Secondo Blachère questa rivelazione del modello nero corrisponde alla doppia natura del poeta dadaista, in cui troviamo allo stesso tempo il gusto per lo scandalo, dell'iconoclastia, e una propensione per celebrare la bontà originaria. Questo dualismo non comporta d'altronde incoerenza o rottura: "Non bisogna immaginare Tzara infelice; e tormentato. Gli scandali destinati a traumatizzare il pubblico borghese non sono che una delle due facce della sovversione che Tzara intende scatenare nell'universo; l'altra faccia di questa sovversione è costituita dalla celebrazione di una vita diversa, migliore, accessibile attraverso l'imitazione dei modelli primitivi. La forza dello scandalo è sempre sottinteso dalla credenza nel futuro radioso. L'apparente antinomia tra gli atteggiamenti provocatori, aspri, e la formidabile energia raggiante che si staglia da alcuni proclami, si risolve nell'unità del ridere di Tzara, in se stesso simultaneamente, beffa e gioia. Questa beffa e questa gioia opposte a una civiltà europea che non considera nulla se non il "serio", riassume bene il contenuto dell'avventura dada ai suoi inizi; Tzara è sovversivo- e per esserlo di più, con maggiore efficacia, utilizza la sua conoscenza del mondo nero". (Jean Claude Blachère, Op. cit.).
Tzara utilizza a volte il modello nero come strumento di scandalo, a volte proietta in questo stesso modello le sue aspirazioni fondamentali, il suo sogno umanista. L'arma più spettacolare fu quella delle "serate dada"; i dadaisti apprezzarono molto la scenografia di personaggi neri, di situazioni comiche in cui un Africano era coinvolto. Introdurre il nero come elemento di spettacolo è, in sé, a quest'epoca, una procedura sovversiva, che non può sfociare che sulla derisione. Un "negro", non è una cosa "seria". Non ci si aspetta da lui che svolga altro ruolo che quelli tradizionali: in Africa, è "l'indigeno" vestito di fibre. In Europa, è il pugile; in entrambi i casi, un selvaggio, un bruto che si disprezza o che si loda per questo motivo. Dada gioca così con l'ambiguità del primitivista facilmente razzista anche presso gli autori più avvertiti e in ogni caso presso il pubblico: "C'è dunque un'ambiguità fondamentale nelle serate nere'. Un Nero travestito da presidente della Repubblica o come compositore di musica, ciò scatena le risate degli spettatori del 1920; tuttavia le risate dei dadaisti è di una tutt'altra natura, poiché ridono nulla, non di quel che essi rappresentano, ma della bestialità del pubblico, che essi hanno scientemente provocata. Quando evocheremo il contenuto delle serate nere, non dobbiamo perdere di vista che è lo spettatore che è beffato, il borghese e le sue abitudini mentali: non (almeno per Tristan Tzara) il personaggio nero". (Jean Claude Blachère).
Lo scandalo massimo sarà ottenuto quando i dadaisti "travestono" il Negro in alcuni personaggi il più distante possibile dalla condizione nera- o almeno dall'idea che gli spettatori borghesi del 1920 se ne fanno. Così i dadaisti presentano delle poesie nere quando l'Occidente non immagina che si possa essere dei Negri e poeti; allo stesso modo, essi inventano dei Neri generali, presidenti della Repubblica o compositori d'opera. Evidenziamo che, in tutti questi esempi, le funzioni attribuite ai Neri sono quelle che la civiltà occidentale pone in primo rango, e che rifiuta alle civiltà dette primitive. Si tratta, infatti, per i dadaisti, di far esplodere la sfera delle comodità intellettuali e delle certezze morali. L'universo bianco d'inizio XX secolo ha emesso una filosofia ad uso delle "colonie", che sono dichiarate terre d'ignoranza e di barbarie. Mostrare un Nero poeta o compositore di musica, è fare molto di più che scandalizzare il borghese, è mettere in causa l'ordine delle cose, è far vascillare quell'universo. Ad un Occidente che vuole credere alla nobiltà dell'Arte e della Poesia ufficiali, i dadaisti oppongono i loro spettacoli in cui la "poesia" è ridotta a grida inarticolate, in cui il quadro è cancellato sotto gli occhi degli spettatori. E Tzara esulta invocando ancora una volta le maschere di Janco "lo scandalo diventa minaccioso, dei gruppetti si formano spontaneamente nella sala che accompagnano e moltiplicano il potente gesto di urla e l'orchestrazione simultanea (...) scatenano del tumulto uragano vertigine sirene fischi bombardamenti (...) Nero Cacadou (...) asfissia la rabbia del pubblico. Vittoria definitiva di Dada".
Eppure tutto non era soltanto stravaganza, derisione negativa in questi spettacoli. La sovversione nera, che mira innanzitutto a introdurre i fermenti della dissoluzione nelle tranquille certezze del mondo bianco, è stata per Tzara un mezzo per "sovvertire" se stesso, spogliare il vecchio uomo per cercare di trovare una personalità autentica. Henri Béhar scrive: "Malgrado la sua negazione, che non era che apparente, Dada spingeva affinché l'Europa prendesse in considerazione la cultura nera autentica, non per una motivazione esotica, ma per ritrovare l'espressione della purezza. Gli attori improvvisati si videro imporre le loro gesta, le loro danze, le loro grida, attraverso le maschere di Marcel Janco, ispirate alle maschere d'Africa e d'Oceania. Così, abbandonavano una parte della loro personalità, diciamo la vernice della civiltà, a profitto di potenze occulte emananti da loro stessi". C'è dunque un'utilizzo positivo degli spettacoli neri, tanto più che lo stesso sketch ha, simultaneamente, un valore di scandalo e un valore d'esempio. Rendere l'uomo migliore, innanzitutto eliminandone (attraverso la risata) la 'patina della civiltà', poi fornendogli il modello nero di una vita libera, in cui l'anima e il corpo non sono mai in divorzio.
C'è anche un primitivismo letterario, stilistico presso Tzara. L'azione per i dadaisti congiunge sempre il verbo e il gesto, lo spettacolo e la poesia. La mimica nera si accompagna dunque ad un tentativo per ritrovare a livello dell'espressione le caratteristiche della mentalità primitiva, dell'uso per Tzara di un materiale verbale di origine nera, allo scopo di rigenerazione del linguaggio in un vasto movimento di ricerca di una nuova lingua per la poesia. Leggendo, ricopiando e pubblicando delle "poesia nere", trova già in questi testi le soluzioni che cerca per la sua propria poesia. Il linguaggio nero - che sia l'Ewhé del Togo o Maori della Polinesia, racchiude agli occhi e alle orecchie di un occidentale del 1920, una fortissima dose di estraneità, di esotismo (come ogni cosa proveniente dal mondo nero), un potere di sovversione applicato al linguaggio poetico tradizionale. Che sia per l'uso di parole nere inserite in un testo in francese, la presentazione di poesie redatte con l'aiuto di parole nere, in cui ogni significato è dunque abolito, l'uso di una sintassi che si sforza di riprodurre le caratteristiche di una sintassi detta primitiva. "Si tratta di introdurre nel cuore stesso della lingua francese, nella sua espressione più sottile e più nobile: la poesia, degli elementi scelti in funzione del loro grado di estraneità: dei rumori, delle grida, delle parole nere (a proposito delle quali, d'altronde, l'opinione razzista del 1920 non è lungi dal pensare che siano inarticolate!)".
il sale si raggruppa in costellazioni di uccelli sul tumore dell'ovatta
nei suoi polmoni gli asterischi e le puntine si bilanciano
i microbi si cristallizzano in palme di muscoli bilancieri buongiorno senza sigaretta tzantzantza ganga
bouzdouc zdouc nfoùnfa mbaah mbaah nfoùnfa
macroystis pyrifera abbracciare i battelli chirurghi dei battelli cicatrice umida pulita
carezza delle luci abbaglianti
i battelli nfoùnfa nfoùnfa nfoùnfa
gli affondo i ceri nelle orecchie gangànfah helicon e pugile sul balcone il violino dell'hotel in baobab di fiamme le fiammesi sviluppano in formazioni spugnose
le fiamme si sviluppano in formazioni spugnose
le fiamme sono delle spugne ngànga e colpite
le scalesalgono come il sangue gangà
le felci verso le steppe di lana mio rischio verso le cascate
le fiamme spugne di vetro i pagliericci ferite pagliericci
i pagleiricci cadono wancanca aha bzdouc le farfalle
le forbici le forbici le forbici e le ombre
le forbici e le nuvole le navi
il termometro guarda l'ultra-rosso gmbabàba
Ma il poeta andrà oltre. Tzara pubblica nel novembre del 1918 (sulla rivista Sic) un'importante Nota sulla poesia nera. Tutte queste riflessioni critiche conservano il loro potere sovversivo e anche lo "stile" dada dei primi tempi. Ma ciò che è notevole è il nuovo orientamento che Tzara dà loro: esse appaiono tutte come dei tentativi di definizioni di un'arte e di una poesia nuove; esse contengono tutte un aspetto costruttivo. Dada intraprende a nominare i suoi valori e di costruire la sua teoria sulla natura dell'arte e della poesia e in questa ricerca, l'analisi dell'arte nera e della poesia nera occupa un posto capitale.
"Fissare al punto in cui le forze si sono accumulate, da dove il senso formulato scaturiva, l'irraggiamento invisibile della sostanza, la relazione naturale ma nascosta e giusta, ingenuamente, senza spiegazione, ingenuamente. La bellezza di arrotondare e regolare, in forme, in costruzioni, le immagini secondo i loro pesi, colore, materia, - o di sistemare pianamente i valori, le densità materiali e durevoli. Senza subordinare. Classificazione nelle opere comiche sanzionate negli accessori. (O, mio cassetto numero ASSOLUTO).
Ho paura di entrare nelle case in cui i balconi, le "decorazioni" sono accuratamente attaccate ai muri. Eppure il sole, le stelle continuano a vibrarevibrano liberamente nello spazio ma ho paura di identificare le ipotesi esplicative (probable asfissiante) ai principi della vita, l'attività, la certezza. Il coccodrillo cova la vita futura, la pioggia cade per il silenzio vegetale; non si è creatore per analogia; la bellezza dei satelliti - insegnamento di luce- ci soddisferà perché non siamo Dio che per il paes di nostra conoscenza nelle leggi che viviamo l'esperienza su terra, sui due lati del nostro Equatore, nelle nostre frontiere: esempio perfetto dell'infinito che possiamo controllare- la sfera.
Arrotondare e regolare in forma, in costruzione, le immagini secondo il loro pesi, colore, materia, - o sistemare pienamente i valori, le densità materiali e durevoli con la decisione personale e fermezza innamovibile della sensibilità, comprensibilità adeguata alla materia trasformata, molto vicina alle vene e sfregantesi in sofferenza per la gioia presente, definitiva. Si crea un organismo, quando gli elementi sono pronti alla vita. La poesia vive innanzitutto per le funzioni di danza, religione, musica, lavoro".
A partire dal 1917, parallelamente agli happening dada, il poeta intraprende dunque una riflessione critica attraverso la pubblicazione di alcune note sull'arte nera e la poesia. Il problema che occupava i dadaisti era di non separare l'arte e la vita, di preservare per ogni forma di espressione (orale, scritta, dipinta, scolpita, mimata) l'essenziale libertà del creatore. Tzara, per evocare i meccanismi della nascita di un'opera, pone in risalto i temi dello slancio, della spontaneità, della forza vitale che sgorga dal caos primordiale, dove non c'è posto per i partiti presi, le idee preconcette, i "piani" e altre forme di organizzazione decise in precedenza. Questo fermento, questo slancio sono dunque le condizioni dell'Arte: "Vigore e sete (...): la poesia". La poesia sorda, prende forma da un caos, da un fervore vitale è un fenomeno di cristallizzazione. "Si crea un organismo quando gli elementi sono pronti alla vita". Tzara, come Artaud cercherà di riconoscerne le tracce in una lingua essenziale di simboli, incisi sulle pietre, i cristalli o le conchiglie. Come creare, cioè dare a un oggetto o alla parola una forma tale che sia unica, distinta da tutti gli altri oggetti e da tutte le altre parole, e allo stesso tempo fare che quest'oggetto, questa poesia recitata o scritto, appaia come una delle cose della vita di tutti i giorni? L'artigiano nero, che crea una maschera bella e efficace (le due nozioni sono indissociabili) dà la risposta; ciò che egli fa è l'espressione stessa della vita, indispensabile agli uomini. L'artista è un creatore: sa lavorare in un modo che diventa organico". Come indica la nota 12 precedentemente citata, il lavoro creatore appare come lo sbocco di un dialogo permanente tra il caos e l'ordine, il disordine e la costruzione, la vitalità primordiale e l'ascetismo.
La vera poesia è dunque quella che scaturisce da un'attività spontanea dello spirito e questa poesia, quest'atteggiamento poetico dello spirito, caratteristico secondo Tzara della cultura nera, costituisce allo stesso tempo uno dei tratti maggiori di ciò che si chiama, dopo Jung, il "pensare non-diretto". Si vede bene infatti che la poesia di dada, così come l'immagine della poesia nera che si faceva dada, si collega al pensiero non-diretto: l'uno e l'altro privilegiano il sogno e la "fantasticheria diurna", il pensare fantasioso e immaginativo, rinnegano la logica, e discorrono per disarticolare il discorso. "In uno studio in preparazione: Du Rêve dans la pensée des peuples primitifs [Del sogno nel pensiero dei popoli primitivi], mi propongo di dimostrare che il pensare detto non-diretto è a tal punto quello dominante di ciò che impropriamente si è chiamata la "mentalità primitiva" che sarebbe possibile prospettare uno stato puro di quest'ultima in cui la rottura che rappresenta per noi il passaggio dallo stato di sogno a quello di veglia sparisce completamente".
La riflessione di Tristan Tzara sull'umanesimo nero lo convince dunque che il mondo nero ha posseduto - e forse possiede ancora- il segreto di un atteggiamento in cui il "vero e il falso cessano di essere percepiti contradditoriamente, in cui la ragione non respinge quest'altra metà di noi stessi che costituisce l'immaginario". L'idea capitale di Tzara, quella che non smetterà più di orientare tutta la sua azione e tutta la sua opera, è che rimane possibile, per l'Occidente, di tener conto di questo valore chiave della civiltà nera. È non soltanto possibile, ma urgente, reintrodurre il "pensare non-diretto", di restituirgli il suo posto - e sarà dapprima per il poeta, il compitodi mettersi all'ascolto di tutte le forme di poesia - attività dello spirito, di "oggettivare la poesia latente" secondo i termini di Henri Béhar. Si tratta di procurare alla civiltà occidentale (di cui sin dal 1916, Dada aveva percepito i segni di sfacelo) la nuova dimensione spirituale che essa ha dimenticato privilegiando la macchina, il progresso scientifico: "Teoricamente, possiamo ammettere che, così come una mentalità primitiva è potuta esistere, la cui caratteristica è stata il pensare non-diretto relativamente puro, ciò che per noi è difficilmente concepibile, un nuovo stato potrebbe nascere in una sociatà comunista, in cui tutti i rapporti di valore sarebbero nuovi, uno stato poetico che sarà dominato dal pensare non-diretto sovrapposto alla struttura della civiltà e alle sue conquiste indistruttibili. Non si tratta più, per noi, di tagliare qualcosa e tornare indietro, a uno stato primititivo ad esempio, come alcuni autori del XVIII secolo volevano, ma di stabilire una sovrastruttura d'ordine psichico su una massa esistente".
Nel 1931, Tzara sperava che la "società comunista" avrebbe provocato il passaggio dal pensiero-diretto al pensiero non-diretto. Degli avvenimenti (come l'invasione dell'Ungheria) gli fecero cambiare parere più tardi. Ciò che rimane è il legame che Tzara ha sempre stabilito tra i valori del mondo nero e il salvataggio del nostro mondo. "L'arte nuova è in prima linea: concentrazione-angoli della piramide verso il punto del vertice che è una croce; con questa purezza abbiamo deformato, innanzitutto, decomposto l'oggetto, ci siamo avvicinati alla sua superficie, l'abbiamo penetrata. Vogliamo la chiarezza che è diretta. L'arte si raccoglie nei suoi campi, con i suoi mestieri speciali, nelle sue frontiere. Le influenze di natura straniera, che si intrecciavano sono i brandelli di una fodera del Rinascimento, impigliatasi ancora all'anima del nostro prossimo, perché mio fratello ha l'anima dai rami appuntiti neri d'autunno.
Mio Fratello è ingenuo e buono e ride. Mangia in Africa e nei braccialetti delle isole oceaniane. Concentra la sua visione sulla testa, la taglia in legno di ferro, con pazienza, e perde il rapporto convenzionale tra la testa e il resto del corpo. Il suo pensiero è: l'uomo cammina verticalmente, ogni cosa della natura è simmetrica. Lavorando, le relazioni nuove si dispongono per gradi di necessità; da questa purezza nacque l'espressione.
Dal nero attingiamo la luce. Semplice ricca. Ingenuità luminosa. I materiali differenti bilancia della forma. Costruire in gerarchia equilibrata. Occhio: bottone, apriti largo rotondo appuntito per penetrare le mie ossa e la mia credenza. Trasforma il mio paese in preghiera di gioia d'angoscia. Occhio d'ovatta scorri nel mio sangue.
(Sic, n° 21-22, Parigi, settembre-ottobre 1917).
"L'opera d'arte non è un semplice oggetto di divertimento. Eppure numerosi sono coloro che ancora oggi hanno preso il partito di soddisfare un'affermazione del genere. L'opera d'arte tenta non soltanto di staccardi dalle deboli condizioni umane, ma anche di dominarle. La sua vita intrinseca presenta, tenuto conto delle dovute proporzioni in rapporto ai problemi della vita attuale, lo stesso carattere di mistero e di contraddizione che amiano nell'arte oceaniana. ciò che si chiama abitualmente estetica non può applicarsi né all'una né all'altra di queste arti, la sua rozza sfilza di menzogne e di assurdità non lascia passare più nulla di ciò che oggi ci interessa. Se un'opposizione sorda si manifesta contro l'elaborazione di nuovi criteri estetici, è in virtù di questo principio di vitalità che vuole allo stesso grado di potenza bellezza e bruttezza siano ambivalenti, come affermazione e negazione hanno già conquistato un'equivalenza di piani nel campo del pensiero e non provano più nulla quanto alla natura profonda di una qualsiasi manifestazione spirituale. Non è che alla luce della poesia che si può toccare il mistero creatore dell'arte oceaniana. Dalle possibilità della poesia è nata l'invenzione del mondo.
Cahiers d'art, IV anno, n° 2-3, 1929.
Il meccanismo della creazione artistica non poggia unicamente sull'invenzione delle forme. Le arti arcaiche o primitive ci insegnano che gli stili nascono da una comunità sociale o religiosa fortemente costituita, ma anche che la necessità di espressione è inerente alla natura dell'uomo- forse è essa stessa uno dei primi modi di ragionamento?- e che, in ogni caso, la società non potrebbe prendere forma se i suoi pittori, i suoi scultori e i suoi poeti non fossero profondamente radicati nella sua imtima realtà. Le arti ci insegnano anche che alla diverse tappe dell'evoluzione umana, attraverso le vicissitudini, le sofferenze, le disgrazie, l'uomo ha sempre lottato per il perfezionamento della sua condizione materiale e morale, e che in fin dei conti ci sono i valori di vita e di luce che hanno avuto il sopravvento sulle forze dell'oscurità. Coloro che affrontano le angoscianti questioni del momento nelle prospettive di un avvenire possibile, più giusto, più bello, non potrebbero rimanere indifferenti davanti ai tesori di sensibilità e di ingegnosità del lontano passato; vi troveranno la prova di questa energia che, per consolidare la sua dignità, l'uomo non ha smesso di dispiegare lungo l'intero cammino della sua conoscenza.
"L'arte messicana, l'arte precolombiana", Les Lettres françaises, n° 415, 23 maggio 1952.
"Applicando la denominazione di arte primitiva, denominazione espressamente dispreggiativa, almeno in origine, alle produzioni artistiche dell'Africa nera, dell'Oceania o dell'America precolombiana, non intendevamo forse significare che, per il suo stato d'inferiorità, il sentimento del bello in queste parti del globo non poteva essere comparato a quello dei popoli conquistatori?
È vero che per ciò che riguarda la pittura europea detta primitiva, dal XII al XV secolo, nessuno pretende che gli artisti di quel tempo erano degli esseri non evoluti. Nessuno pensa più che trascurare le leggi della prospettiva, come il Rinascimento le ha fissate, per sostituirgliene altre, significa disconoscere i principi della pittura. La storia dell'arte è fatta di opposizioni e di scoperte che sono il riflesso dell'evoluzione sociale, se non alla maniera di uno specchio, almeno come una contropartita della storia. In questa evoluzione dell'arte, si può spesso intravedere l'annuncio, non del corso della storia stessa, me delle linee direttrici che la precedono e la determinano, e ciò nello spirito di cui parla Marx a proposito dei poeti che prevedono l'avvenire. È una costante interazione ad effetti reciproci che definisce la storia del pensiero nei suoi rapporti con la società.
Sarebbe troppo lungo spiegare qui in dettaglio per quali ragioni di ordine artistico Matisse, nel 1906, avendo scoperto in un negozio di curiosità una statuetta africana, si entusiasmò per quest'arte. Il fatto è che vi scoprì, se non una corrispondenza, per lo meno una conferma della validità delle sue ricerche pittoriche. Picasso e Derain non tardarono a interessarsi a questa scoperta. Il problema architettonico della composizione e quello di una sintesi della realtà delle forme nei loro dipinti trovavano nella concezione della statuaria nera l'abbozzo di una soluzione.
Aprendo nuove vie alla creazione artistica, questa scoperta ebbe un'influenza certa sull'evoluzione delle idee. È il clima di simpatia creato dagli artisti all'inizio di questo secolo che ha permesso di studiare le forme di sensibilità peculiari delle arti dell'Africa nera. Non si tratta più oramai di guardare queste produzioni sotto l'angolo della curiosità o dell'esotismo, ma con lo stesso rigore di quando si penetra nel mondo della statuaria egizia o greca arcaica. Il solo fatto che l'arte nera entra, ai nostri giorni, sullo stesso piano delle arti riconosciute come tali, nel campo culturale universale, in cui tanti millenni di saggezza e di bellezza formano il tesoro che è l'eredità dell'uomo di oggi, non è forse il segno che l'ideologia moderna, per lo meno nella sua avanguardia, è pronta ad affrontare la liberazione dei popoli neri come una necessità ineluttabile?
Démocratie nouvelle, n° 5, Parigi, 1955.