce)

Ed il bracconiere, che i guardiacaccia braccano

ed il forzato che sputa il suo rancore

e che crepa

-rantolando centomila bestemmie.

 

 

Misura la terra…

Seziona la seziona aurea…

Acromegalia rigogliosa!

Crepa di fame! Formidabili roghi-

Colossali marmitte colossali sui fuochi!

Odori di resine- deliziosi aromi-

Girotondi di allegria…

Clamori della pigrizia sfarzosa…

 

 

…Capriccio Pacchiano?

Sofista servile di sfumature.

Il lusso ha serve, servi-

che servono i suoi capricci.

 

 

Cielo e terra, dio, la bestia ed il porcaio

hanno un caveau alla cantina del lusso

-tappi ed etichette.

 

 

…Senilità? Partenogenesi!

Astrattista di muffe.

La tua utilità è stilizzazione struggente,

semplificazione ad oltranza,

sintesi incastonatrice.

 

 

Le frontiere abolite-

 

 

la nozione di razza si arrugginisce-

(i porta-torce, di già, si sono spenti)-

I popoli si compenetrano, si confondono.

L’inutilità si consuma-

L’utilità arde.

Le apparenze, bruciate, cadono polverizzate.

Le realtà si cristallizzano.

Una è la verità, che, incarnata

si farà uomo.

 

 

…Nirvana? Mistero?

Il mondo è semplice, in cui l’uomo si inebria,

a propria immagine.

Ma l’umanità è più servile della pietra…

E, filosofo indolente, le tue carrozze di

promesse armoniche…

Oh, il lusso imprevisto dell’inoperosità!

Lo sciopero generale su una spiaggia soleggiata!


 

 

…La parola è in atto?

Raffinato retore loquace.

Che innanzitutto la parola sia alla parola.

occorre più di una stagione alle sensazioni per maturare.

 

 

…Laggiù c’è la foresta-

il mite esercito in ascolto della parola del vento.

 

 

…Sì. La tua reputazione ti proibisce di abbandonare

   l’ideale del ventre.

   Sublime utilitaria-

   E se ti prometto la celebrità-

   foss’anche dieci decadi dopo il tuo funerale.

 

 

…Idealista utilitaria.

 

 

…Eunuchi, automi?

   Castratore di saggezza.

   Gran maestro in arte culinaria…

   condisci perfettamente

   le cose buone per il ventre.

 

 

…Utopista?

Droghiere dell’esofago.

Il manzo è buono.

La sella del capriolo è squisita

annaffiata con un vino speziato dall’aroma inebriante.

Il vaccaro è un relitto

nella stalla una cosa desiderabile….

Ma le spezie accelerano la disgregazione

 

 

tanto quanto le speculazioni per la Borsa,

l’ardore delle preghiere alla chiesa.

 

 

...Aristotele, Kant. Scolastica, pragmatismo?

   Superstizioni da saltimbanco!

 

 

...Taci-

   Sto oziando- Assenzio a 95°

   Mi inebrio.

 

 

…Ma taci, inutile utilitario

-adorabile filosofo fantastico.

 

 

…Io, Chirurgo?..

Oh, la piccola sterile prostituta

che temeva per le sue ovaie!

 

 

…I tuoi lobi cervicali?

Pigrizia… Dice Erasmo… l’Elogio della follia.

 

 

…Violenza? Ti faccio violenza?

Violatore dell’identità umana -

Ascolta…

 

 

...Tumulti sonori nelle careggiate…

Suicidi dei disillusi…

Aborti di incanti di indigenze…

Feccia di moralità straripate e che appestano…

Ondate ferventi di lebbrose fraternità…

Ebbrezze eleganti…

Delle cascate di abbondanza rotolano per le strade-

Marce trionfali!

 

 

Assassino? Chi? Io, assassino?

Divinamente io ozio…

Tu perdi il tuo contegno.

Il tuo fard rossiccio si scaglia-

Diventi idropica…

Povero filosofo asmatico!

Ti salvi?

Non perdere il tuo ventre!

Addio età dell’oro -

Nell’era degli assassini, verrò

A solleticarti le zone erogene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Traduzione di Elisa Cardellini]

 

 

LINK all'opera originale:

L'Apologie de la paresse



LINK interni su Pansaers:

Fabrice Lefaix, Al Tempo dell'Occhio Cacodilato

Rossano Rosi, L'eterno ritorno del pan-pan al culo

Bernard Pokojski, Pan! Pan! Pansaers

Paul Neuhuys: Clément Pansaers, "Paria in demolizioni (1921)

Condividi post
Repost0
12 aprile 2011 2 12 /04 /aprile /2011 16:06

 

 

 

 

 

 

coeur, 01

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

coeur--03.jpg

 Le Cœur à Barbe, il 4 aprile 1922.

 

 

 

Caro signor Gale:


Il bisogno di dormire con delle donne è una mancanza di immaginazione. Non sono onanista, al contrario. Dunque vi sbagliate dicendo che ho troppa immaginazione.

 

*

* *

 

A coloro che seguono molto solennemente il funerale del cubismo avverto che essi vanno dietro una bara vuota. Il cubismo nascosto dietro un angolo del secolo guarda passare il suo funerale con un piccolo sorriso intramaxillare.

 

*

* *

 

Il mese prossimo si celebrerà a Parigi il centenario di Max Jacob.

    Vietato sputare sul Polo Nord.

                                                  Vincent HUIDOBRO

____________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

Dopo la pioggia, il tempo brutto. Le piccole fantasie fanno le grandi carriere. Ciò non impedisce che il signor A. Breton, il congresso ben noto, ha il merito di non imbarazzarsi delle opinioni che sembrano essere le più rispettabili agli idioti, come voi o me (perdonatemi quest'accostamento). Il magnetismo intellettuale non orienta allo stesso modo gli aghi blu dei nostri cervelli. Gutenberg ha detto che l'amore era una conseguenza del quadrato dell'ipotenusa, cioè della noia e della docilità agli esempi dell'abitudine. Tutto ciò che vi è di più abietto, e ci avvicina veramente agli uomini superiori, come Gutenberg, Breton, Palestrina, Pelletier e Caventon. Il tuono è una semplice complicazione della politica, ma un cucchiaino che cade non produrrà mai l'arcobaleno; cade giusto nel momento in cui stavo prendendo infine una decisione relativa agli argomenti della poesia. Se aspettate un tram per 45 minuti sulla riva della Senna, la donan che amate vi scenderà; il fiume metallico attira verso sé la poca luce rimasta, così come alcune persone viventi o morte o tra le due.

Con fraterno affetto.                                                                                      Th. FRAENKEL

___________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

Signor Binet Valmer quando si è stati tre volte feriti si hanno tre ragioni per tacere.

 

NON È UNA QUALITÀ ESSERE FRANCESI                                     Benjamin PÉRET

___________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

NUOVI CARCIOFI

 

Gli uomini sono arrivati a dare la sifilide agli dei con l'aiuto di procedure che non hanno nulla di wagneriano. Si tratta per il momento di incidenti primari: il congresso di Parigi o la piaga della primavera.

____________________________

 

Vitrac è giù di forma*. Prenda dell'impostura di mercurio. È un sale sovrano.

____________________________

 

Aragon è un bella campana di vetro sotto la quale dorme il fiore d'arancio di Breton.

____________________________

 

Modernismo di Panama, o il modo di far comunicare due Continenti. Per Ozenaffandrare** Breton.

___________________________

 

Dopo gli ultimi avvenimenti Pierre de Massot è diventato spagnolo e firma: Pedro de Masso. Ma poiché teme anche che André Breton gli rimproveri di provvenire da Barcellona, rassicura quest'ultimi. Avviso agli estimatori di sculacciate.

_________________________

 

Infine, si va ad assassinarsi.

_________________________

 

André Breton, detto Andréas il Camaleonte. Come ripete Johan Bojer, è furiosamente così.

_________________________

 

Picabia tratta i suoi amici come oggetti utili. Quando hanno finito di servirgli li butta nel cestino dei rifiuti.

_________________________

 

Pensiero letto in un giornale: non c'è che una sola cosa QUASI assoluta, è il libero arbitrio.

 

Non fa parte dello Spirito Nuovo***.

________________________

 

Non ho per fortuna alcun talento. 

_________________________

 

Francis Picabia voleva gettare André Breton in mare. Ora eccoli entrambi su una piccole e carina zattera. S.O.S.

________________________

 

Dada cerca suo padre.


Dada il Padre non è affatto il padre di Dada, malgrado il piccolo Pierre. Non è nemmeno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

 

* Patraque

 

** Ozenfandré, ottenuto unendo al nome di Amédée Ozenfant il suffisso di un verbo al passato prossimo: Ozenfandrare! Esponente del purismo pittorico insieme a Le Corbusier.

 

*** Esprit Nouveau, rivista fondata da Amédée Ozenfant e Le Corbusier.

 

 

 

 

 

 

 

 

[Traduzione di Elisa Cardellini]

 

 

 

 

LINK:

Coeur a Barbe, 03

Condividi post
Repost0
22 marzo 2011 2 22 /03 /marzo /2011 14:39

 

Al Tempo dell'Occhio Cacodilato

Panorama bio-icono-bibliografico dei sessanta firmatari di L'Occhio Cacodilato di Francis Picabia (1921)


Odio la guerra ma amo coloro che l'hanno fatta (R. Dorgelès)


Firma di Roland Dorgèles (1885-1973)


di Fabrice Lefaix
"Proclamiamo che l'eccesso in tutto è una forza, la sola forza... Devastiamo i musei assurdi, prendiamo a calci le consuetudini infami. Viva lo scarlatto, la porpora, le gemme corrusche, tutti quei toni cheturbinano e si sovrappongono" [1]. Eco sghignazzante al Manifesto del Futurismo, il Manifesto dell'Eccessivismo di Roland Dorgèles fu pubblicato il 1° aprile 1910 in una rivista umoristica intitolata Fantasio.

Dorgèles ha ventiquattro anni, ha appena lasciato la Scuola delle Belle Arti ed intende dedicarsi ad un'attività artistica. A mo' di introduzione, espone al Salon des Indépendants, con lo pseudonimo J. R. Boronali, una tela realizzata con l'aiuto della coda di un asino ed ottiene un forte successo con questa beffa (gesto dada ante litteram?). Negli anni dieci, frequenta Pierre Mac-Orlan, Guillaume Apollinaire e la bohème di Montmartre 8ha incontrato Duchamp?). Nel 1921, Dorgèles, il cui vero nome vero nome è Roland Lecavelé, ha trentasei anni. L'anno seguente, sposa Hania Routchine, altra firmataria ed altra artista lirica di L’Œil Cacodylate.

[1] Citato da Marc Partouche in: La lignée oubliée, bohèmes, avant-gardes et art contemporain de 1830 à nos jours, éd. Al Dante, coll. &, p. 108, 2004.

Per un approccio approfondito dell'affare Boronali, vedere Rire ou ne pas rire: l’âne qui peint avec sa queue » in Aux commencements du rire moderne – L’esprit fumiste, Daniel Grojnowski, Ed. José Corti, 1997.


L'asino Boronali al lavoro. Fotografia apparsa in L'Illustration (2 aprile 1910)


Scollatemi questo



Piccolo enigma. Non avevo ancora portato la mia attenzione su questo centimetro quadrato lì: PE. La prima idea che mi era venuta era troppo evudente. No, non deve trattarsi di un monogramma, ed ancor meno di quello di Paul Eluard, che aveva altre gatte da pelare in quel momento. L'iscrizione sembrava proseguire sotto la fotografia di Man Ray e terminare cin una Y. Y di Man RaY? Si tratterebbe del nome o cognome della Donna con la sigaretta?

Fabrice Lefaix

[Traduzione di Elisa cardellini]

LINK: 
Condividi post
Repost0
20 marzo 2011 7 20 /03 /marzo /2011 08:00

 

coeur, 01


 

 

 

coeur--02.jpg

 

Per far crescere il cuore


 

Queste otto pagine, all'alba del XX secolo, apriranno gli occhi dei nostri innumerevoli lettori. Il "cuore a barba" non conterrà ne letteratura, né poesia. Sappiamo che il divorzio è un genere che esprime a volte meglio lo stato di spirito di una piccola epoca come quella che stiamo attraversando senza preoccuapzioni. Ignoriamo la ragione per la quale non possiamo garantire l'apparizione regolare della nostra rivista. Ma gli eserciti di occupazione mantenuti a grandi spese sulle reni della nostra attività, le spie e gli apoplettici, gli imballatori ed i magi, gli impallatori e gli imballati, i fidanzati ed i cognati non toglieranno mai l'oro dai nostri denti.

I volti dei falliti attirano il credito come la merda attira il piede.

Nessuno dei nostri collaboratori impegna il suo prossimo alle dichiarazioni profferite qui. Alcune affermazioni di certuni sono la prova che il nostro autobus non è che un giornale senza parafango.

Eluard, Ribemont-Dessaignes, Tzara.

 


Ufficio della Servitù

 

Certificato:... Tutti gli animali non sono dei domestici dallo stesso nome (Cosa dice il Leone)

_______________


Colpo di grembiule:... Il Congresso di Parigi non è una riunione di domestici (Cosa dice "il detto")

_______________


Azione vile:... Il signor Ozanfant non è responsabile degli atti dei suoi domestici (Congresso di Parigi)

_______________

 

Gilet foderato:... Il signor André Breton non è il domestico del signor Ozenfant (che dice)

_______________

 

Tale il padrone tale il servo:... Un buon domestico deve essere piatto - tutt'al più appiattito (Congresso di Parigi)

_______________ 

 

Vecchio servitore:... Il signor Orvieillard è un buon padrone per i suoi domestici - così come per la Pittura (Cosa dice il signor Jeauneret)

 

Si richiede:... Giovane domestico per squarciare un altro Quadro dello Stesso Pittore come l'ultima volta (L'Esprit Nouveau) 

 

Il Direttore dell'Ufficio:

Erik SATIE

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

Il cuore di Aragon è nel petto di Breton.

Th. FRAENKEL

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

PRESTO DIREMO TUTTO

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

Francia ha la stupidite. Speriamo di salvarlo.

 

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

VOL-AU-VENT


No, signore, il cubismo non è morto e nemmeno il Rinascimento italiano.

Finché ci saranno pittori come Picasso, Braques, Gris, degli scultori come Lipchitz e Laurens, non si può parlare di morte del cubismo senza fare l'idiota.

 

Invito Tzara a giocare a biliardo nei mari del Sud.

 

 

 

 

 

 

[Traduzione di Elisa Cardellini]

 

 

 

 

 

 

 

LINK:

Le Coeur a Barbe, 01


Condividi post
Repost0
6 marzo 2011 7 06 /03 /marzo /2011 08:00

 

coeur, 01

 

 

Ultima pubblicazione del movimento Dada, Le Cœur à Barbe, uscì a Parigi il 4 aprile 1922 a cura di Tristan Tzara per rispondere agli attacchi contro lui diretti da André Breton dalla rivista Comœdia del 2 marzo. Tra le collaborazioni troviamo i nomi di Ribemont-Déssaignes, Satie, Fraenkel, Huidobro, Péret, Soupault, Duchamp. L'affare trovò il suo termine nella "Soirée du Coeur à Barbe" al Teatro Michel il 6 luglio 1923.

 

 

 

coeur--01.jpg


Copertina di Le Cœur à Barbe, sottotitolata "Journal Transparent". Le dimensioni del giornale sono di 22x14 cm, stampato ad inchiostro nero su carta rosa. Si tratta di un numero unico dell'ultima rivista dada, edita dalle edizioni "Au Sans Pareil", a prezzo di un franco, uscita a Parigi nell'aprile del 1922. I collaboratori citati in copertina sono: Paul Éluard, Thomas Fraenkel, Vincet Huidobro, Matthew Josephson, Benjamin Péret, Georges Ribemont-Déssaignes, Erik Satie, Serner, Rrose Sélavy, Philippe Soupault, Trustan Tzara.

 

 

Traduzione di Elisa Cardellini]

 

 

 

LINK all'opera originale:

Le Cœur à Barbe, cover

 

 

 

Condividi post
Repost0
2 marzo 2011 3 02 /03 /marzo /2011 18:20

La ricerca dell'invisibile in Marcel Duchamp


Marcel%20Duchamp

 


di GuglielMina Frau


Il mio intervento è finalizzato a mostrare, attraverso le immagini di alcune opere, una traccia parziale della poetica di Marcel Duchamp.

 

Il procedimento che utilizzo è analitico e di decodificazione dei caratteri che formano nell'insieme la poetica duchampiana.

 

Duchamp ha superato lo spazio retinico legato ancora alla cultura gutenberghiana, fruendo le sue opere è possibile sfiorare diversi livelli di conoscenza "oltre" la costante di normalità accettata.

 

Le proposte della sua poetica sfociano spesso (o quasi sempre) in spazi ancora non esplorati; si tenterà in questa indagine, di esplorarli, cercando di utilizzare le sue stesse parole e i concetti espressi nelle argomentazioni affrontate da Duchamp durante le numerose interviste.

 

Che cos'è il tempo?

 

C'è differenza tra spazio e tempo? Sono queste alcune domande sulle quali Marcel Duchamp riflette cercando di trovare un modo, attraverso la produzione artistica, per afferrare il tempo, darne una esplicita testimonianza.

 

duchamp, il-grande-vetro-allevamento-di-polvere Duchamp, Allevamento di Polvere, 1920.


Nel 1919 in occasione del matrimonio della sorella Suzanne, Marcel Duchamp elabora un regalo per gli sposi che consiste in alcune istruzioni per appendere un libro di geometria fuori dal balcone: lo scorrere del tempo, la forza degli elementi atmosferici, avrebbero trasformato il libro in qualcosa di diverso. Le pagine si sarebbero irrigidite, la scrittura scolorita, polvere, pioggia, vento, avrebbero contribuito a distruggere per sempre le frasi scritte sul libro di geometria; il tempo unito naturalmente ai fattori climatici avrebbe agito sull'oggetto, trasformandolo e trascinandolo verso altre dimensioni. La ricerca di Duchamp sull'azione del tempo è sempre al centro dei suoi pensieri.

 

Insieme a Man Ray, nel 1920 a New York, allestisce un: Allevamento di Polvere.

 

Il 7 novembre 1919, il quotidiano londinese Times, annunciava l'emergere di un mondo nuovo, nel quale i vecchi valori di spazio e tempo assoluti erano perduti per sempre. Per chi proveniva dalle devastazioni della Grande Guerra, esso significava il sovvertimento di tutti i riferimenti assoluti, tanto nella morale, quanto nella filosofia, nella musica o nell'arte: in un recente compendio della storia del secolo XX, lo storico britannico Paul Johnson sostiene che l'era moderna non ha avuto inizio nel 1900, e nemmeno nell'agosto del 1914, ma piuttosto in occasione dell'avvenimento che diede origine a quel titolo del Time [1].

 

Notizie più precise sulla quarta dimensione circolano in ambito francese già dopo il 1910.

 

Tra il 1911 e il 1912, Gaston de Pawlowski, direttore del più importante quotidiano letterario e artistico intitolato Commedia, pubblica a puntate i capitoli di quello che sarebbe diventato un classico della fantascienza francese dell'inizio del secolo: Il viaggio al Paese della quarta dimensione. L'argomento è di dominio pubblico non solo in ambito scientifico. Duchamp, si interessa a questa nuova dimensione dove tempo e spazio sono unificati; poiché relativisticamente parlando, la curvatura dello spazio e quindi delle forme in esso immerse, sono influenzate vicendevolmente. Queste nuove teorie scientifiche costituiscono una vera rivoluzione per la società del Novecento. La teoria della relatività, dei quanti e della geometria non euclidea, allargano gli orizzonti della scienza e mettono in forte crisi le vecchie certezze. La nuove coordinate spazio temporali allargano le conoscenze della fisica, ma non solo, soprattutto si producono dei profondi cambiamenti tecnici e psicologici in tutta la società.

Pawlowski_Voyage_au_pays_Fasquelle.jpgGaston de Pawlowski, Viaggio al paese della quarta dimensione, 1913.

 


einstein-1.jpgAlbert Einstein nella sua ricerca si rende conto che alla base della nozione di tempo-spazio, è unita anche quella di simultaneità. La svolta einsteiniana fondata sul principio di relatività, accoglie tutti i fenomeni fisici; indica un nuovo modo per osservare la realtà. L'ipotesi mcluhaniana di fondo vuole che a una tecnologia di base fornita dall'elettronica (dalle applicazioni dell'elettromagnetismo e dell'elettronica) faccia riscontro un'epistemologia (una metodologia generale) fondata sul prevalere delle totalità, delle strutture, delle qualità globali piuttosto che delle quantità, delle sommatorie (questo l'esito più importante delle equazioni del campo elettromagnetico elaborate da Maxwell e poi riprese dalla teoria della relatività di Einstein). Per altro verso, si impongono concezioni probabiliste, indeterministe messe a punto da Planck, Bohr, Heisemberg. Per effetto congiunto di queste svolte epistemologiche, le discipline del gruppo fisico-matematico si sono avvicinate come non mai a quelle del gruppo umanistico [2].

 

boite-verte.jpg

Duchamp, Scatola verde, 1934.

 

Nell'intervista rilasciata da Marcel Duchamp a P. Cabanne, l'artista affronta l'argomento dicendo: "Ciò che ci interessava a quel tempo era la quarta dimensione. Nella Scatola verde ci sono un mucchio di note sulla quarta dimensione [...]. Siccome credevo che si potesse dipingere l'ombra di una cosa a tre dimensioni, un oggetto qualsiasi - come la proiezione del sole sulla terra che crea due dimensioni - per semplice analogia intellettuale considerai che la quarta dimensione poteva proiettare un oggetto a tre dimensioni; in altre parole ogni oggetto a tre dimensioni che osserviamo freddamente è una proiezione di una cosa a quattro dimensioni che non conosciamo. Era quasi un sofisma ma, in fin dei conti, era anche una cosa possibile" [3].

 

Le opere duchampiane che meglio esprimono questo concetto sono più di una, osserviamo tuttavia la più evidente, Porta 11, rue Larrey  del 1927; è questa una porta che non delimita una zona di confine (si apre mentre si chiude e si chiude mentre si apre). Duchamp è interessato al varco di comunicazione tra l'ambiente in cui  abitualmente ci muoviamo e quello che invece riusciamo soltanto a percepire. Questo è il mondo relativistico einsteniano, dove spazialità e temporalità sono legate-unificate e risentono di tutto ciò che accade. L'attenzione di Marcel Duchamp è rivolta esclusivamente all'arte concettuale, intellettuale, soprattutto alle idee e non solo alle parti visive.

duchamp--porte-11--rue-Larrey1196188595_f.jpgDuchamp, Porte 11, rue Larrey, 1927.


Lo scopo è di condurre l'attenzione degli uomini verso la conoscenza, in una condizione di silenzio che sfiora la magia,uno spazio in cui D. cerca di trovare un luogo di nuove possibilità. Una problematica profonda di questa parte della poetica duchampiana, è il suo tentativo di mostrare i passaggi dimensionali tra i vari livelli di realtà. Un'altra opera che tenta di acchiappare l'invisibile è per esempio: Aria di Parigi, 1919.

aria-di-Parigi.jpgDuchamp, Aria di Parigi, 1919.

 

 

duchamp--Jeune_homme_et_jeune_fille_dans_le_printemps--1911.jpg
  Duchamp, Giovanotto e ragazza in primavera, 1911.

Nel 1915 Duchamp inizia l'esecuzione del Grande Vetro, un'opera che è il punto centrale di tutta la poetica duchampiana, dove convergono idee e lavori significativi, sia precedenti al Grande vetro, come per esempio Giovanotto e ragazza in primavera del 1911, sia altre opere successive come Étant donnés. Il Grande Vetro propone anche una nuova realtà dell'opera come organismo, corpo, che occupa uno spazio all'interno della realtà che lo accoglie. Nel 1926 a Brookliyn, il Gande Vetro viene caricato in un camion per essere trasportato, durante il viaggio (circa 90 km ) le lastre di vetro subiscono una filatura. Nel vedere la sua opera danneggiata, l'artista, reagisce con molta serenità anzi dichiara di vedere in quelle incrinature del vetro rotto una nuova forma simmetrica, una nuova intenzione al di fuori delle sue decisioni, che accetta come un evento della realtà quotidiana dell'opera d'arte. Così come tutti i corpi presenti nel livello materiale dell'esistenza, che con il passare del tempo irrimediabilmente cambiano, mutano strutturalmente, acquistando o perdendo caratteristiche nella propria forma materiale.

 

duchamp-etant-donnes.jpg
Duchamp, Etant donné, 1946-66.

Il progetto iniziale dell'opera prevede due spazi ben distinti, uno dedicato alla sposa e l'altro ai nove scapoli: tra i due mondi, Duchamp lascia un terzo spazio di possibilità nella pura trasparenza del vetro, che potrebbe diventare il "campo d'incontro dei due mondi separati". Oggi non è più possibile vedere questo terzo spazio, poiché è stato annullato con l'aggiunta di un asse di sostegno del vetro, dopo l'incidente del trasporto. Ora, lo spazio della sposa è completamente chiuso, così anche lo spazio degli scapoli, non può esserci comunicazione tra i due e tutto il significato originario dell'opera è mutato. Il mondo rappresentato dal Grande Vetro è quello dell'apparizione cioè di una realtà al di là di ciò che appare, l'artista propone un percorso di iniziazione dello spettatore, che sfocia verso livelli di contemplazione in cui i fruitori stessi, diventano i protagonisti diretti (attraverso la loro partecipazione percettiva), a quanto avviene nell'opera stessa.

 

Duchamp definisce il Grande Vetro come un mondo in giallo, sottintendendo una propagazione della luce negli strati della materia, il G.V. diventa quindi una rappresentazione simbolica della luce quasi un cosmogramma. M.D. trova una soluzione coerente e idonea alla sua poetica, una poetica che ha sempre richiesto allo spettatore una partecipazione, uno sforzo mentale, un avvicinamento fra l'arte e la realtà vissuta. Sono queste le condizioni per arrivare all'opera d'arte totale,ossia l'opera senza limiti, tra la vita e l'arte (punto Zen).

rose, 10Duchamp, Il Grande Vetro, 1915-1923.

 

 

I READYMADES

 

Come nasce un ready-made duchampiano? Duchamp ha più volte ribadito quanto la nascita dei suoi ready-mades è sempre sottoposta a regole ben precise. Uno dei fattori principali è rappresentato dal caso, seguono poi l'ordine e l'indifferenza. Marcel Duchamp si prepara mentalmente attraverso alcune diverse fasi di preparazione spirituale. Duchamp vuole progettare i suoi ready-mades in un momento del futuro (tal giorno, tal data, tal minuto) una specie d'appuntamento. Inoltre il ready-mades deve ora, recare un'iscrizione che invece di descrivere l'oggetto, così come avviene nel caso di un titolo, deve portare la mente dello spettatore verso altre regioni più verbali, assegnarli una nuova etichetta e una firma, dirottare l'oggetto dalla sua destinazione e riclassificarlo.

 

L'oggetto originale è momentaneamente sospeso da qualsiasi valore simbolico. L'artista ora procede all'attivazione di diverse fasi che si sviluppano progressivamente almeno in quattro momenti:

 

1) Traslazione dell'oggetto, ottenuta dopo una forte concentrazione mentale dell'artista.

 

2) Sospensione momentanea del giudizio di gusto, indifferenza, necessaria per la sospensione o spaesamento dell'oggetto, che viene trasferito in una nuova dimensione (o realtà).

 

3) Posiziona il manufatto, mutando la sua posizione abituale (ma non sempre), affida un nuovo nome all'oggetto (ma non sempre), trova un  luogo dove far conoscere la propria opera( galleria o altro), presentandola al mondo dell'arte istituzionalizzato e assumendone pienamente la paternità.

 

4) Legittima l'identità artistica dell'opera.

 

La valenza simbolica dell'oggetto coincide con il livello di appartenenza ad una certa quota (livello) di realtà; ossia l'oggetto presentato da Duchamp non muta la sua origine o forma materiale, ma diventando opera infilza la realtà in quel preciso istante nel suo divenire - essere (né prima né dopo).

 

Il prolungamento simbolico dell'oggetto materiale che si offre all'esperienza estetica,p orta con sé tutte le caratteristiche del mondo meccanizzato. I Ready-mades interessano non tanto da un punto di vista plastico quanto invece da un punto di vista critico e filosofico. Si tratta di attivare un gesto contrapposto all'opera d'arte tradizionalmente intesa, il ready-made è un attacco contro il concetto stesso di opera d'arte. Davanti ai primi ready-mades la reazione dei fruitori è di stupore. Da parte di Marcel Duchamp c'è la volontà di sottrarsi all'arte tradizionale e con essa a tutto ciò che comporta, particolarmente alla speculazione dei mercanti d'arte. Duchamp ha dimostrato ribellione nei confronti di un mondo dell'arte strutturato in ruoli e codici fissi, egli cerca di volta in volta una nuova apertura verso altre direzioni.

 

Ma come si sviluppa, da un punto di vista estetico, il concetto di oggetto duchampiano?

 

Le valutazioni estetiche che si formano dentro le nostre idee, attraverso la percezione dei nostri cinque sensi, ci mettono fenomenologicamente in grado di fruire l'oggetto materiale sotto due precisi momenti, il primo è l'oggetto in sé, il secondo l'analogia e il simbolo di una cosa. L'atto di prelievo di un nuovo ready-made da parte di Marcel Duchamp. è un momento di superamento dello stato abituale di normalità, è un introdursi in una "qualche dimensione di ricerca subconscia". Quando si parla di bellezza dell'indifferenza, si vuol mettere in risalto proprio quest'aspetto così sottile ed aereo che distingue il momento del prelievo (funzione costruttrice dell'opera), da qualsiasi altro attimo della vita dell'artista. Duchamp infatti si organizza come se dovesse celebrare un rito, il giorno, l'ora, il luogo in cui avrebbe prelevato dalla realtà quotidiana un nuovo oggetto da proporre come opera d'arte. Ciò significa che oltre il gesto materiale di prelevamento dell'oggetto dal mondo della quotidianità, l'artista si mette anche in una specifica situazione psicologica, ossia il prelevamento avviene in un momento di concentrazione mentale tale da provocare nel medesimo un momento di indifferenza psicologica che è oltre lo stato di normalità.

 

L'oggetto prelevato e presentato come opera d'arte, non è più uno scolabottiglie ma é diventato lo "Scolabottiglie" di Marcel Duchamp: - 1) oggetto storico - opera d'arte, isolato dal mondo reale dei manufatti - 2) in comunicazione con il mondo più interno del subconscio e idee dell'artista - 3) in rapporto diretto con il mondo dell'arte istituzionalizzato. L'indagine in questo senso si dirige oltre qualsiasi superficialità, mette l'attenzione del fruitore non sull'oggetto in se, ma nel varco di comunicazione che l'opera apre.

Duchamp.-Porte-bouteilles--1914--1964-.jpg


Duchamp proclama il valore supremo dell'indifferenza e conferisce al gesto del prelievo un senso unico di istantaneismo. Un cogliere l'attimo che intende abolire la spaccatura tra la vita e l'arte, per arrivare sempre più vicino all'opera d'arte totale. In questa stessa linea rientra anche l'attività rivoluzionaria della cultura Dada (1916-'21), con le sue  proposte di una nuova filosofia  di vita.  Dada e Surrealismo sono stati gli unici movimenti a proporre, oltre la rivoluzione visiva, anche una rivoluzione culturale. Duchamp li ha attraversati entrambe, ma tenendosi tuttavia indifferentemente staccato per poter spaziare oltre.

duchamp-ruota-di-bicicletta-1913.jpg

 

Prendendo un oggetto comune dell'ambiente abituale e sistemandolo in un luogo, tale che il suo significato muti, M.D. ha favorito una produzione di nuovi concetti, una nuova produzione mentale che entra di diritto nel campo di ricerca della polisemia . Dalle parole ai fatti; ecco di seguito un breve excursus tra alcuni dei circa trentacinque  ready- mades. Osserviamo:

 

READY - MADES RETTIFICATI: l'artista compie una correzione mantenendo intatta la base sulla quale si interviene:

 

RUOTA DI BICICLETTA, 1913           

 

SCOLABOTTIGLIE,          1914

 

FONTANA (Sig. Mutt),      1917

 

L.H.O.O.Q.,                         1919

Fontana, Duchamp, 1917

 

L'umorismo di Marcel Duchamp spesso è iconoclasta. Uno degli esempi più noti è l'imposizione dei baffi alla Gioconda leonardesca, un gesto spesso giudicato oltre che burlesco, anche irriverente nei confronti di un' opera famosissima.


duchamp--L.H.O.O.Q.-1919.jpg

 

Oltre queste prime impressioni, il gesto di Duchamp (con o senza la consapevolezza dell'artista) ha allargato un nuovo spazio nella storia dell'arte contemporanea - postmoderna, ottenendo una visione totalmente differente che produce nuova cultura e nuovi concetti estetici.

 

L'artista, divenuto operatore «mentale», si cimenta nell'impresa di rivendicare al valore estetico ogni oggetto e circostanza preesistente a lui: basta volerlo, dichiararlo, apprestare una opportuna «intenzione». Né è detto che queste «intenzioni» si debbano rivolgere ai soli e solidi oggetti materiali; si potrà trattare ugualmente bene di frasi e dichiarazioni verbali, di fenomeni aerei, posti nel regno dei fluidi, o infine di ragionamenti mentali. L'intero universo può essere riconsiderato «sotto specie»di valore estetico, pur di far scattare gli indici opportuni (come premere un tasto e ottenere che tutti i caratteri si stampino in maiuscolo [4].


SEMI READY - MADES: sono sicuramente tra i ready-mades più particolari. Si tratta di una sorta di assemblage, più o meno modificati. Due opere destano degli interrogativi per il loro " non senso", si tratta di:



- CON RUMORE SEGRETO, 1916

conrumoresegreto1916.jpg

 

Nel primo Marcel Duchamp, con la complicità di Walter Arensberg, unisce due piastre di ottone con quattro viti; all'interno un gomitolo di spago contenente un oggetto misterioso,scelto dall'amico Arensberg (unico a conoscere la natura dell'oggetto nascosto). Il rumore prodotto dall'oggetto sarà l'unica traccia per il fruitore, che tenterà di riconoscerlo. L'opera apre verso differenti modi di fruizione: visione, movimento, rumore.


 

 

 

 

 

 

PERCHÈ NON STARNUTIRE, 1921

perche-non-starnutire.jpg


 

La seconda opera citata è una piccola gabbietta per uccelli con dei cubetti di marmo bianco, sistemati al suo interno più un osso di seppia incastrato nella griglia di ferro. La visione del semi ready-made condurrebbe a supporre una certa delicatezza (i cubi sembrano zollette di zucchero), ma il suo peso è contrapposto a questa prima impressione.

 

Si possono fare cose che non siano opere d'arte?

 

Nel 1916, Duchamp si propone di eleggere il grattacielo della Woolworth Building a New York, come ready- made . Poiché non trova mai una frase appropriata per nominarlo, decide di tenerlo come ready- made latente.

 

E' possibile accumulare delle cose simili (manufatti), tutte acquistata New York nella 10° strada, per arrivare ad una "massa critica" tale che l'ultima aggiunta determina il passaggio dalla quantità alla qualità?

 

Se è vero che tutti i tubetti di colore usati dagli artisti sono manufatti (prodotti pronti all'uso) possiamo concludere che tutti i quadri al mondo sono dei ready-mades aiutati.

 

Se l'opera d'arte e l'opera di "non arte " sono essenzialmente la stessa cosa, e se l'oggetto comune può essere elevato al rango di un'opera d'arte grazie alla scelta dell'artista, può essere vero anche il contrario? L'operazione consisterebbe nel prendere una qualsiasi opera, per es. un Rembrandt, e trasformarlo in qualcosa di comune, soggetto all'uso quotidiano nella vasta schiera di utensili come per esempio un asse da stiro.

 

 

ARTE CINEMATOGRAFICA: DUE FILM SPERIMENTALI.


anemic_cinema.jpgL'arte cinematografica mette i fruitori in condizione di fruire l'opera ma anche di diventarne protagonisti (con la percezione e sensibilità) tanto da riconfermare il concetto duchampiano: "sono gli spettatori che fanno un'opera d'arte". Nella storia dell'arte cinematografica si è cercato di analizzare i conflitti interni provocati nel fruitore dalle immagini che scorrono, coinvolgendo la percezione ma non solo. Il cinema scompone le immagini frammentando la vita rappresentata in fotogrammi in rapido passaggio: oggetti, persone, luoghi, si offrono all'esperienza visiva dello spettatore che compie a sua volta una rapida ricomposizione di forme che è il film stesso.

 

Già i dadaisti e i surrealisti avevano concepito un' arte fondata sul frammento, lo choc, la sorpresa: il cinema porta a compimento le loro intenzioni. Se le inquadrature colpiscono lo spettatore con la stessa rapidità di uno choc, ciò ha conseguenze rilevanti sulla sua struttura psichica [5]. Nel cinema la realtà è assente e la percezione del fruitore è l'unica forma di realtà di quel preciso istante di visione delle immagini cinematografiche riprodotte.

 

Duchamp nel 1925-26, insianemic-Cinema--2.jpgeme a Man Ray e a Marc Allégret, realizza un breve film intitolato "Anémic Cinéma". Si tratta di un classico film sperimentale, muto, 35 mm, 7 minuti, bianco e nero, prod. Rrose Sélavy. Il pic colo film comprende la ripresa di 19 dischi che si alternano in un movimento continuo, 10 dischi ottici con spirale + 9 frasi scritte a spirale (dei giochi di parole tali che la fine della frase è anche l'inizio), dedicate a Rrose Sélavy. Le immagini sono chiaramente ancora strettamente meccaniche e suddivise in piccoli momenti; si è ancora molto lontani dai film in cui l'apparenza rappresentata riduce a zero o annulla del tutto la differenza tra vita vera e opera prodotta.

Anemic.Cinema-3.jpgL'arte cinematografica è ancora in una fase iniziale che tuttavia prelude a spazi da scoprire e raggiungere. Nel primo breve film girato da Marcel Duchamp, ci sono le tecniche tipiche del cinema muto. Le immagini esprimono solo il presente di quel preciso istante (né passato né futuro) l'immagine è ciò che accade dinanzi ai nostri occhi. Tutto ciò è possibile con gli effetti ottici che si collocano, in relazione ai mezzi tecnici, fuori da qualsiasi spazio e tempo. Sono la traduzione delle idee dell'artista, le immagini ottiche sono il significato in rapporto diretto con le sequenze che vengono presentate al pubblico, che può fruire in pieno della forma in tutta la sua essenza.

 

entr_acte_clair_1.jpgNel 1924, Marcel Duchamp insieme a Man Ray, diventano attori principali in un brevissimo film, intitolato Entr'Acte, [6]. Le riprese sono fatte con un movimento della macchina lento, le inquadrature afferrano frammenti di realtà; la macchina da presa fissa i volti degli uomini ma anche il gusto dell'epoca (il modo in cui sono vestiti, pettinati). Il film permette agli spettatori di diventare testimoni oculari di un'epoca che ormai non esiste più, che comprende sequenze dei due amici, seduti sul tetto del Théatre des Champs - Elysées. "Mentre si svolge la partita vengono ripresi un mezzo primo piano della testa di Duchamp con il comignolo sulla sinistra e una veduta aerea di Parigi sullo sfondo. A seguire viene ripresa una serie di primi piani di Duchamp sbigottito, ansimante per lo stupore, i capelli ritti in avanti per il vento. Si susseguono varie sequenze della scacchiera e delle mani di Duchamp e Man Ray, fino all'improvviso e potente spruzzo d'acqua di una canna che spazza via scacchi e scacchisti".

 

entr-acte.jpgIl film prosegue con delle immagini metaforiche che lasciano allo spettatore il compito di comporre la storia, unico elemento indicato dal regista è la volontà di trasmettere diverse fasi di realtà quotidiana, in cui la velocità, più o meno, determina e muta il significato dell'azione. Osserviamo come la pacata scena del funerale, si sviluppa in un crescendo di accelerazione che trasforma (attraverso il movimento) tutta la situazione, nel suo perfetto contrario, cioè diventando un paradosso di comicità. Infine, il tema dell'invisibile è documentato nell'ultima scena dove una bacchetta che simbolizza lo scorrere del tempo, come per magia, elimina la materialità dei corpi rendendoli invisibili.

 

 



duchamp-scacchi-1963.jpgDuchamp 1963.

 

 


 

GuglielMina Frau

 

 

 

 

 

[Rielaborazione del post originale e ricerche iconografiche e filmiche di Elisa Cardellini]

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

 

 

[1] M. Will Clifford, Einstein aveva ragione?, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 56.


[2] R. Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Il Mulino, Bologna 1992, pp.41-42.


[3] P. Cabanne, Ingegnere del tempo perduto, Multipla edizioni 1979, pp. 54-55.


[4] R. Barilli, op. cit. p. 134.


[5] M. Pezzella, Estetica del cinema, Il Mulino.

 

[6] M. Pezzella, Estetica del cinema, Il Mulino.

 


Link al saggio originale: 

La ricerca dell'invisibile in Marcel Duchamp

 

 

LINK ad un mio video su Marcel Duchamp:

 


 


 

 

 

 

 

 

Anémic Cinéma

 


 

 

 

 

 


  Entr'Acte, 1924, 1/2

 

 

 

 

 


  Entr'Acte 2/2

 

 

 

 

© 1985/2003 Parol - quaderni d'arte e di epistemologia

Condividi post
Repost0
13 febbraio 2011 7 13 /02 /febbraio /2011 18:12

 

 






006.jpg




 

 


     V

     ESECUZIONE




     Luciole dopo un lungo sonno si svegliò infine
alla vita.
     Le sembrò di aver sognato per lungo tempo ed aver fatto
sogni belli e brutti.
     Tastò i mobili, le tende per convincersi
che era tornata alla realtà.
     Le campane suonavano a martello disperatamente. Una grande
macchia gialla era attaccata dietro il campanile.
     Luciole balzò dalla sua sedia- Mirador stava
dunque per morire- tutti gli amici lo abbandonavano- la
fata Morgana era sparita-Dopo l’incidente nessuno
aveva potuto ritrovarla.




Supplicare il sindaco? –Ma era sprofondato in un
sonno pesante! Matassin era partito per un paese remoto alla ricerca dei costumi per la compagnia.
L’uomo Nero aveva l’influenza- il vecchio artista
troppo occupato a domare i suoi animali non voleva
riceverla.
Disperata Luciole si mise a piangere chiassosamente
per commuovere qualcuno.
L’innocente del villaggio venne allora a sedersi vicino
a lei- I suoi occhi brillavano- cantò…
Alla strana romanza Luciole trasalì- guardò
Il bambino- i suoi occhi consumati dalla febbre le
ricordarono altri occhi… dei rimpianti… la foresta
di Marly- Ed entrambi si incamminarono.
Ma sul margine della foresta, lei si fermò
spaventata!
Signore- questa musica da dove proviene?
L’innocente era scomparso.
Nella Casa del Sentiero vi era una grande
festa- Lei si avvicino lentamente, guardò dalla
finestra ed entrò.



Seduto sul tappeto, Gadifer aveva rinunciato ad ogni
piacere per sognare a suo agio.
Si ballava, si parlava della festa mancata e
dell’esecuzione vicina.
Luciole si avvicinò a Gadifer, si inginocchiò
accanto a lui sul tappeto, pose la sua fronte ardente sulle
sue mani giunte. Egli percepì il calore- prese la
testa nelle sue mani e guardò a lungo negli
occhi divorati dal dispiacere.
Come era possibile? – Luciole la selvaggia-
quella che sfuggiva come una biscia ad
ogni sguardo- quella che piangeva di disperazione ad
ogni scadenza- Luciole l’irreale, Luciole la
fiera era lì accanto a lui, implorandolo!
Tutto l’amore e tutta l’amicizia che aveva avuto
per lei, passarono come un incanto
davanti ai suoi occhi:
    Tu sai- tu hai capito- guarda- la mia testa
ingrigisce e non ho che 20 anni.
Alzò la testa, le sue ciocche di capelli
cadevano come digitali pendenti dal loro
stelo.




- Fratello mio
            Non ti ho fatto del male e tu mi
detesti- non ti ho amato e tu mi ami- aiutami
a morire.
Le sue braccia si posarono involontariamente intorno
al suo collo- e le sussurrò all’orecchio:
        Tendimi la tua mano
Dimmi il tuo pensiero
            mostrami la strada che bisogna seguire
Tra te e me c’è un abisso
La luna ed il sole si cercano da anni.
Lo sguardo di Gadifer non poteva staccarsi
dalla bocca dalle labbra serrate.
Non potendo più sopportare quegli occhi si
alzò bruscamente e chinò la testa al suolo.
Un bacio fraterno si pose sulla sua nuca- La
rinuncia era scritta su tutti i volti.
Dalla finestra aperta, l’innocente passò lentamente
La sua testa cantando:
        Domani all’alba…
                    La rondine…
Domani all’alba!... Era il giorno dell’esecuzione!



All’orizzonte la fata Morgana su un cavallo di
neve cavalcava verso l’avvenire.
Fuggirono senza chiasso attraverso una porta nascosta,
seguendo le tracce della fata.
Arrivati presso il pozzo guardarono dentro- Nemmeno
una goccia d’acqua- soltanto una piccola scala
irreale.
Scesero aiutandosi l’un l’altro sino
in fondo. Su di un mucchio di sassi, Mirador era sdraiato
e dava delle lezioni di scherma alle marionette
del grand guignol.
        -Ti porto un fratello-
                disse Luciole a Mirador,
                            -ti salveremo
Seduto sulla vera del pozzo, l’orso bianco aveva
ascoltato tutto. Una nuvola di sassolini si formò
sopra le loro teste.
    Dei raggi apparvero, legati alla fata Morgana
        _Sssst- Silenzio-
                    Disse,
            sono lì in alto, scendiamo più in basso.
Marciarono a lungo sino all’alba. Vicino



alla piazza della Chiesa, la fata scavò una grande
tomba nel terreno e vi seppellì il suo segreto.
Mattassin era tormato con i costumi – la
compagnia aveva raggiunto il suo apogeo; una ventina
di accoliti seguivano.
Ma c’erano delle persone che sussurravano-
l’innocente invaghitasi di Luciole aveva capito il pericolo
che la minacciava. Andava dall’uno all’altro cantando
la sua romanza e guardando a lungo negli
occhi coloro che credeva potessero capirla.
Era il suo modo di agire.
Gadifer seduto ai piedi del patibolo inseguiva,
con lo sguardo perso nel vuoto, una mosca luminosa
come la speranza.
Luciole si torceva le mani con disperazione, gli
Occhi fissi sull’astro.
Si era cambiato il pozzo con il patibolo. In cima
Alla catena al posto del secchio pendeva una pesante
Palla da giardino in rame. Una volta dato il segnale
-la palla sarebbe scensa sulla nuca del condannato.
La testa staccandosi
                sarebbe caduta in fondo al pozzo.



Ancora una volta la fata Morgana era sparita
dicendo cose incomprensibili a Gadifer
e a Luciole. Ma si sperava vederla ritornare
dopo l’esecuzione a prelevare il corpo e fuggire
con il suo fardello.
La campana a martello suonò- era il segnale! Coloro che
Sussurarono si salvarono- il sindaco gridò:
                                    GRAZIA!
L’innocente delirava bevendo le sue lacrime:
Io dimentico
Tu ti ricordi…...
Allo stagno di San-Cucufa
Il nenufaro si sfoglia
Il giorno…..
Un grande silenzio- il condannato si avvicinava.
La folla si affrettava verso lui- si voleva ascoltare
il suo ultimo canto.
Ah! senza l’astro e la fata Morgana che lo proteggevano-
Mirador non avrebbe suscitato l’invidia e avrebbe
potuto vivere in pace senza nuocere a nessuno-
Perché malgrado tutto- pensavano gli assistenti- egli
sapeva toccare l’anima!


Ma cos’era dunque- non aveva il suo abito
da condannato! –Voleva nei suoi ultimi istanti
sbalordire tutta la sua truppa?
O Matassin- commosso da vecchi ricordi-
gli avrebbe dato questo bel costume di Arlecchino-
per abbellire la sua fine!...
Stava per salire sulla scena o sul
patibolo?
Ma non camminava- non cantava;
era forse già morto?
Si aspettava nervosamente le sue grida di
disperazione- i suoi appelli al signore!
L’orso bianco si avvicinò da dietro e
ferocemente lo spinse con la zampa. Cadde ed andò
a urtare contro la vera del pozzo-
ancora un colpo ed era la fine. L’orso lo colpì
leggermente alla nuca; la testa si curvò- la
palla di rame scese lentamente. Il carnefice-
la bestia nera tirò la catena.
Ma la testa restò sporgente sul vuoto, non
staccandosi dal corpo- la folla ansimare
angosciata.


Un canto di primavera proveniva dal lato dell’Oriente
     Nella palla di rame
               l’occhio sorrideva malinconicamente
E le lacrime dell’innocente sulle pareti del pozzo
scivolavano formando dei ghiaccioli.
    Le digitali della foresta si misero a suonare-
il mondo si prosternò-
    Circondata da agnellini e caprette- la fata
Morgana giocava al grand guignol con Mirador.
    L’atleta apparve- il burattino allora cadde
nel pozzo.
    L’occhio nero dell’anemone si aprì stupito. Sulla
fronte del carnefice in lettere rosse era scritto:
                             FANTOMAS
Lo stratagemma e il sotterfugio della fata
                                                       erano compiuti.


 


 

 

 

 

 

 

[Traduzione di Elisa Cardellini

 

 Céline Arnauld, Giravolta, [Tournevire], 1919, "Condanna", 4^ parte.


 

LINK alla presente opera tradotta:

Tournevire

 

 

 

Condividi post
Repost0
18 gennaio 2011 2 18 /01 /gennaio /2011 11:16

 

 

 

alfred-jarry

 

La sintesi secondo Jarry


 


 


 

Essere e Vivere

Julien-Schuh---l-oeuvre-selon-Jarry---Figure-2.jpg  
Un testo matrice

Lo abbiamo visto, il campo della comunicazione simbolica genera una tensione tra una forma di idealismo platonico ed una forma di soggettività totale, tra la ricerca di un punto di riferimento divino, oggettivo e fisso, cardine dell'universo situato nel mondo delle idee, e l'affermazione del nulla del mondo, semplice illusione generata dal nostro intelletto, mutevole e incomunicabile. Jarry si inscrive perfettamente in questo movimento; i suoi primi mesi di iniziazioneletteraria lo vedono passare da una forma di idealismo tradizionale, una ricerca mistica da un punto di vista divino, alla definizione di un metodo per superare la tensione tra soggettività ed oggettività ponendo le condizione di una mistica relativa, che gli permetterà di definire le condizioni di ricezione dei suoi testi.

L-Art-Litteraire-copia-1.jpgIl testo Être et vivre [Essere e vivere], apparso in L’Art littéraire nel marzo-aprile 1894, può forse essere concepito come una matrice delle diverse teorie di Jarry. Questo testo pieno di contraddizioni reca in sé le principali tensioni che animano in seguito l'opera di Jarry- in cui, per dirlo in modo più obiettivo, si possono leggere queste tensioni in questo testo una volta che si conoscono gli sviluppi dell'opera di Jarry. Si tocca qui uno dei problemi principali dell'interpretazione: il semplice fatto di considerare un testo come facente parte delle opere complete di un autore modifica, attraverso questo contesto, il senso possibile che gli si può attribuire. Lo vedremo, la possibilità di questa forma di diffrazione semantica all'opera presso Jarry, che cerca di rendere i suoi testi anteriori i più polisemantici possibili, è precisamente ciò che interessa il giovane autore. Seguiremo dunque qui alcuni fili interpretativi possibili a partire di questo testo-nucleo, che Jarry sembra aver presente nello spirito quando scrive, e di cui il "Linteau" [Architrave] di Minutes de sable mémorial sembra il riflesso più cosciente.

Ma ancora una volta, non bisogna affatto meravigliarsi delle contraddizioni, dei paradossi o delle molteplici interpretazioni mutevoli che questo saggio autorizza: il senso di un testo non è fisso, e la creazione letteraria funziona egualmente attraverso la rilettura della sua propria opera da parte dello scrittore, la sua reinterpretazione, ed eventualmente la modificazione del suo senso- come scriverà  in "Linteau": "Tutti i sensi che vi troverà il lettore sono previsti, e mai li ritroverà tutti; e l'autore gliene può indicare, mosca-cieca cerebrale, di inattesi, posteriori e contraddittori". Questo testo è quasi un testo programmatico, nel quale Jarry pone degli elementi senza giungere ad articolarli: "I miei macchinari non sono costruiti; ma prima che l'Essere sparisca ne voglio notare i simboli". I "macchinari" che saranno i suoi testi non sono infatti ancora pubblicati, ma Jarry mette già qui a punto dei "simboli", degli elementi disponibili per diverse interpretazioni possibili, che tenterà di motivare e di riattualizzate nelle sue opere posteriori.

 


"Être et vivre". L’Art littéraire, nuova serie, n° 3-4, mars-avril 1894, p. 37-41.



m. ubu: Vi piace parlare così, signore, ma state parlando ad un grande patafisico.


achras: Scusate, signore, come ha detto?...


m. ubu
: Patafisico. La Patafisica è una scienza che abbiamo inventato, e di cui il bisogno si faceva generalmente sentire.



Écho de Paris
du 23 avril 1893.


 

In principio era il Pensiero? oppure in principio era l'Azione? Il Pensiero è il feto dell'azione, o piuttosto l'azione ormai giovane. Non introduciamo un terzo termine il Verbo: perché il Verbo non è che il Pensiero percepito, sia da colui che essa abita, sia dai passanti dell'esteriorizzato. Ma notiamolo tuttavia: perché fatto Verbo il Pensiero è fissato in uno dei suoi istanti, ha una forma- poiché percepito- non è dunque più embrione- più embrione dell'azione. -L'Azione, occorre che  all'inizio sia, per lo svolgimento degli atti del presente e del passato. Essa era, essa è, essa sarà nei minuti della durata, attraverso l'indefinito discontinuo. -Il Pensiero non era in principio, perché È fuori del tempo: esso secerne il tempo dalla sua testa, il suo cuore ed i suoi piedi di Passato, di Presente e di Futuro. Esso è in sé e per sé, e scende verso la morte scendendo attraverso la Durata.

 

"È meglio vivere", rispondo a tutto gli idolatri della moda. Lesteven, morto in bellezza volontaria, tu li rifiuti con il tuo balzo scimmiesco; e voi, scheletri che annusate mitrie vescovili con i vostri nasi piatti, sdegante questa banalità, abituale ed allo snob ed al borghese sferico. Non vivete- malgrado la testimonianza dei terrorizzati che vi proclamano loro passati compagni di strada-, non lo negate, non vivete, non c'è del male in questo, voi fate di meglio, voi Siete.

 

L'Essere, sotto-supremo dell'Idea, perché meno comprensivo del Possibile, è ipoindefinibile. Accontentati, cervello mio dai lucenti lobi, di questa intuizione, la fraternità dell'Essere e dell'Eternità. L'Eternità, l'incontrario del Vivere, lo distrugge. Dunque  anche l'Essere, pari all'Eternità.

 

Ora, definiamo il suo antipodo provato, il Vivere.

 

Vivere è atto, e le sue lettere non hanno che il senso del delirio di un maggiolino rovesciato. Vita uguale azione di succhiare il futuro attraverso il sifone ombelicale: percepire, e cioè essere modificato, rafforzato, rivoltato come un guanto parziale; essere percepiti anche, cioè modificare, distendere tentacolarmente il proprio corno ameboide. Perché è e dunque si sa che i contrari sono identici.

 

ESSERE, slacciare il basto di Berkeley, è reciprocamente non percepire o essere percepiti, ma che il caleidoscopio mentale iridato SI pensi.

 

VIVERE: discontinuo, impressionismo seriale.

 

ESSERE: continuo, perché inesteso (non si districano più i componenti di 0 dall'∞).

 

Di conseguenza:

 

Quando l'essere diventa il Vivere, il Continuo diventa il Discontinuo, L'Essere sillogisticamente il Non-Essere. Vivere = cessare di Esistere.

 

VIVERE, ricordiamolo, va inteso vita di relazione, vita nella custodia di chitarra del tempo che ne è lo stampo; ESSERE, vita in sé, senza queste forme anortopediche. Vivere è il carnevale dell'Essere.

 

Un vivente interseca la la vostra Perennità: verserà il vino del suo Tempo nel vostro Cristallo fuori-forma. Non vi modifica come possibile soltanto se - contrariamente alle cose note- una sola particella di lui vi unga (abitudine forse di Mitridate).

 

Assimilatelo, affinché il vostro timore cessi.

 

O che sparisca. Perché l'Essere ed il non-Essere sono molto vicini, accomunati come sono da un elemento. Insinuato in voi, sarà tramutato nella vostra sostanza; espulso fuori di voi, sarà creduto vostra escrezione.

 

L'Anarchia è; ma l'idea scade se si risolve in atto; l'Atto dovrebbe essere imminente, quasi* asintoto. [*Sempre. E per questo nessun altra preoccupazione che di intrattenere il forno degli Atti]. Vaillant predestinato dal suo nome volle vivere la sua teoria. Invece del Mostro inconcepibile, fu palpabile ed audibile la caduta non in spaccata di uno dei sonagli del suo allegro berretto. E tuttavia egli fu grande. -Benché fosse contrario all'Essere.  - Perché l'Essere è migliore del Vivere. Ma- casuistica lecita - per pace della mia coscienza glorificando il Vivere voglio che l'Essere sparisca, risolvendosi nel suo contrario. Giorno e notte successivi che si evitano abilmente, semi-toni, coincidenti li ho in abominio; e riverisco l'ascensione luminosa soltanto di uno dei due.

 

I miei congegni non sono costruiti; ma prima che l'Essere sparisca voglio appuntarmene i simboli - e non cimbali, malgrado la rima futura, come ha rischiato di scrivere (e con ragione, come ben saprete) la mia penna fallace - che per i bambini - fu un buon padre ed un buon sposo- si inciderà sulla sua pietra tombale.

 

Simboli dell'Essere: due Occhi Nictalopi, cimbali infatti appaiati, di cromo circolare, perché identico a se stesso; - Un Cerchio senza circonferenza, perché inesteso; l'Impotenza dei pianti di un cuore, perché eterno

 

Ogni omicidio è bello: distruggiamo dunque l'Essere. - Con la sterilità. Ogni organo in riposo si atrofizza. L'Essere è genio: se esso non eiacula, muore. Ma le Opere ex-altano le barriere, benché io sdegni di tendere loro, alla loro caduta, grazie alla mia voce l'ansietà dei timpani altrui. -Con lo stupro; inconsapevole dell'ambiente e della frequentazione degli Uomini, della lettura delle Opere e lo sgaurdo circolare delle Teste. Benché l'azione e la vita siano scadimento dell'Essere e del Pensiero, esse sono più belle del Pensiero quando consapevoli o non esse hanno ucciso il Pensiero. Dunque Viviamo e con ciò saremo Maestri. - Laggiù, sugli scaffali, esse non vivono affatto, ma il loro pensiero non recita affatto per essi- che esso soltanto può capire- Genio, sui tre circoli stridulenti dell'avorio del loro ventre irreale?

 
   
Analisi


jarry--Henry--cafe-Terminus.jpgIl numero di L’Art littéraire di marzo-aprile 1894 è dedicato ad una riflessione collettiva sull'anarchismo, dopo l'attentato di mars-avril 1894 di Émile Henry al café Terminus il 12 febbraio. La domanda che si pongono i letterati tentati dalle dottrine libertarie è la seguente: bisogna passare all'azione? Louis Lormel spiega che gli scrittori non sono "anarchici nel senso di Émile Henry", e che poco importa loro "dell'affrancamento del maggior numero": essi sono individualisti e "nemici del popolo", per riprendere il titolo dell'opera teatrale di Ibsen che era stata letta alla luce delle dottrine anarchiche. È questa domanda dell'implicazione politica degli artisti che Jarry riprende nel suo saggio, domanda che era già stata posta, in termini simili, da Baudelaire: "azione e intenzione, sogno e realtà" sono due forse contraddittorie dell'Homo duplex; l'azione, politica o sociale, tende a negare l'ideale, essa "non è la sorella del sogno". Baudelaire aveva ripreso questo dilemma, sotto un'altra forma, in la Chambre double dei Petits Poèmes en prose, dove si pone la stessa opposizione che in Jarry tra Pensiero e Vita, il sogno senza forma del laudano con la vita abominevole. Nella camera spirituale, "non ci sono minuti, non ci sono secondi! Il tempo è scomparso; è l'Eternità a regnare"; una volta che il narratore ricade nella realtà, "l'implacabile Vita" riprende il sopravvento, ed "il Tempo regna".

 

Gourmont-Vibert.jpg"Essere e vivere" si iscrive dunque in una tradizione di messa in parentesi dello scrittore in rapporto alla vita della città. Gourmont era egli stesso ritornato su questo problema nel Mercure de France nel marzo del 1894, ponendo la domanda del valore "morale e sociale" dell'idealismo e della sua possibile realizzazione effettiva nell'anarchismo o il dispotismo in un articolo intitolato, Dernière Conséquence de l’Idéalisme [Ultima Conseguenza dell'Idealismo]. Ora è soprattutto al suo mentore che Jarry impronta le sue riflessioni, perfino la progressione del suo pensiero- ne è prova la citazione testuale di Gourmont in "Essere e vivere": la "Vita di relazione" è il titolo del secondo capitolo dell'articolo di Gourmont. Riassumiamo rapidamente, per meglio afferrarlo, il testo di Jarry, che si inscrive deliberatamente attraverso la sua epigrafe nella categoria delle riflessioni patafisiche (senza che questo termine sia ancora definito).

 

Jarry comincia con l'opporre Pensiero e Azione, Essere e Vivere, in una riflessione improntata ad un vocabolario filosofico molto marcato. Il pensiero sembra a prima vista precedere l'azione: è l'azione allo stato fetale, una specie di azione potenziale, ancora non realizzata, libera di schiudersi in tutte le direzioni. Ma ecco un primo paradosso: l'azione precede il pensiero perché il Pensiero è fuori del tempo. Forma assoluta immanente, Il Pensiero è eterno, e si oppone con ciò all'Azione; che è vita nel mondo. La proposizione si riduce in seguito all'Essere, che è una forma inferiore del Pensiero o dell'Idea, inferiore perché già determinata, mentre il Pensiero è pura potenzialità. La morte, una delle forme dell'Essere, è preferibile alla vita, perché pone gli esseri fuori del tempo e li fa sfuggire alla corruzione. L'Essere si oppone al Vivere come il Pensiero all'Azione: l'Essere è un modo di esistenza inesteso, immanente, continuo, mentre il Vivere è un modo d'esistenza nella relazione all'altro ed al mondo. Ritroviamo qui un elogio dell'egoismo dello scrittore simbolista, che rifiuta di mischiarsi nella folla per non turbare l'unità della sua monade perfetta: Jarry, attraverso l'opposizione tra Essere e Vivere, non fa in definitiva che ripetere gli schemi delle condizioni di comunicazione secondo Villiers o Gourmont.

 

Il seguito del saggio permette infatti di comprendere che tutti questi discorsi astratti hanno come scopo di valorizzare la solitudine dello scrittore, costruendo un'immagine dell'autore come anarchico del pensiero, puro spirito immanente che rifiuta di confondersi con l'altro, incarnazione della parola orfana. Con l'immagine del "Cristallo fuori forma", Jarry simbolizza il lettore che accetta di ricevere il "vino" del pensiero d'altri in sé; si tratta di proporre un metodo per evitare questa penetrazione dell'altro in sé, per impedire un pensiero esterno di turbare l'unità del suo spirito. L'influenza di Gourmont sembra qui evidente: nell'articolo da cui Jarry ha tratto l'espressione "vita di relazione", Gourmont scrive:


Lasciando l'io che mi è noto (almeno per definizione), voglio, per istruirmi e sapere come e da cosa sono limitato, studiare l'oggetto cioè l'ipotesi del mondo esterno; l'oggetto si intreccia a me ma nel modo dell'acqua che entra nel vino, modificandolo, ed una tale modificazione o anche meno negativa, o anche positiva, non può lasciarmi indifferente.
Ritroviamo qui l'influenza del mondo esterno, bissuta come una penetrazione (secondo la stessa metafora del liquido versato in sé presso Jarry) che bisogna imparare a padroneggiare. Il pensiero anarchico valorizza l'egoismo dell'io solitario, che rifiuta ogni autorità; ma Jarry rifiuta il passaggio all'azione anarchica, perché la'zione è una caduta nella durata ed una negazione dell'idealismo e dell'unità di spirito.

Ma attraverso un rovesciamento di prospettiva fondato sull'idea che "i contrari sono identici", Jarry giunge a glorificare il Vivere in rapporto all'Essere. Si tratta di vivere per dominare i deboli. La vita distrugge l'Essere egoista traendolo dalla sua immanenza. È qui che il vero soggetto del saggio di Jarry diventa diventa chiaramente visibile: l'opposizione tra Essere e Vivere è un'opposizione tra il monadismo spirituale e la comunicazione lettereria. Vivere, è scrivere ed essere interpretato, è subore "la lettura delle Opere e lo sguarda circolare delle Teste". Ora, questo movimento che egli respingeva all'inizio del saggio è qui glorificato, perché essere letti, è trasformare certamente il proprio Me, ma è anche imporre la propria forma ad altri, ed infine dominare. L'articolo di Remy de Gourmont sull'"Ultima Conseguenza dell'Idealismo"è una volta di più anche il migliore commento al testo di Jarry; vi ritroviamo il movimento che va dall'egoismo immanente al dominio. Dopo essersi interrogato nell'introduzione sul problema del valore dell'idealismo assoluto, Gourmont, in un primo capitolo intitolato "Homonculus-Hypothèse" [Homunculus-Ipotesi], pone di fronte a lui l'ipotesi dell'altro, al contempo omuncolo (il piccolo uomo dell'alchimia) creato dal suo spirito ed altro spirito tanto assoluto quanto il suo. Gourmont rimette in causa il monadismo che sembrava anche essere il suo nei suoi saggi precedenti; la vita umana impone delle relazioni con altri spiriti. Non vi è che una sola monade che possa fare a meno di ogni comunicazione, perché contiene tutto in sé, Dio; il pensiero umano morirebbe in mancanza di comunicazione:

Per l’intelligenza limitata, le condizioni del pensiero sono tutte diverse; essa ha bisogno dell'eccitazione dell'urto esterno. Ridotta a sé, èil prigioniero del segreto. In questo caso, il pensiero si riassorbe e, non vivendo più che autosostanzialmente, si divora sa sé e si risolve nel non-pensiero. Il pensiero d'altri è lo specchio stesso di Narciso, e senza il quale si sarebbe ignorato eternamente.
Da qui la necessità, analizzata nel secondo capitolo, "Vie de relation" [Vita di relazione], dell'instaurazione di un rapporto di dominio tra l'Io e l'altro:

Nietzsche, il negriero dell'idealismo, il prototipo del neronismo mentale, riserva, dopo tutte le distruzioni, una casta di schiavi sulla quale l'io del genio può provarsi la propria esistenza, esercitando ingegnose crudeltà. Anch'egli vuole che lo si conosca e che si approvi la sua gloria di essere Frederich Nietzsche, - e Nietzsche ha ragione.

Dio, avendo pensato il mondo, lo creò, perché, creandolo, esteriorizzasse il pensiero attraverso il quale  sarebbe a sua volta stato pensato e creato. Dio stesso ha bisogno di gloria.

L'uomo più umile ha bisogno di gloria: ha bisogno della gloria adeguata all asua mediocrità. L'uomo di genio ha bisogno di gloria; ha bisogno della gloria adeguata al suo genio. [...] Pensato dagli altri, l'io acquisisce una coscienza nuova e più forte, e moltiplicata secondo la sua identità essenziale. [...] Lo Stilita vive solo sulla sua colonna, ma ha bisogno della folla di pellegrini che si accalca ai piedi della sua colonna; ha bisogno del saluto di Teododio; ha bisogno della vana freccia di Teodorico.

Senza il pensiero che lo pensa, lo Stilita non è che una palma nel deserto.

 L’immagine sulla quale Gourmont chiude il suo articolo è essenziale, e Jarry sognerà anch'egli su questa elevazione del saggio su una colonna, al riparo dalla folla e che dispone di uno sgurdo a strapiombo, ma necessitante questa folla per convalidare il suo dominio.

Come si vede, Jarry si accontenta nell'ultimo paragrafo di "Essere e vivere" di riformulare le idee di Gourmont: la morte del pensiero narcisistico ripiegato su se stesso diventa quello del Genio-Fallo che "non eiacula affatto"; e la'zione è finalmente valorizzata perché vivendo, "saremo Padroni". "Essere e vivere", sotto il suo aspetto di elucubrazioni metafisiche, è dunque una riflessione sulla comunicazione letteraria la cui conclusione rimane in sospeso:  tra silenzio e comunicazione, tra monadismo intellettuale e dispersione del suo Io, Jarry esita. I testi che egli produce tra questo saggio e la prefazione di Minutes de sable mémorial [Minuti di sabbia. Memoriale] sono altrettante variazioni su questo soggetto, che tentano di definire una terza via per conservare allo stesso tempo la stabilità dell'Essere ed il dinamismo del Vivere, per godere di uno spirito divino imponendo ai lettori la sua volontà, definendo una comunicazione letteraria fondata sulla violenza e la mistificazione.

Malgrado la comprensione del tema principale di questo saggio, molti punti restano oscuri: qual è la funzione esatta di immagini come quelle del Cristallo fuori forma, degli scheletri, dei feti che sembrano apparire alla fine del saggio, su dei vasi posti su delle scaffalature nella camera del poeta- a meno che non si tratti del crocifisso? Cosa designano esattamente i "Simboli dell'Essere"?

Altrettante immagini che Jarry enumera senza prendersi la pena di spiegarle. Ora ognuna di queste immagini fa in seguito l'oggetto, nei suoi testi successivi, di sviluppi che permettono di dispiegarli e di proporli , attraverso metafore interposte, tutto un sistema di comunicazione. Jarry utilizza "Essere e vivere" come una specie di punto di riferiomento implicito del suo pensiero, e reinterpreta egli stesso il suo saggio per evidenziare una visione delle relazioni tra l'autore, il testo ed il lettore, a partire dai tre "Simboli dell'Essere".

[Traduzione di Elisa Cardellini]


LINK al post originale:

LINK al testo on line di Jarru Être et Vivre:

LINK a saggi della stessa categoria Avanguardia & dintorni:
Condividi post
Repost0

Presentazione

  • : DADA 100
  • : In attesa delle giuste celebrazioni che vi saranno nel mondo colto per il primo centenario del grande movimento Dada di arte totale, intendiamo parlarne con un grande anticipo di modo che giungendo la fatidica data molti non siano presi alla sprovvista grazie al mio blog.
  • Contatti

Profilo

  • Max
  • Amo l'arte in generale, di ogni tempo e cultura storica, soprattutto le avanguardie artistiche e le figure più originali ed eterodosse.
  • Amo l'arte in generale, di ogni tempo e cultura storica, soprattutto le avanguardie artistiche e le figure più originali ed eterodosse.

Archivi

Link