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29 novembre 2013 5 29 /11 /novembre /2013 07:00

Storia del dadaismo

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Georges Ribémont-Dessaignes

Certe imprese dello spirito, nel momento del loro sviluppo, fanno un tale rumore che non si sa se si tratta del tuono di Giove o di petardi lanciati da ragazzi. Poi il tempo passa, tutti se ne vanno alzando le spalle, e l'impresa in questione non interessa più nessuno. Il più autentico tuono di Giove finisce che è soltanto un petardo.

Tuttavia, solo allora si riconoscono nelle vene dell'uomo le radici dell'impresa; e, a rifletterci, le sue virtù possono anche acquistare una loro grandezza. Troppo tardi. Il ritorno rischiara un cadavere trascinato nel passato.

Il movimento che prese il nome di Dadaismo fu un movimento dello spirito, col suo punto di partenza, il suo vertice e il suo declino; non fu soltanto una nuova scuola artistica.

tzara--.jpgDi questo movimento si parlò per la prima volta a Zurigo nel 1916, e coloro che ne parlarono furono il rumeno Tristan Tzara, l'alsaziano Hans Arp e i due tedeschi Hugo Ball e Richard Huelsenbeck. il Dadaismo fece il suo bel tempo a Parigi nel 1919, grazie a Tristan Tzara, Francis Picabia, André Breton, Louis Aragon, Philippe Soupault, Georges Ribémont-Dessaignes e qualche altro come Théodore Fraenkel, Jacques Rigaut, Paul Dermée, Benjamin Péret, ecc. Finì a Parigi nel 1921, dopo certe convulsioni che dispersero i diversi membri del gruppo.

Ma perché quel nome? "Dada" non significa nulla, non vuole significare nulla, e venne scelto appunto per la sua insignificanza. Come fu adottato e perché fu scelto a preferenza di un altro?

hans_arp-con-monocolo--1928.jpgIn un numero di Dada intitolato Dada au grand air, uscito nel 1921 a Tarenz-bei-Imst (Tirolo), ecco quello che il poeta e pittore Hans Arp scriveva: "Dichiaro che Tristan Tzara ha trovato la parola Dada l'8 febbraio 1916 alle 6 di sera. Ero presente con i miei dodici figli quando Tzara pronunciò per la prima volta questa parola che ha destato in tutti noi un entusiasmo legittimo. Ciò accadeva al caffè Terrasse di Zurigo mentre portavo una brioche alla narice sinistra. Sono convinto che questa parola non ha alcuna importanza e che non ci sono che gli imbecilli e i professori spagnoli che possano interessarsi ai dati. Quello che a noi interessa è lo spirito dadaista, e noi eravamo tutti dadaisti prima della nascita del dadaismo...".

In tale dichiarazione appaiono confuse cose precise a cose fantastiche destinate ad attenuare ciò ch'essa può contenere di troppo grave dal punto di vista del Dadaismo. Essa conferma l'intervista di Tristan Tzara pubblicata dalle Nouvelle Littéraires, in cui egli affermo: "Trovai per caso la parola Dada nel Larousse. Piacque a tutti...".

Dal canto nostro aggiungeremo il seguente particolare che ci fu rivelato dai principali interessati: l'intermediario fu un tagliacarte scivolato casualmente fra le pagine del vocabolario.

Il Dadaismo fu una rivolta permanente dell'individuo contro l'arte, contro la morale, contro la società. Manifesti, poesie e scritti diversi, quadri e sculture, spettacoli e qualche manifestazione pubblica a carattere prettamente sovversivo: questi gli strumenti di tale rivolta.

La portata del movimento oltrepassò sempre la letteratura e l'arte, avendo di mira la liberazione dell'individuo dai dogmi, dalle formule e dalle leggi, la sua affermazione sul piano dello spirito; e possiamo dire che liberò l'individuo dallo spirito medesimo, collocando il genio sullo stesso livello dell'idiota.

I giovani che videro questa necessità di rivolta erano soprattutto poeti e scrittori, e qualche pittore. I mezzi ai quali ricorsero furono dunque mezzi artistici. Sotto i loro colpi il linguaggio e le forme crollarono come castelli di carte da gioco. Accadde naturalmente che i mezzi che distrussero per primi furono proprio quelli di cui si erano serviti di più. Con nulla non si fa nulla: in altro termini, succedendo al Cubismo, al Futurismo, al Simultaneismo, che li avevano nutriti fino allora, essi distrussero le forme e l'idea cubiste, futuriste, simultaneiste servendosi di armi fortemente simili agli oggetti distrutti. D'altronde, si trattava d'una distruzione di valori. Un edificio in demolizione consiste di pietre, travi e legname diverso, ossia, più che di polvere e di rumore, degli elementi dell'edificio stesso. Non è meraviglia se ai suoi inizi, il Dadaismo aveva spesso un volto futurista o cubista, a tal segno che lo stesso Dadaismo ne restava escluso.

Apollinaire.jpgGli uomini non riescono a distruggere senza costruire le cose stesse che distruggono; e così il Dadaismo, se per un verso voleva e sentiva la necessità di distruggere ogni forma d'arte sottomessa a certi dogmi, per altro verso doveva obbedire parallelamente alla necessità di esprimersi. Si trattava di sostituire la soggezione alla realtà con la creazione di una realtà superiore. (Più tardi ritroveremo tutto ciò nel Surrealismo, figlio minore del Dadaismo). Continuare l'opera di Dio senza prenderla sul serio. Ma la superiorità di tale creazione non mira affatto alla grandezza attraverso l'Ordine e la Legge. si tratta di un nuovo universo astratto, consistente d'elementi presi a prestito dal concreto, al di fuori d'ogni valorizzazione formale. Non ci si cura più del bello o del brutto, del conseguente, del verosimile o del fantastico (Apollinaire diceva già: "Noi andiamo alla ricerca del brutto"). Non importa se una cosa non è fatta bene e se non risponde alle regole più elementari del comporre. Le ragioni superiori non intervengono a controllare l'ordine. Nelle aspirazioni umane non vi sono più zone privilegiate, e i valori più bassi sono altrettanti favoriti che i più alti. Inoltre, per avere in mano un buon piano strategico, visto che si tratta di stare attenti a non cadere nelle abitudini, divenute spontanee per lunga tradizione formale, e di non lasciare che il bello, il nobile, l'eccelso, il grazioso, l'ordinato, il perfetto riprendano io sopravvento, si cerca di avere un debole per il barocco, lo strano, l'infimo, il volgare, lo squilibrato, l'imprevisto o l'informe.

 

*   *   *

 

sic.jpgA Parigi si pubblicavano due riviste dedicate al Cubismo e al Futurismo: Sic e Nord-Sud (1916 e 1917-18). Fondata nel 1916 da Pierre-Albert Birot, Sic era più particolarmente futurista, mirava a sfuggire alle leggi formali propugnando il movimento, la velocità, la simultaneità, il dinamismo. Come sottotitolo recava questa formula programmatica: "Suoni - Idee - Colori - Forme". Fra i collaboratori figuravano Apollinaire, Paul Dermée, Gino Severini.

 

Nord-Sud.jpgPiù confusa nelle sue aspirazioni, Nord-Sud vide presto allargarsi la cerchia dei suoi collaboratori: dai futuri dadaisti come André Breton, che a quell'epoca imitava Mallarmé, a Philippe Soupault e Louis Aragon, ad Apollinaire, Pierre Reverdy, Max Jacob e Roch Grey.

 

291.jpgUna tale confusione favoriva il manifestarsi della rivoluzione dadaista. D'altra parte però Sic e Nord-Sud sarebbero state insufficienti senza l'intervento di Francis Picabia con le sue riviste 291 e 391, e senza Marcel Duchamp con le sue piccole riviste Wrong-Wrong e The Blind Man, di cui furono pubblicati solo due numeri. La scultura di R. Mutt, rifiutata alla mostra degli Indipendenti di New York e che col titolo di Fontaine rappresentava un orinatoio, fu pubblicata appunto in The Blind Man.

391.jpgLa rivista 291 pubblicava articoli ma soprattutto disegni e riproduzioni di quadri. Il programma generale era già quello che apparve alla nascita del Dadaismo: distruzione, ma in vista d'una realtà superiore. I disegni di Picabia erano "meccanici".

Il primo numero di 391 uscì il 25 gennaio 1917 con una copertina di Picabia intitolata Novia (Fidanzata) e raffigurante alcuni meccanismi interni di un'automobile. Dentro vi appariva un disegno di Marie Laurencin: teste di fanciulli e qualche uccello. Le poesie si leggevano  con un colpo d'occhio. Però una di esse, recante la sigla M. L. (forse Marie Laurencin?), era piuttosto bella benché si richiamasse allo stile di Apollinaire:

 

Re di Spagna

Prendete il vostro mantello

E un coltello

Al giardino zoologico

C'è una tigre paralitica

Ma reale

E lo sguardo fa male

 

*   *   *

 

litterature.jpgNello stesso giorno a Zurigo aveva luogo la prima esposizione dadaista. Ora, se noi facciamo questo parallelo, è soltanto per mostrare che se gli sforzi di Picabia si dirigevano verso una strada analoga a quella che andava percorrendo il Dadaismo, in quel momento egli era ancora lontano dall'aver concentrato la potenza esplosiva che andava acquistando il nuovo movimento. Ma aggiungeremo che quest'ultimo, alla sua origine, intravedeva appena la sua strada: in realtà non diventò se stesso se non quando i giovani poeti di Zurigo incorporarono nei propri tentativi quelli di Picabia e insieme gli sforzi più turbolenti e segreti, assai incerti a quel tempo, che alcuni giovani di Parigi cercavano di effettuare nella piccola rivista Littérature, che si fece subito conoscere con l'inchiesta "Perché scrivete?". Che cosa speravano i giovani André Breton, Louis Aragon, Philippe Soupault, Paul Eluard? Essi consideravano la vita come un terribile enigma, le domandavano una soluzione, o aspettavano che venisse da qualche scrittore nel quale avevano successivamente riposto le loro speranze, benché un'oscura intuizione li spingesse a unire le loro aspirazioni. Il titolo stesso della rivista, Littérature, è quasi una derisione e può essere considerato come l'equivalente di Anti-littérature. Allo stesso modo che Picabia disprezzava la pittura in quanto ha di sensibile, e a propriamente parlare, di "pittorico", essi volevano togliere al linguaggio i suoi effetti normali per conferirgliene altri più sicuri, ma più perfidi, di dissoluzione del pensiero. Possono le tenebre dello spirito salire alla superficie della conoscenza con questi mezzi? Per ora, essi si limitavano a porsi la domanda. Ma tutto ciò oltrepassava già la letteratura. La liberazione dell'uomo sembrava loro altrettanto desiderabile che di sapere come bisognava scrivere. Il caso Rimbaud era all'ordine del giorno e per molto tempo non smise di preoccuparli, al punto che ognuno si sforzava di scoprire come adeguarlo a sé. Uccidere l'arte, sempre uguale a se stessa, non bastava; non bastava neppure pensare di compromettere tutto pur di non legarvisi. La perpetua disponibilità e la demolizione dei suoi idoli, quando essi diventano ingombranti, erano care a tutti. L'inutilità della vita stessa li ossessionava. Ribellarsi alla vita! Ma su questo punto non c'è che un magnifico rimedio: il suicidio. Ora, uno dei loro amici, poco avanti la nascita del Dadaismo, che del resto non conobbe mai, si era suicidato a Nantes nel 1918. Era Jacques Vaché. Dandy, anglomane e oppiomane, questo adolescente che si rifiutava di vivere esercitò grande influenza su André Breton.

Vache.jpg

Se è vero che due focolai distinti spianavano la strada del Dadaismo a Parigi e in America, non bisogna però dimenticare che esso, col suo nome e il suo stato civile, era venuto al mondo e aveva emesso i suoi primi vagiti a Zurigo.

lenin-scacchi.jpgA quell'epoca la Svizzera era un centro di fermentazione culturale. Tutti quelli che nell'Europa centrale volevano sfuggire alla guerra vi si davano convegno. Zurigo dava l'esempio. Pacifisti tedeschi, rivoluzionari russi, ungheresi, rumeni venivano a trovarvisi l'uno accanto all'altro, ma vi formavano gruppi separati. I pacifisti tedeschi si riunivano da una parte, i bolscevichi dall'altra. C'era Lenin; lo si vedeva giocare a scacchi nei caffè. Ma, come è facile immaginare, né i pacifisti né o bolscevichi si occupavano di questioni d'arte. Il loro interesse era per la politica e i rivolgimenti sociali o internazionali. Degli artisti essi tuttavia condividevano quel desiderio di distruzione dei valori che caratterizzava il loro tempo. Mentre però i politici miravano alla distruzione della società borghese, gli altri intellettuali si proponevano  la rovina di tutti i valori umani.

Sul finire del 1915 c'era a Zurigo un giovane rumeno; aveva studiato filosofia, ma si sentiva fortemente attratto verso la poesia: era Tristan Tzara. L'animatore più ardente del Dadaismo, infatti, è lui. Non gli si può certo rimproverare di non aver saputo, fin da principio, distinguere nel particolare ciò che doveva essere il Dadaismo; il suo merito principale resta in ogni modo quello di avere a poco a poco aperto la strada che doveva percorrere e di non essere mai venuto meno alla sua volontà.

HUGO_BALL.jpgDal canto suo l'alsaziano Hans Arp, autore di sorprendenti sculture in legno, era arrivato a Parigi nel 1914, riuscendo poi a sfuggire per la guerra che lo aspettava al varco sia dalla parte tedesca che dalla parte francese. Nell'ottobre 1915 si rifugiò a Zurigo. Verso dicembre, una lettera di un curioso spirito tormentato, il giovane poeta tedesco Hugo Ball, ch'egli conosceva, lo invitò a partecipare ad una mostra che stava preparando. Hugo Ball era pacifista, anche lui aveva cercato rifugio in Svizzera. In cerca di occupazione per guadagnarsi da vivere, voleva aprire un ritrovo dando spettacoli di varietà e allestendo mostre d'arte.

Il sogno di Hugo Ball s'avverò in febbraio 1916 con l'inaugurazione del Cabaret Voltaire nella Spielgelgasse. A corto di espedienti, si comincio col chiedere ad amici e conoscenti, quadri, disegni e incisioni. Si diedero concerti di musica e si recitò con gusti tra espressionisti, futuristi e pacifisti.

Cabaretvoltaire.jpg

Lo storico locale Cabaret Voltaire come appare oggi  con una targa commemorativa sulla facciata.


huelsenbeck-fs.jpgIl 26 febbraio arrivo da Berlino un poeta tedesco, Richard Huensenbeck. Anche costui appariva infatuato da intenzioni distruttive e da un desiderio di novità. "E il 20 marzo" dice Hugo Ball, "demmo un magnifico concerto di musica negra per iniziativa di Tristan Tzara, che insieme con Huelsenbeck e Janko lesse per la prima volta alcune poesie simultaneiste".

Cabaret-voltaire--numero-unico.jpgIn giugno 1916 pubblicammo un numero unico che s'intitolava Cabaret Voltaire. Il sommario comprendeva fra l'altro: L'admiral cherche une maison à louer, poesia simultanea di Huelsenbeck, Janko e Tzara; Das Karousselpferd Johann, di Hugo Ball; Arbre di Apollinaire; Deux Poèmes, di Emmy Hennings; Der Idiot, di Huelsenbeck. Il pezzo forte di quel numero fu La Revue Dada II. Per la verità il nome Dada fu trovato, come abbiamo detto, l'8 febbraio 1916.

Però fu soltanto in luglio 1917 che apparve il primo numero della tanto attesa rivista che si intitolava Dada I, recueil d'art et de littérature.

Numero confuso, che riuniva i nomi di Arp, Tzara, Janko, Savinio, Guibeaux. A caso vi si alternavano opere poetiche e note scandalistiche; ma non si tardò ad accorgersi che lo scandalo era l'elemento perfettamente adatto alla fermentazione voluta.

 

000cover.jpgPrimo numero della rivista Dada uscita dopo il primo e unico numero della rivista Cabaret Voltaire che traeva il suo nome dall'omonimo locale in cui si esibivano gli artisti fondatori del movimento.

 

 

CV007L'amiral.chercheLa poesia simultaneista "L'Admiral cherche une maison a louer", recitata al Cabaret Voltaire e apparsa anche sul primo numero della omonima prima rivista dadaista uscita nel giugno 1916. 

 

*   *   *

 

Tzara-25-poemes.jpgDopo la pubblicazione di Dada II (dicembre 1917) e quella dei 25 Poèmes, Tzara dette una serata dove un nuovo manifesto dadaista sollevò uno scandalo enorme. Si tratta del Manifeste Dada 1918, che venne pubblicato in Dada III (dicembre). Per la prima volta esso dava alla rivista un carattere veramente dadaista, proclamando con uno stile folgorante l'eguaglianza dei valori, l'identità del sì e del no.

"C'è una letteratura," dice fra l'altro il manifesto, "che non arriva nelle mani delle voraci moltitudini. Opera di creatori, nata da una vera necessità dello scrittore, fatta soltanto per lui. Conoscenza d'un supremo egoismo, dove le leggi intristiscono. Ogni pagina deve esplodere per la serietà profonda e pesante, il turbine, la vertigine, il nuovo, l'eterno, per il paradosso che taglia la testa al toro, per l'entusiasmo dei principi o per il modo in cui si stampa. Ecco un mondo vacillante che fugge, legato ai bubboli della sonagliera infernale; ecco, d'altra parte, gli uomini nuovi. Rudi, balzanti, cavalcatori di singhiozzi. Ecco un mondo mutilato e medicastri letterari affetti dal male del miglioramento.

"Io vi dico: non c'è un cominciamento e noi non tremiamo: noi non siamo sentimentali. Noi, vento furioso, stracciamo il lino delle nubi e delle preghiere e prepariamo il grande spettacolo del disastro, l'incendio, la decomposizione...

"Conoscenza di tutte le armi respinte finora dal sesso pudico del comodo compromesso e della cortesia: Dada; abolizione della logica, danza degl'impotenti della creazione: Dada; di tutte le gerarchie ed equazioni sociali stabilite per i valori dai nostri valletti: Dada; ogni oggetto, tutti gli oggetti, o sentimenti e le oscurità, le apparizioni e gli urti precisi delle linee parallele, sono armi per il combattimento: Dada; abolizione della memoria: Dada; abolizione dell'archeologia: Dada; abolizione dei profeti: Dada; abolizione del futuro: Dada; fede assoluta indiscutibile in ogni dio prodotto dalla spontaneità: Dada".

soupault.jpgIl gruppo di Littérature, invitato a collaborare a Dada II, aveva esitato; alla fine solo Philippe Soupault aveva mandato questa breve poesia:

 

FIAMMA

Un busta strappata avvolge la mia camera

Spingo i miei pensieri

Si parte

Avevo dimenticato la mia valigia.

 

picabia.jpgOra, Francis Picabia, arrivato da Barcellona e da New York e che aveva già pubblicato in Svizzera alcuni libricini di poesie come Poèmes et Déssins de la Fille Nées sans Mère, L'Atlète des Pompes funèbres, Ratelers platoniques, doveva sentire ciò che lo legava al nuovo movimento: fece la conoscenza di Tzara e dei suoi amici, aderì al Dadaismo, fu salutato come l'Antipittore.

Possiamo affermare che a partire da questo momento il Dadaismo era veramente nato.

In aprile 1919, nuova serata scandalistica. In maggio apparve Dada 4-5 col titolo di Anthologie-Dada. Questa volta tutto il gruppo di Parigi, quello cioè di Littérature, vi collabora. Ma vi troviamo anche Reverdy e Jean Cocteau.

Tuttavia lo scandalo sollevato da questo numero non raggiunse quello nel corso del quale avevamo presentato Noir Cacadou, ballo di cinque persone nascoste dentro strani tubi. Serner, in luogo delle due poesie, presenta un mazzo di fiori ai piedi di un manichino. La sala delirante impedisce a Tzara di leggere un proclama dadaista. Ciò non toglie però che coloro che poterono assistere alle prime manifestazioni avessero ormai di che giudicare il Dadaismo e che il movimento fosse in marcia.

Così, nel 1919, il Dadaismo non perse più tempo per presentarsi a Parigi nella persona medesima di Tristan Tzara, che in quell'occasione

 

P. 28

 

[SEGUE]

 

[A cura di Massimo Cardellini]

 

 

 

 

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30 agosto 2013 5 30 /08 /agosto /2013 06:00

La "totalità" nel dadaismo

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Tutto è dada, tutto è arte

Alice Zannoni

La presenza della totalità secondo i vettori che contraddistinguono il Gesamtkunstwerk, già individuati nella compenetrazione delle discipline artistiche, nella ricerca di un rapporto diretto arte-vita e nella sollecitazione  polisensoriale, è ravvisabile anche nel movimento dadaista: un fenomeno internazionale, cosmopolita, con molteplici direzioni di sviluppo (spettacolo, teatro, cinema, arti visive) e non costituito da un organigramma compatto e cristallizzato, bensì da un gruppo che, nella propria omogeneità programmatica, preserva l’individualismo del singolo accogliendo sotto la stessa etichetta personalità divergenti accomunate dal disagio per la società contemporanea confluito nel rifiuto del sistema culturale e artistico.

Mouvement-Dada-papier-a-lettre

Partendo dall’assunto “Dada come negazione di tutto" [1] e svolgendolo come un’equazione matematica, “il tutto” risulta essere il termine di riferimento fondamentale per procedere all’affermazione di ciò che è Dada e ciò che non lo è, di ciò che è arte e ciò che ne è escluso: negando il tutto, ugualmente, si conferma il tutto stesso che risulta essere l’indeterminata del ragionamento da cui emerge una totalità onnivora a fondamento del movimento, noto, infatti, proprio per non avere limiti, né artistici, né comportamentali. Sintomatico della “coscienza onnicomprensiva e contraddittoria” il manifesto del 1918 che si presenta nelle vesti di anti-manifesto: “Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure  certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti…scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contraddittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l’azione:  per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buon senso" [2].

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Tzara continua poi con l’incoerenza fastidiosa ma stimolante a enucleare l’essenza amorfica del Dada: “Qualsiasi prodotto del disgusto suscettibile di trasformarsi in negazione delle famiglia è Dada; protesta a suon di pugni di tutto il proprio essere teso nell’azione distruttiva: Dada; presa di coscienza di tutti i mezzi repressi fin’ora dal senso pudibondo del comodo compromesso e della buona educazione: Dada; abolizione della logica, balletto degli imponenti della creazione: Dada; di ogni gerarchia di equazione sociale di valori  stabiliti dai servi che bazzicano tra noi: Dada; ogni oggetto, tutti gli oggetti e i sentimenti e il buio, le apparizioni e lo scontro inequivocabile delle linee parallele sono armi per la lotta: Dada; abolizione della memoria: Dada; abolizione del futuro: Dada; abolizione dell’archeologia: Dada; abolizione dei profeti: Dada; fede assoluta irrefutabile in ogni dio che sia prodotto immediato della spontaneità: Dada" [3].

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Un'assurda congettura in cui tutto è Dada! Perciò tutto è arte partendo da un’illogica elucubrazione che nella negazione trova l’unico principio saldo. Alcuni critici considerano il Dadaismo: “Fenomeno capostipite della sensibilità della nostra epoca" [4],  anche se, a questo proposito, i precedenti diretti sono ravvisabili nel futurismo le cui proposte sono state  radicalizzate con intenzione sovversiva:  “Vi è un grande lavoro distruttivo, negativo da compiere. Spazzare, ripulire” [5] proclama Tzara annunciando il distacco definitivo dall’oggetto tradizionale (quadro, scultura) tramite l’abolizione delle nozioni di “Stile” e di “Bello” che determina una situazione di caos anarchico promosso dallo stesso artista incitando alla disubbidienza: “L’artista nuovo si ribella: non dipinge più (riproduzione simbolica e illusionistica) ma crea direttamente con la pietra, il legno, il ferro, lo stagno, macigni, organismi, locomotive che si possono voltare da tutte le parti, secondo il vento limpido della sensazione del momento" [6].

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I presagi dadaisti di un “estetica mondana” anticipano di un quinquennio l’ufficializzazione del manifesto con l’atteggiamento paradossale del "proto-dadaista" [7] Arthur Cravan che accompagna le sue eccentriche imprese [8] con epifaniche dichiarazioni tra cui: Come è vero che sono uno che si diverte, preferisco mille vote di più la fotografia alla pittura che la lettura del ‘Matin’ alla lettura di Racine" [9] sottendendo l’intenzione dell’avventura dadaista di portare l’arte verso la vita nella direzione di una metamorfosi dell’ “Arte [che] ha preso la forma della non arte e viceversa; e l’elemento distintivo tra le cose d’arte e quelle no è diventato un fatto di pura sensibilità, di intelligenza, di emozione" [10]:   ovvero a discrezione delle qualità in assoluto sintomo dello spirito vitale  “bramato” dalle avanguardie del primo Novecento e confermato esplicitamente  nelle intenzioni Dada dall’asserzione di Ball: “Riscriviamo la vita di tutti i giorni" [11].

cravan, Il nesso arte-vita, risolto a favore della: “Vita [che] è ben più interessante” [12] conferisce al dadaismo e in particolare a Tzara il ruolo di: "Primo assoluto predicatore dell’opportunità di divenire a una “morte  dell’arte” [13] a vantaggio della vita”, principio che: “Se applicato con coerenza fino in fondo, può portare alla rinuncia di ogni atto non soltanto ‘artistico’, affidato cioè all’uso di tecniche grafico-pittoriche più o meno tradizionali, ma anche più in genere di ogni pratica ‘estetica’  magari ottenuta con i mezzi nuovi e a quei tempi blasfemi come la fotografia, il ready-made, l’oggetto trovato e i loro vari incroci” [14]. in  un atteggiamento decisamente wagneriano che ascrive la ricerca Dada nella tendenza latente della totalità per il fattore dell’integrazione tra le arti e per la ricerca sinestetica realizzata con la: “Leggerezza di tecniche capaci di stimolare le regioni impalpabili dei sensi e della mente” [15].

1. Spettacolarizzazione delle arti e normalizzazione estetica

1.1 Artistizzazione teatrale

Lo spettacolo è il magma artistico nel quale cercare gli elementi che più caratterizzano la vocazione poetica nella direzione della totalità: l’evento raccoglie l’inclinazione unitaria delle arti, diventando indefinibile secondo i canoni estetici consolidati dalla tradizione: è cabaret Dada e niente altro, è poesia Dada, è teatro Dada, è gestualità Dada in una folle fusione dei generi che conferma la tendenza sovversiva del movimento determinando la tipologia di Gesamtkunstwerk definita da Marquardt: “Diretta negativa [ovvero dell’] opera d’arte totale come distruzione di tutte le singole opere in un'unica anti-opera per conseguire dignità di realtà” [16].
Hugo-Ball-a-colori.jpg"L'evento aleatorio" sancisce anche la nascita ufficiale del movimento il 5 febbraio 1916 al "Cabaret Voltaire" di Zurigo [17] e se per Menna: “Il gesto nomina le cose” [18],  altrettanto, il modo di presentarsi di un nuovo movimento artistico designa la sua inclinazione con valore di dichiarazione programmatica implicita: una sorta di rito battesimale che esibisce pubblicamente l’inedito culto della spettacolarizzazione delle arti e la loro unione per mezzo dell’: “Individuo [che] si fonde nel gruppo […] e dove tutte le forze congiunte si rivelano superiori alla somma delle loro componenti e permettono di togliere tutte le barriere" [19] che frantumate, “Per mezzo di una grande azione sovversiva che instaura la realtà politica - rivoluzionaria" [20], avviano all’invasione estetica dello spazio extra-artistico per  pervenire al contatto diretto con la vita.
Cabaretvoltaire.jpg

Nella ricerca vitalistica è evidente la ripresa di suggerimenti futuristi [21] si esalta il rumore e il caso, anche se, gli spettacoli dada, imperniati su una precisa organizzazione, si allontanano dall'indisciplinata esibizione italiana, tesa alla "ricostruzione dell’universo", per approfondire soprattutto la compartecipazione simultanea delle arti anticipando la struttura degli happening del secondo dopoguerra in quanto: "Accanto agli elementi verbali, concorreranno allo stesso titolo a definire il carattere di queste manifestazioni anche elementi plastici, visivi, sonori, di danza dando luogo a eccellenti performances fondate, come usano ancora oggi, sulla cooperazione dei più disparati elementi" [22].

gruppo-dadaisti-con-C-line-Arnauld-e-marito.jpgAnche Balzola riconosce l’evento Dada come la prefigurazione dell’happening: esamina la comunicazione teatrale e individua nel cortocircuito linguistico, nell’episodio effimero e nel coinvolgimento del pubblico una ”nuova modalità” di spettacolo che non: “Rappresenta un testo o un’opera totale che cerca una sintesi organica tra il linguaggio verbale, musicale e visivo, [ma che è] la drammaturgia di un evento artistico. Ovvero, l’organizzazione di materiali artistici eterogenei all’interno di una sequenza di azioni teatralizzate" [23].

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Le serate dadaiste sono, dunque, delle performance ante litteram: lo spazio e soprattutto l’azione trasformano la parola in elemento teatrale come testimonia il promotore stesso delle esibizioni: "Il nostro cabaret è un gesto. Ogni parola che qui viene detta o cantata, significa per lo meno un fatto: che questo tempo mortificante non è riuscito a imporci rispetto" [24].

De Paz, riferendosi esplicitamente ad: “Un’arte totale di wagneriana memoria”, valuta gli spettacoli al “Cabaret Voltaire” come: “Attività artistica [che] dovette integrare elementi letterali, teatrali, musicali, plastici” e formula una personale interpretazione che esalta il ruolo individuale: “Per dada questa integrazione assunse un carattere particolare. Dell'ideologia dell'arte totale fece un’ideologia dell’uomo totale […] con la creatività polivalente secondo le leggi della spontaneità, della insensatezza, dell’inconscio e del caso" [25] in cui è il singolo che con potere taumaturgico riesce a convogliare le attenzioni anche più remote dello spettatore-uomo collettivo.

È molto importante che lo spettacolo Dada ambisca al coinvolgimento del pubblico, nell’estremo tentativo di farlo diventare esso stesso attore e coautore dell’evento, perché ripropone l’evasione dai confini scenici che caratterizza la prospettiva di ricerca arte-vita: “Obbiettivo primario era provocare il pubblico, condurlo all’esasperazione tramite tutte le declinazioni sceniche dell’assurdo e dell’insulto ‘rincretinirlo’  a furia di continui spiazzamenti  e spingerlo a diventare per complicità o per collera, partecipe all’evento, autore egli stesso, in un anarchica performance collettiva" [26] e quando Pierre Albert Birot, animatore di una delle riviste più importanti della nuova poesia, “Sic”, patrocinata da Apollinaire, fonda nel 1916 il movimento “Nunique” pone la complicità con lo spettatore un principio inviolabile: “Il teatro Nunique deve essere un gran tutto simultaneo, nutrito di tutti i mezzi e di tutte le emozioni capaci di comunicare una vita intensa e inebriante agli spettatori" [27] radicalizzando, nella pratica teatrale, il precetto futurista dello spettatore al centro del quadro.

CV007L'amiral.cherchePoiché Dada simboleggiava: “Il più elementare rapporto con la vita”, [28] si assiste ad una naturale trasformazione dello spettacolo che, dallo spazio ufficiale del cabaret, evolve verso la contaminazione artistica del comportamento quotidiano per conquistare l’uomo comune, la massa, realizzando la “normalizzazione estetica” che, nella confusione tra sketch e realtà, cerca la vita per “desublimare l’arte” secondo il presupposto che è insufficiente “Sputare sull’altare dell’arte”  [29] per sostituirvi comunque altra arte ritenendo, invece, necessario minare le fondamenta del sistema stesso, distruggere l’ara sacrale anche a costo di un anomala ma necessaria offesa del consolidato ordinamento culturale come le parole Barilli precisano: “Chi si assume il compito di manifestare, di portare a epifania questi aspetti della superficie estetica del mondo anche senza indossare gli abiti inamidati dell’arte fa la stessa opera di rottura e di provocazione come dimostrano abbondantemente le reazione del pubblico”  [30].

Condividendo l’articolazione dicotomica di Barilli che, nell’opposizione "polarità implosiva v/s polarità  esplosiva", individua la struttura generale del sistema delle arti, sostengo che il Dadaismo, per le sue caratteristiche ontologiche, corrisponda alla categoria deflagrante che: "Dall’ambito delle pratiche letterarie porta a quelle visive, oppure a quelle sonore e musicali, o infine all’attività dello spettacolo e della performance, quando il discorso è affidato alla pienezza del gesto, della fonazione acustica della mimica e così via" [31]Dada, infatti, come confermano le parole di Pignotti, opera sul piano: "Dell’autonomia del segno linguistico dai canoni della comunicazione tradizionale, senza mai perdere di vista la comunicazione stessa, cioè il nuovo tipo di rapporto che si deve instaurare  tra l’opera e il suo destinatario: una concezione dell’arte come azione e della parola come gesto che darà luogo al fenomeno indicato come teatralizzazione della poesia” [32] che cattura l’interesse del pubblico non limitandosi più alla lettura della poesia ma inserendo progressivamente variazioni nel tono della voce, del timbro e dell’intensità per giungere al canto accompagnato da travestimenti paradossali: "Indossavo un costume speciale disegnato da me e Janco […]” Il pubblico si spazientisce, si mette a rumoreggiar e da segni di disattenzione. Ball si sente in una posizione particolarmente goffa e ridicola. È immobilizzato nel suo scafandro e per di più da un momento all’altro rischia di cadere in preda ad un attacco di riso. E’ a quel punto che, per trovare la forza i resistere, decide di concentrarsi mentalmente solo sui suoni che gli escono dalla bocca, ed è così che, inaspettatamente, notò che la sua voce finiva per prendere “la cadenza antica di un salmo ecclesiastico, dei canti liturgici che vengono comunemente praticati in tutte le chiese Cattoliche sia dell’Ovest che dell’Est” [33].

Il racconto di Ball focalizza l’aspetto di contemplazione passiva, opposto all’azione sovversiva, che porta a concepire il movimento come: "Il ritorno ad una religione dell’indifferenza, di tipo quasi buddista” [34] che, rifacendosi ad un mantra ancestrale, utilizza la modulazione della voce come pratica introspettiva di cui anche Huelsenbeck e Tzara si servono per dare vita a "Preghiere Fantastiche" e "Poesie simultanee" che: "Attraverso la fonazione  [attivano] tutto l’apparato muscolare [impedendo] che l’atto stesso del parlare si riduca ad esigue proporzioni mentali” [35] ottenendo una percezione sensoriale amplificata, tramite un ricco repertorio di gesticolazioni, movimenti,  abiti e maschere, che coinvolge tutto il corpo e permette di annoverare l’attività dadaista nella ricerca del Gesamtkunstwerk secondo lo specifico orientamento della sinestesia.

L’attenzione al corpo non riguarda unicamente la dimensione fisico-materiale della danza come espressione dinamico-lirica del moto ma, tramite la scuola di ballo ufficiale di Laban che studia la segmentazione del movimento, attraverso l’uso di abiti cilindrici [36] e maschere sul ritmo cadenzato della musica negra, il corpo diventa un mezzo per arrivare ad un'altra dimensione disinibendo la massa fisica, liberando l’individuo a dagli schemi sociali prestabiliti e raggiungendo una carica vitalistica allo stato puro, indicata giustamente da Alinovi come una sorta di trance che la descrizione di Ball conferma: "Noi eravamo tutti lì quando Janco arrivò con le maschere, e ognuno ne afferrò una. L’effetto era strano. Non solo ciascuna maschera sembrava esigere il costume appropriato, ma sembrava richiedere anche uno specifico sistema di gesti, enfatici o addirittura vicini alla pazzia. Il dinamismo delle maschere era irresistibile…Le maschere chiedevano semplicemente che chi le indossava, intraprendesse una danza tragico assurda” [37].

Le parole dell’artista non esimono il loro valore nella focalizzazione di un momento decisivo del movimento, ma si rivelano una fonte per l’ermeneutica della maschera in ambito Dada: appellandomi all’uso dell’aggettivo “strano”, non riferito all’oggetto [38] ma, attribuito alla sensazione prodotta dall’atto di indossare la maschera come se possedesse intrinsecamente qualità magiche, vorrei sottolineare la sua  funzionalità disinibitoria indispensabile alla liberazione del corpo e al ritorno allo stato primordiale dell’attore e del pubblico che per essere coinvolto deve uscire dal proprio: "Mutismo abituale, abbandonandosi alla gioia della propria spontaneità” [39] protetto e giustificato, comunque, dal travestimento come diaframma tra l’essere e l’apparire.

La rottura della complicità tra Ball e Tzara e l’affiorare di dissapori porta all’inevitabile interruzione delle serate al Cabaret Voltaire di Zurigo (l’ultima il 14 luglio 1916); l’evento, che può sembrare sfavorevole, in realtà, si dimostra essere un episodio molto importante per la diffusione del Dada che, ancora carico di potenza poietica, trova in alcuni centri della Germania la possibilità proseguire la ricerca approfondendo specifici orientamenti.

Berlino, con la presenza di  Huelsenbeck, vede la fondazione di un “Club Dada” [40] a cui sono iscritti Baader, Grosz [41], Heartfield, Herzefelde, Hannah Höch che, prima configurandosi sul lascito del dada svizzero, trova la propria vocazione nella contestazione politica.

A Colonia il gruppo Dada, nato dall’incontro tra Ernst, Baargeld e Arp, consegue riconoscimento ufficiale con la mostra del 1919 al “Kunstverein”, nota per aver esposto, accanto ad opere di grandi artisti, disegni infantili e di malati mentali annunciando la linea direttrice di un percorso artistico  sovversivo che trova la più compiuta realizzazione con la mostra alla “Birreria Winter” nell’aprile-maggio 1920 quando, obbligando il pubblico ad un metaforico percorso che inizia negando l’ufficialità dell’entrata principale e lasciando come unico canale di accesso il retro maleodorante dei gabinetti, si costringe lo spettatore a subire asfissianti esalazioni, come segno di una repressione culturale che soffoca l’individuo impedendo la libera espressione e si propone la simbolica autonomia con la distruzione del sistema per mezzo di un’ascia a disposizione del pubblico in sala cui era "consigliato" l’uso per fare a pezzi  le opere presenti.

Il Dada di Hannover si identifica con la figura di Schwitters, artista che più di ogni altro accolto l’endiadi arte-vita forgiando una personalissima visione di totalità.

1.2 Linguaggio: “In principio era il Verbo…”

Merita un approfondimento l’analisi del linguaggio partendo dalla concezione dadaista di lingua come equivalente della materia, "Ogni cosa ha la sua parola ma la parola è diventata una cosa stessa” [42], afferma Ball, che induce a plasmare la  scrittura alla stregua del corpo plastico e che nell’oralità della lingua parlata individua l’analogo del sonoro da modulare e orchestrare.

La configurazione della parola come oggetto subisce la manipolazione analoga a quella delle coeve sperimentazioni artistiche: si può presentare sotto nuove vesti (poetica dello straniamento), si può prelevare, decontestualizzare (poetica del ready-made) e riutilizzare attribuendole un nuovo significato con la propensione a poeticizzare il repertorio di scarto del linguaggio quotidiano per ottenere vocaboli irriconoscibili, senza forma, sillabe, suffissi, desinenze, lettere assommate alla rinfusa senza nessun nesso logico secondo una struttura caotica che si sviluppa in due direzioni opposte individuate metaforicamente da  Francesca Alinovi [43] nella polarizzazione tra il caos infernale di una Babele linguistica e una lingua paradisiaca fatta di suoni semplici.

Lo stesso nome del movimento Dadaismo, "Non significa nulla” [44], è composto da due sillabe, “Da - Da” [45] la cui fonia, che ricorda il gemito del neonato, marca simbolicamente lo statuto del movimento in direzione del ritorno a una primigenia natura umana attraverso la distruzione delle convenzioni sociali e l’eliminazione delle strutture che falsano l’essere contemporaneo; il senso profondo della ricerca è rimarcato nel 1951, 35 anni dopo la prima serata ufficiale da Tzara: "Dada nacque dallo spirito di rivolta, che è comune alle adolescenze di tutte le epoche e che esige la completa adesione dell'individuo ai bisogni della sua natura più profonda, senza riguardi per la storia, per la logica o per la morale. Onore, patria, morale, famiglia, arte, religione, libertà, fraternità, tutto quel che vi pare: altrettanti concetti che corrispondono agli umani bisogni, dei quali non resta null'altro che scheletriche convenzioni, private ormai del loro significato primitivo” [46].

L’indagine relativa alla concezione della totalità nel Dada non ha a disposizione la ricchezza teorica del Futurismo che aveva fatto della stesura programmatica il fulcro dello sviluppo poetico; il dadaismo necessita di un  approccio diverso in quanto le dichiarazioni esplicite [47] sono esigue e per ricostruire le vicende del movimento bisogna scovare i principi poetici nelle descrizioni frammentarie, nelle azioni e soprattutto nella riflessione globale delle opere che implicitamente sottende un significato molto più ampio di quello apparente: un criterio di analisi che si avvicina allo sguardo del mataldetector in grado di riconoscere la presenza di elementi non visibili celati sotto apparenze esteriori, indizi nascosti, tracce latenti e pericolose che trovano analogia con il paragone di Tzara: "Dada è un microbo vergine che si insinua con l’insistenza dell’aria in tutti gli spazi che la ragione non è riuscita a colmare di parole e di convenzioni” [48].

Il manifesto del signor Antipirina [49], per esempio, nella veste di rappresentazione teatrale, ha la duplice valenza di implicita dichiarazione poetica perché compaiono parole inventate, sillabe astratte dal puro valore fonetico-musicale “Diin, Dzin, Bobobo…”, frasi estrapolate da slogan pubblicitari e modi di dire sdoganati da legami logici e sintattici presentando un modo di agire sulle parole che diverrà convenzione tra i dadaisti, una “langue” che approfondendo le “parole in libertà” e i suoni onomatopeici dei futuristi, aspira ad un rapporto assoluto  con il reale.

In Il manifesto sull’amore debole e l’amore amaro [50], invece, Tzara dà suggerimenti espliciti sul modo di fare poesia e la tangenza al “Gesamtkunstwerk” è da ricavare:

 

Prendete un giornale

Prendete delle forbici.

Scegliete in questo giornale un articolo della lunghezza che

Contate di dare alla vostra poesia.

Ritagliate l’articolo

E mettetelo in un sacchetto.

Agitate delicatamente.

Tirate fuori un ritaglio dietro l’altro nell’ordine in cui

Sono usciti dal sacchetto.

Copiate coscienziosamente.

La poesia vi assomiglierà.

Ed eccovi scrittore infinitamente originale

E di affascinante sensibilità,

Benché incompreso dal volgo” [51].

 

Le indicazioni comunicano un preciso atteggiamento che sconvolge la modalità di composizione lirica usuale a favore di un immediato contatto con il quotidiano per mezzo del prelievo di frammenti di realtà, un procedimento analogo alla tecnica del fotomontaggio e del collage, definito da Pignotti: “Il primo tra i recuperi operati dalle avanguardie artistiche dal serbatoio delle tecniche povere” [52], trovando l’impulso per creare un’anti-opera legata all'ordinario nell'umiliazione dell’arte “alta” e confermando l’ipotesi della “normalizzazione estetica” come elemento poetico strutturale del Dadaismo.

Il percorso artistico di Hugo Ball è teso verso un linguaggio capace di esprimere la purezza originaria penetrando nello stato primordiale di ogni individuo per ritrovare le energie dissipate nel corso della civilizzazione; l’enunciazione: “Abbiamo impresso forze ed energia alla parola in modo che ci faccia riscoprire il concetto evangelico di logos come di una magica immagine della totalità” [53] è un’autentica rivelazione per l’indagine che questa tesi sta affrontando, in particolare emerge una sfaccettatura della tendenza alla totalità che Alinovi ha magistralmente sintetizzato: “Risalire alle origini significa infatti, cogliere l’essenza del logos, il mistero per cui il Verbo si congiunge alla carne, partendo per così dire dalla carne per attingere il momento in cui il corpo fa tutt’uno con la parola e vive e pulsa emettendo gemiti, rumori, suoni, grida. […] Ball fa propria l’intuizione fondamentale della poesia come canto, lamento, respiro, emissioni labiali e gutturali, grido perché, nelle sue performances, tutto il corpo partecipa alla dizione poetica. Ball intuisce per primo, benché in maniera ancora confusa, che il corpo umano stesso con tutti i suoi rumori, è già poesia, prima ancora che intervenga la parola” [54].

Il corpo inteso come poesia è un concetto che presuppone una profonda analisi e conoscenza introspettiva dello statuto umano, la soppressione della parola come mezzo di espressione avviene solo con la consapevolezza che il moto e la mimica facciale sono correlativi al linguaggio parlato di cui condividono l’analoga potenza comunicativa che, sviluppandosi in un indeterminato “territorio di confine” dove la definizione dei generi (danza, teatro, spettacolo) non ha senso, genera il valore aggiunto della ricerca extra-pittorica realizzando, nell’auspicio wagneriano.

Che legoismo delle arti venga vinto dal loro comunismo [55]”, l’opera d’arte totale nel profilo della fusione delle categorie artistiche e nella prospettiva di ricerca sinestetica poiché il corpo attiva la globalità dei canali sensoriali.

L’intenzione regressiva di Ball cerca l’originalità primigenia nella “Poesia Elementare”, per liberare l’individuo dalle costruzioni socio-comportamentali e recuperare la naturalezza spontanea smarrita nell’eteroglossia contemporanea, a sostegno di una comunicazione immediata e comprensibile specifica dell’arcaismo prebabelico e di un tempo ancora più remoto in cui l’intervento del logos non è più necessario: Io leggo versi che si propongono niente di meno che: rinunciare alla lingua. Lascio semplicemente cadere i suoni. Emergono parole, spalle di parole. Au, oi. U. Non bisogna che nascano molte parole. Un verso è l’occasione di cavarsela possibilmente senza parole e senza lingua” [56]: un ritorno al passato ancestrale dell’uomo per mezzo della fonazione, che è stata in primis la forma di un’esistenza compiuta ed è tutt’ora il primo sintomo vitale del neonato, in una ricerca che Barilli puntualizza: “Noi veniamo dal freddo, da condizioni antropologiche in cui il medium di base era quello […] della parola parlata: tipico strumento freddo, anzi prototipo in tal senso, in quanto portato a consentire un globale esercizio sin-estetico; l suono conciliato all’udito (nel così detto circuito orale-aurale), appoggiato al gestire in una pur embrionale performances” [57].

Esemplificano i principi teoretici a favore dell’antilingua [58] le “poesie Fonetiche” (Lautgedichte ovvero “versi senza parole”) che palesano l’avversione per la parola compiuta e che esprimono la loro assiologia non per una formalità estetica compiuta ma per il valore intrinseco del suono:

“Gadji beri bimba glandridi laula lonni cadori Gadjiama gramma berinda bimbala glandri galassassa laulitolomini” [59]

Oppure: Ambula take solunkola tabla tokta tokta takabla” [60], sono versi che hanno abolito lo stile magniloquente della “Poesia” a favore di un apparente non senso logico determinato dalla frantumazione della parola in sillabe la cui vera natura espressiva è trasmessa dalla declamazione in suoni: Fluidi come lamenti sussurrati come respiri, levitanti come il canto degli uccelli, sibilanti come il vento, aerei come i misteriosi segnali emessi da popolazioni extraterrestri. Quale ricchezza sconfinata rispetto al miserabile repertorio di suoni ammessi dal vocabolario” [61].

La destrutturazione anarchica della comunicazione e il rifiuto del sistema culturale sono coordinati verso: “La spinta extra-artistica, [che] corrisponde alle tendenze per così dir radicali o selvagge o primarie volte a creare le installazioni elementari caratteristiche degli stadi antropologici arcaici” [62]nell’espressione poetica di Tzara che, nell’ordine:

GRIDARE!, GRIDARE” [63]

impone un’oralità brutale sollecitando l’istinto animalesco come forma di emancipazione corporea dal surplus di sovrastrutture innaturali che vincolano l’uomo contemporaneo ad un approccio artificiale con lo di scopo  fargli riassaporare il piacere di un’umanità autentica per mezzo dell’estasi, ovvero: “L’uscir fuori e andare a raggiungere la presenza del mondo o l’ambiente” [64]. reale e non fittizio, primordiale e perciò innocente grazie alla trance diacronica. Anche Huelsenbeck, che individua le origini della poesia fonetica nel componimento Kikakoku ekoralaps, scritto nel 1897 dal poeta Paul Scheerbart, trova collocazione in questo ambito della ricerca Dada, in particolare, con le “Preghiere Fantastiche” marca l’importanza della intonazione attribuendo alla modulazione, al timbro e al ritmo della voce il valore espressivo della poesia ribadendo l’idea di Tzara, Il pensiero si forma in bocca” [65], che esprime la concezione del cavo come punto fisico che media tra l’essere e la sua necessità antropologica.

L’artista tedesco stila una classificazione delle sperimentazioni utile a valutare la ricchezza di applicazione dei principi poetici in ambito Dada:

1) “Poesia Statica”: concepita da Tzara come poema di natura ottico-visiva, esalta il silenzio, anticipando la concezione di Cage di suono silenzioso e costringendo la parola: “Ad una faticosa convivenza con tutti i possibili elementi prossemici e cinetici” [66].

Hugnet fornisce una descrizione dell’evento: “Il poema statico era fatto di sedie sulle quali erano posati dei cartelli con una parola scritta sopra e che venivano spostati, a ogni calar di sipario, invertendone l’ordine delle parole” [67].

2) “Poesia Simultanea”: opposta della precedente, si basa sul frastuono linguistico e sulle sovrapposizioni di voci che leggono più testi con: L’intenzione […] di stimolare una percezione simultanea di suoni, voci, rumori il tutto svincolato dai tradizionali rapporti logici di significato” [68].

Ideata da Tzara, trova la massima realizzazione nella sonorizzazione scenica de L’amiral cherche une maison a louer [69]: “Opera contrappuntisica nella quale tre o più voci cantano, fischiano, ecc., contemporaneamente e, precisamente, in modo che le loro combinazioni costituiscono il contenuto elegiaco, buffo o bislacco della cosa. In questo tipo di poesia simultanea il lato bizzarro di un essere è spinto drasticamente a venire alla luce e, insieme la necessità di avere un accompagnamento” [70].

Questo tipo di poema influenza direttamente la trascrizione sonora sulla pagina, che  considerata come uno spartito musicale, visualizza la simultaneità vocale con l’uso alternato di una grafica particolare avviando la sperimentazione tipografica.

3) “Poesia Brutistica” o “Rumoristica”: elaborata da Ball utilizzando suoni e ritmi negri per il recupero di una primordialità e corporeità che i popoli africani avevano esaltato.

4) “Poesia Ginnica”: la stessa denominazione esalta la dinamicità del corpo e la sua forza comunicativa anticipando le performances.

5)  “Concerto di vocali”: sono declamate le vocali.

1.3 Tipografia creativa

Il valore fonetico attribuito alla declamazione poetico-teatrale sollecita la ricerca di una grafica che accordi l’impostazione ottica della pagina all'effetto sonoro della recitazione attivando un corto circuito tra percezione visiva e senso acustico che annovera la tipografia Dada, per la specifica pertinenza alla stimolazione polisensoriale, nel dominio del Gesamtkunstwerk.

La prima poesia teatralizzata, Karawane scritta da Ball, dopo la stesura del manifesto nel ’16, è un’opera priva di contenuto semantico, l’ordine delle parole non segue una logica paratattica ma un accostamento casuale che produce un non-senso, voluto, in realtà, per oltrepassare la soglia della superficie apparente degli eventi e avviare l’introspezione diacronica: nella pagina questa precisa indicazione è trascritta con caratteri di diversi spessori, grandezza e colore accostati senza ordine in un’anarchia dispositiva che esprime il principio poetico Dada del rifiuto della convenzionalità.

Sulla scia del testamento futurista la struttura della pagina gutemberghiana [71] cede a favore di una libera espansione policentrica e discontinua dello spazio che, scardinando la lettura monocentrica e lineare dell’età moderna, determina la crisi della comunicazione occidentale e il progressivo spostamento verso il polo mediatico definito, dal sociologo canadese McLuhan, freddo: la pagina non corrisponde più alla “griglia-contenitore” omologa allo schema della prospettiva rinascimentale ma diventa uno spazio dinamico, da partecipare attivamente con la complicità dello spettatore che deve essere sollecitato sensorialmente per mezzo di media: “Che procurano uno sviluppo armonico e globale della superficie mediale di contatto, in modo che alle nostre facoltà sensoriali sia consentito un esercizio fondamentalmente sin-estetico” [72].

Una progressione in senso sinestetico avviene con Hausmann che dalla poesia onomatopeica evolve verso un’analisi sonora con i “Poemi Otto-Fonetici”, poesie che hanno valore per il loro aspetto fonetico ma che, ugualmente, trovano un correlativo oggettivo nella trascrizione visuale per mezzo di una scrittura che viola il  rispetto della parola scomponendo le lettere, isolandole le une dalle altre e decretando la loro indipendenza con colori diversi, accostando caratteri con grandezze disomogenee, e con tipologie grafiche di periodi storici differenti stravolgendo l’equilibrio visuale della pagina convenzionale.

Le prime sperimentazioni tipografiche nel Novecento trovano origine nel pensiero futurista [73] ma è il Dadaismo che radicalizza i postulati del movimento italiano verso la ricerca della: “Rappresentazione e della percezione in un processo che scardina l’ordine visivo preesistente”, dichiarando, nel n° 3 della rivista “Dada”, la consapevolezza dell’uso creativo della tipografia in un epoca dal dominio incontrastato dai mass media e determinando, nel ruolo attivo della tipografia, “Il problema dell’innesto tra mente e media” [74] colto nell'esatta valutazione della possibilità espressiva e comunicativa offerta dalla: “Creatività grafica e linguistica non […] come fine della propria ricerca, [come fu per i futuristi], ma come mezzo per una presa di contatto più immediata con il loro pubblico, […] nell’ambito di una sperimentazione che non lascia spazio alla demagogia” [75] e che incita Il poeta [a] mescolarsi agli altri uomini in quanto la poesia non risiede soltanto nelle parole; essa è nell’azione, nella vita stessa” [76] calcando l’utopia wagneriana del dramma come: “Arte umana” [77] e di un’opera d’arte del futuro come: Immediato atto vitale” [78] Se “In principio era il verbo” [79] Dada estremizza anche il ritorno alle origini negando il valore della parola per: Lasciar morire la lingua” [80] e se per il linguista Giorgio Fano:  “Si può pensare, senza adoperare neppure mentalmente delle parole fonetiche” [81] perché lo sviluppo del pensiero non richiede l’uso di parole “parlate” ma “E’ comunque indispensabile l’uso del  segno espressivo” [82], Dada nega anche il valore del segno con l’estrema provocazione di Man Ray che nel 1924 crea un  “non-testo”, Lautgedight, privo di parole anticipando concettualmente le cancellature di Isgrò.

1.4 Antropofoto-grafia

La fotografia dadaista, nella particolare concezione dall'artista americano Man Ray, si distingue per un particolare uso del mezzo meccanico conforme alla tendenza del Gesamtkuntwerk nell'integrazione delle arti e nel rapporto arte-vita.

La macchina fotografica  perde lo statuto proprio di ogni mezzo meccanico, inerte e passivo, per appropriarsi della carica energica della vita: concepito come un corpo organico, lo strumento diventa attivo e dinamico grazie alla sensibilità e intelligenza della nuova configurazione che libera la fotografia dall’immobilità concettuale che la tratteneva in un dominio estetico limitato per aprire possibilità espressive illimitate; anticipando la tesi di Marra secondo cui tra arte e fotografia non ci deve essere una preminenza concettuale (“un combattimento” [83]) che pone le discipline su fronti opposti, Man Ray proclama la fotografia come una tecnica tra le altre: “Una delle accuse principali rivoltemi in seguito dai sostenitori della fotografia pura fu quello di aver confuso la pittura con la fotografia. Verissimo, replicai, ero un pittore” [84] continua: Non mi interessa affatto essere coerente come pittore, come creatore di oggetti e come fotografo. Posso servirmi di varie tecniche diverse, come gli antichi maestri, che erano ingegneri, musicisti, e poeti nello stesso tempo” [85] oppure: Non credo che un mezzo di espressione sia migliore di un altro e non credo negli specialisti che fanno una cosa sola nella vita. Bisogna fare mille cose nella vita” [86].

Sfuggire alla specializzazione significa avere una pretesa totalizzante nei confronti del reale per mezzo di un approccio interdisciplinare che Man Ray giudica come ambizione assoluta: Forse lo scopo finale a cui l’artista aspira è la confusione o unione di tutte le arti, così come le cose si confondono nella vita reale” [87] affermazione che induce Alinovi a interpretare una precisa volontà di: Figura totale dell’artista al di là della specializzazione meccanica del lavoro” [88].

Nell’ambito di questa precisa presa di posizione che esalta la compenetrazione delle arti, credo non sia casuale l’interesse di Man Ray per il cinema: tecnica affine alla fotografia, il  “cinèpoeme” (“cinepoesia”)  è indicato come il mezzo più indicativo della contemporaneità per la sua peculiare caratteristica di raccordare in un'unica espressione audiovisiva la definizione del tempo e dello spazio e perché, contraddicendo la specificità di genere, favorisce la fusione a cui Man Ray aspira: Come tutti i compagni dadaisti, era profondamente convinto della necessità di fondere assieme le diverse arti come conseguenza del punto estremo di consapevolezza raggiunto nei confronti delle proprietà inalienabili di ciascuna di esse” [89].

Il rapporto arte-vita nella ricerca fotografica può sembrare scontato: ogni scatto è una presa sul mondo, la macchina organicamente simula la vista perciò ogni porzione di realtà colta dall'obbiettivo entra nel dominio estetico. Man Ray sovverte il “noema” della fotografia dissimulando  l’equazione dei due termini e dimostrando che la peculiarità della fotografia non è assoluta registrazione fenomenica. La sperimentazione, che apparentemente si allontana dall'endiadi arte-vita, in realtà si avvicina alla totalità con una finezza concettuale sorprendente quando Man Ray, rifiutando l’istantanea, insiste sul valore della dimensione temporale: le fotografie sottoposte a tempi lunghissimi acquistano il valore aggiunto delle emozioni, delle reazioni psicologiche e affettive che, catturate dalla prolungata esposizione, non solo il sintomo di una ricerca vitalistica, ma l’indice di una tangenza all’opera d’arte totale nonostante Man Ray non abbia mai dichiarato esplicitamente la sua ricerca nelle intenzioni del Gesamtkunstwerk.

1.5 Conclusioni

Contaminazione tra i generi e  spettacolarizzazione delle arti” si sono  imposte nella ricerca dadaista come i principi totalizzanti assoluti, in un rapporto con lo spettatore inteso come massa, che realizzano  il sogno utopico di Wagner di:  “Arte umana” [90] con la quale: L’egoista diventa comunista, l’uno tutti, l’uomo Dio, i generi artistici l’arte tout court [nella] libera comunità degli artisti […] alla quale in definitiva appartengono tutti gli uomini, il popolo” [91]; la premessa ottocentesca trova analogia con la definizione di “normalizzazione estetica” di Barilli, ovvero: Capillarmente estesa e posta alla portata di tutti democraticamente, e non soltanto degli ambienti d’avanguardia e d’elite [e che porta alla] morte dell’arte nel significato di un’arte nobile, difficile, selettiva” [92], nozione che focalizza il vettore della contemporaneità verso la vita a cui il Dada, con la sua natura sovversiva e iconoclasta, ha dato un impulso determinante e che le parole di Tzara del 1957 confermano: Dada ha tentato non tanto di distruggere l'arte e la letteratura, quanto l'idea che se ne aveva. Ridurre le loro frontiere rigide, abbassare le altezze immaginarie, rimetterle alle dipendenze dell'uomo, alla sua mercé, umiliare l'arte e la poesia, significa assegnare loro un posto subordinato al supremo movimento che non si misura che in termini di vita” [93].

 

Alice Zannoni
 
 
[A cura di Massimo Cardellini]

© 1985/2003 Parol - quaderni d'arte e di epistemologia

 

NOTE

 
[1] Negazione dell’arte: “Nel suo significato più ampio e completo, ivi compresi i gesti abituali, gli eventi naturali, i comportamenti quotidiani, gli oggetti di uso comune”, Spatola A. in Pignotti L., Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma,  Editoriale l’Espresso,  p. 71.
[2] Tzara T., 3 dicembre 1918, Manifesto Dada, pubblicato nella rivista "Dada", in Posani G., 1990,  Manifesti del dadaismo e Lampisterie Einaudi, Torino. Reperibile su sito: www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html.
[3] Ibidem.
[4] Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 5.
[5] Tzara T., 3 dicembre 1918, Manifesto Dada, pubblicato nella rivista “Dada”, in Posani G., 1990,  Manifesti del dadaismo e Lampisterie Einaudi, Torino. Reperibile sul sito: www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html.
[6] Ibidem.
[7] Definizione attribuita da Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 24.
[8] Da ricordare l’incontro di pugilato disputato il 23 aprile 1916 a Madrid in cui sfida il campione Jack Johnson che al primo colpo lo mette a k.o.; oppure quando si presenta completamente ubriaco all’inaugurazione della mostra degli Indipendenti di New York. La precoce morte nel 1918 non ha impedito che il lascito testamentale delle sue esperienze andasse perso: estetizzazione comportamentale e  negazione della componente intellettuale dell’arte in nuce sono state raccolte e sviluppate da molti dadaisti, in particolare da Grosz e Schwitters.
[9] Il quotidiano nelle intenzioni dadaiste, pur restando l’affascinante e imprevedibile luogo dell’apertura fenomenica, andava capillarmente artisticizzato, andava caricato e vivacizzato esteticamente tanto da farlo divenire un continuo e sorprendente spettacolo” in Marra C., 1999, Fotografia e pittura nel novecento. Una storia senza combattimento, Milano, B. Mondadori Editore, p. 49.
[10] Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna. Pag. 5.
[11] Ball H. alle prime serate dadaiste del 1916 riportato in Schwarz A., 1976,  Almanacco Dada, Milano, Feltrinelli, p. 580.
[12] Barilli R., 2002, L’arte contemporanea. Da Cezanne alle ultime tendenze,  Feltrinelli Editore, Milano, p. 199.
[13] Nella  specifica interpretazione di Barilli: “Morte dell’arte significa scomparsa di un arte alta, nobile, difficile, selettiva e vantaggio di un estetica diffusa e capillare, ovvero appunto normalizzata”, in Barilli R., 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna,  Milano, Bompiani Editore, p. 110.
[14] Barilli R., 2002,  L’arte contemporanea. Da Cezanne alle ultime tendenze,  Feltrinelli Editore, Milano, p. 199.
[15] Ibidem.
[16] Marquardt O., 1994, Opera d’arte totale e sistema dell’identità. Riflessioni a partire dalla critica di Hegel a Schelling in Estetica e anastetica. Considerazioni filosofiche, Bologna, Il Mulino, p. 205.
[17]La nascita ufficiale del Dada è sancita con una performance al “Cabaret Voltaire” di Zurigo di Hugo Ball (con Arp, Huelsenbeck, Tzara e Janco) in cui si canta, balla, suona e si recitano poesie in cui vige la sola regola del caso e dell’improvvisazione  secondo il modello del music-hall.
[18] Menna F., 2001, La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone, Giulio Einaudi Editori, Torino, p. 44.
[19] De Paz A., Avanguardie storiche e dintorni,  dispensa del corso “Metodologia della critica delle arti” Anno Accademico 2003-2004, p. 92.
[20] Ibidem p. 207.
[21] Insistendo sulla primigenia vocazione del futurismo vorrei menzionare un fatto apparentemente irrilevante ma che testimonia il rapporto esistente tra i due movimenti: nel 1916 Tzara fa un viaggio a Roma dove incontra Prampolini e la colonia futurista romana che aveva già consolidato la pratica esibizionistica con serate ed eventi teatrali. In Calvesi M., 1975, Il futurismo. La fusione dell’arte nella vita, Milano, Fratelli Fabbri Editori, p. 134.Inoltre non si può tralasciare il contatto diretto tra i due “ismi” per mezzo di una lunga corrispondenza tra Ball e Marinetti indice di una stima reciproca confermata dalla pubblicazione del poema Dune nella rivista a numero unico “Cabaret Voltaire”. La condivisione degli stessi principi non significa, comunque, una reiterazione coincidente, avviene, anzi,  una sorta di ripetizione differente che allontana concettualmente i due movimenti: i futuristi mirano a una sintesi dinamica dei linguaggi che trova nel testo i veicolo privilegiato, i dadaisti, invece,  sono interessati all’accostamento casuale, ludico e spontaneo; i primi sono intenzionati a rivoluzionare il teatro mentre i secondi puntano all’azzeramento paradossale (non alla trasformazione) dell’evento artistico sganciandosi anche dal teatro come luogo ideale di accoglienza dei diversi linguaggi artistici.
[22] Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 14.
[23] Balzola A.,  Monteverdi A., 2004, Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche elle arti del nuovo millennio, Milano, Garzanti, p. 45.
[24] Ball H. in www.girodivite.it/antenati/xx2sec/dadaismo.htm
[25] De Paz A., Avanguardie storiche e dintorni, dispensa del corso di “Metodologia della critica delle arti”, Anno Accademico 2003-2004, p. 94.
[26] Balzola A., Monteverdi A., 2004,  Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche elle arti del nuovo millennio, Milano, Garzanti, p. 45.
[27] Albert-Birot P.,  A popos d‘un thèatre Ninuque in “Sic” n° 8, 9, 10, citazione in Balzola A., Monteverdi A., 2004, Le arti multimediali digitali. Storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche elle arti del nuovo millennio, Milano, Garzanti, p. 47.
[28] Huelsenbeck R.,  aprile 1918,  Primo manifesto Dada in lingua tedescatraduzione italiana curata da Schwarz A., 1976, Almanacco Dada, Feltrinelli, Milano.
[29] Marinetti, F.T., 11 maggio 1912, Manifesto tecnico della letteratura futurista, Milano, Direzione del Movimento Futurista. Il monito futurista, che nel 1912 aveva scandalizzato l’opinione pubblica, nella rilettura dadaista non appare poi così sovversivo: Marinetti disprezza la produzione artistica precedente alla propria rivoluzione non il sistema e non disdegna, in realtà, l’altare dell’arte su cui egli stesso “troneggia” distinguendosi per il grado di eccezionalità che lo separava proprio dalla meta dada: la conquista dell’uomo comune.
[30] Barilli R., 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna,, Miolano, Bompiani Editore.
[31] Ibidem, p. 18 dell’introduzione.
[32] Pignotti L., Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale l’Espresso, p. 71.
[33] Ball H., in Henkin Melzer, 1973, The Dada Actor and Performances Theory, traduzione di Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 17.
[34] Tzara T., in Barilli R., 2002,. L’arte contemporanea. Da Cezanne alle ultime tendenze, Feltrinelli  Editore, Milano, p. 199.
[35] Barilli R., 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Milano, Bompiani Editore, p. 39.
[36] La circolazione di idee e di fermenti dei primi quindici anni del Novecento influenza le vicende del Dada che, non immune dalla contaminazione culturale,  fagocita e rielabora i caratteri consolidati per avviare la  poetica della negazione. In questo specifico frangente della trattazione vorrei sottolineare, una indubbia consonanza tra gli “abiti cilindrici” e i manichini di Leger che, motivati nella  ricerca dell’aspetto meccanico, hanno una somiglianza non solo apparente nella forma esteriore ma anche concettuale in quanto l’artista francese dichiara a proposito dell’assenza di naso, occhi, bocca dei suoi volti: “L’espressione è sempre stata un elemento troppo sentimentale per me…” confermando un’analogia con la funzione della maschere che nasconde la propria identità e annulla il sentimento anche se poi esplicitamente dichiara “L’arte negra nel momento in cui era di gran moda non mi ha colpito. Le sue forme tormentate erano troppo distanti da me”, in Vallier D., 1990, Dentro l’arte, Torino, Edizioni il Quadrante, pp. 49-51.
Evidente è anche una somiglianza con la ricerca di Depero che ha fatto dei suoi manichini il simbolo della “meccanica-umana” futurista.
[37] Ball H., in Melzer A.,  Dada Performance at Cabaret Voltaire cit. pag. 85 in Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 19.
[38] L’uso della maschera “strana”, “esotica” in ambito estetico è già stato assimilato dalla cultura europea con Gauguin prima  e in seguito con  il cubismo.
[39] De Paz A., Avanguardie storiche e dintorni, dispensa corso del “Metodologia della critica delle arti”, Anno Accademico 2003-2004, p. 92.
[40] La vocazione Dada nella capitale tedesca è conclamata dalla fondazione del “Club Dada” anche se una predisposizione alla teatralizzazione era stata anticipata dai fratelli Heartfield che nel settembre del ’16 organizzarono una serata di poesia alla “Galleria Neumann”.
[41] Grosz era conosciuto per uno spirito ortodosso e imprevedibile che utilizzava per criticare la borghesia e la militanza bellica accompagnata da una pungente satira che lo vedeva a favore del KPD (il partito comunista tedesco) per esempio il suo spirito goliardico lo vede spedire al fronte pacchetti che contenevano un intera parure per serate di gala;  si spacciava per un commerciante olandese fautore della guerra giustificandola con motivazioni del tutto assurde; frequentava il Cafè des Westens, ritrovo di bohemiens poveri e malnutriti sfoggiando un abbigliamento impeccabile; accoglieva gli ospiti in casa vestito da cameriere per disorientarli.
[42] Ball H., 14 luglio 1916, Manifesto Dada, letto la prima volta nella sala “Waag”, traduzione in Schwarz A., 1976, Almanacco Dada, Feltrinelli, Milano, pp. 53, 54.
Reperibile anche sul sito: www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html
[43] Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 125.
[44] Tzara T., 3 dicembre 1918, Manifesto Dada, pubblicato nella rivista “Dada”, in Posani G., 1990,  Manifesti del dadaismo e Lampisterie Einaudi, Torino. Reperibile sul sito: www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html
[45] La “tradizione” narra la scelta delle sillabe affidata alla pura casualità di un tagliacarte che scorre tra le pagine di un vocabolario; secondo alcuni, invece, la preferenza “Da-Da” è dovuta all’assonanza con il linguaggio infantile, per altri la soluzione sta nella traduzione romena “si si”,  mentre una ulteriore interpretazione vede il collegamento con i fonemi dell’africa nera.
[46] Tzara T., in www.girodivite.it/antenati/xx2sec/dadaismo.htm
[47]Per tentare la definizione dei punti più importanti è utile la conoscenza del il diario di Ball Die Flucht aus der Zeit (Fuga dal tempo), pubblicato dalla moglie nel 1927, traduzione inglese 1974, Flight Out of Time. A Dada diary, New York. Chronique Zurichoise di Tzara T. 1915-19 traduzione inglese in Motherwell 1951, The Dada Painters and Poets, Wittenborn Schulz,  New York. Huelsenbeck R., 1920, En Avant Dada. Eine Geschichte des Dadaismus, traduzione inglese in Motherwell, 1951, The Dada Painters and Poets, Wittenborn Schulz, New York.
[48] Barilli R., 2002, L’arte contemporanea. Da Cezanne alle ultime tendenze,  Feltrinelli  Editore,  Milano, p. 199.
[49] Tzara T., 14 luglio 1916, Il manifesto del signor Antipirina, letto al “Waag”, traduzione italiana a cura di Posani G., 1990,  Manifesti del Dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino, pp. 3, 4.
[50] Letto il 12 dicembre 1920 alla “Galerie Povolozky” di Parigi e pubblicato sul n° 4 della rivista “Le vie de lettres” nel 1921.
[51] Tzara T., 1920, Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro, pag. 28, in Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 128.
[52] Pignotti L., Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale l’Espresso, p. 99.
[53] Ball H. Die Flucht aus der Zeit, in Forte L., 1976, La poesia dadaista tedesca, Einaudi, Torino, p. 78.
[54] Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 128.
[55] Wagner R., 1849, L’arte e la rivoluzione e altri scritti politici, 1973, a cura di Mangini M., Rimini, Guaraldi.
[56] Ball H., 14 luglio 1916, Manifesto Dada, letto la prima volta nella sala “Waag”, traduzione in Schwarz A., 1976, Almanacco Dada, Feltrinelli, Milano. Reperibile sul sito: www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html.
[57] Barilli R., 1974,  Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Milano, Bompiani Editore, p. 60.
[58] “Perché l’albero non può chiamarsi plulpusc, e pluplash quando ha piovuto? E perchè deve comunque chiamarsi qualcosa? Dobbiamo appendere la nostra bocca dappertutto?”, Ball H., 14 luglio 1916, Manifesto Dada, letto la prima volta nella sala “Waag”, traduzione in Schwarz A., 1976, Almanacco Dada, Feltrinelli, Milano. Reperibile sul sito:
www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html
[59] Sono i primi due versi della poesia fonetica più famosa  Gadji beri bimba di Hans Ball letta nel 1916.
[60] Ball H.,  Totenklage: è una poesia che si avvicina al lamento funebre, composta da parole completamente inventate la cui comprensione si fonda esclusivamente sul coinvolgimento emotivo dello spettatore.
[61] Alinovi F., 1980, Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p. 130.
[62] Barilli R., 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Milano, Bompiani Editore, p. 16 dell’introduzione.
[63] Tzara T., 3 dicembre 1918, Manifesto Dada, pubblicato nella rivista “Dada”, in Posani G., 1990,  Manifesti del dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino, pp. 5-14.
Reperibile sul sito: www.isikeynes.it/ipertesti/arte_cinema/manifestodada.html
[64] Barilli R., 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Milano, Bompiani Editore, p. 8.
[65] Tzara T., 12 dicembre 1920,  Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro, letto alla “Galerie Povolozky” e pubblicato sul n° 4 della rivista “La vie de letters”, p. 25.
[66] Pignotti L., Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale l’Espresso, p. 72.
[67] Ibidem.
[68] Ibidem.
[69] E una lunga poesia recitata da Tzara con Janco e Huelsenbeck il 31 marzo 1916.
[70] Ball H. in Pignotti L., Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale l’Espresso, p. 72.
[71] Caratteristici dell’età moderna, la segmentazione dell’esperienza, la successione seriale, l’omogeneità, la ripetibilità sono fattori di approccio alla realtà determinati della stampa di Gutemberg che McLuhan classifica come mezzo caldo: sollecita un unico canale sensoriale, la vista ed è costituito da segni ad alta definizione, le lettere dell’alfabeto scandite nettamente e combinabili infinitamente.
[72] Barilli R., 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Milano,  Bompiani Editore, p. 59.
[73] L’innovazione della pagina futurista annunciata ne La pittura futurista-manifesto tecnico (Boccioni U., Carrà C., Russolo L., Balla G., Severini G.,  11 aprile 1910 pubblicato nel 1914 in  Manifesti del Futurismo  Ed. Lacerba, Firenze) è diffusa attraverso la conoscenza mediata di Apollinaire che ne L’antitradition futurista, manifeste synthèse (apparso in “Lacerba” n° 18 del 15 settembre 1913) si ispira alle nuove forme di comunicazione istantanee dei mass media (radio e telegrafo) inneggiando all’abolizione della punteggiatura per creare una corrente discorsiva fluida.
L’impulso esplicito alla fluidità è un fattore che conduce le ricerche nella sfera della contemporaneità: si decreta la fine dello spazio moderno e della concezione spaziale omogenea, segmentata a favore della continuità e istantaneità.
[74] Taiuti L., 1996, Arte e Media. Avanguardia e comunicazione di massa, Genova, Costa e Nolan, p. 46.
[75] Pignotti L., Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale l’Espresso, p.  73.
[76] De Paz A., Avanguardie storiche e dintorni, dispensa del corso di “Metodologia della critica delle arti”, Anno Accademico 2003-2004, p. 92.
[77] Wagner R., 1848, Opera d’arte dell’avvenire, 1963, Milano, Rizzoli.
[78] Ibidem, p. 46.
[79] Gv, 1-1.
[80] Ball H., in Pignotti L.,  Stefanelli S., 1980, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del novecento tra parola e immagine, Roma, Editoriale l’Espresso, p. 74.
[81] Fano G., 1962, Origine e natura del linguaggio, Einaudi, Torino, p. 345.
[82] Ibidem p. 346.
[83] Marra C., 1999, Fotografia e pittura nel Novecento: una storia senza combattimento, Milano, B. Mondadori.
[84] Schwarz A., 1977, Man Ray. Il rigore dell’immaginazione, Feltrinelli, Milano, p. 284.
[85] Ibidem, p. 5.
[86] Intervista del 1971 riportata nel catalogo della mostra a cura di Fagiolo Dell’Arco M. del 1975, Man Ray l’occhio e il suo doppio, Palazzo delle Esposizioni, Roma.
[87]Schwarz A., 1977, Man Ray. Il rigore dell’immaginazione, Feltrinelli, Milano, p. 5.
[88] Alinovi F., 1980,  Dada anti-arte e post-arte, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, p.164.
[89] Ibidem.
[90] Wagner R., 1848, Opera d’arte dell’avvenire, 1963, Milano, Rizzoli.
[91] Ibidem.
[92] Barilli R.,, 1974, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Milano, Nuovi saggi Bompiani.[93] Tzara T., in www.girodivite.it/antenati/xx2sec/dadaismo.htm.
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30 luglio 2013 2 30 /07 /luglio /2013 06:00

Le mammelle di Tiresia

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Prima edizione del 1918 dell'opera di Apollinaire

 

 

le-mammelle-di-Tiresia1918.jpg

Frontespizio della prima edizione dell'opera di Apollinaire

edita dalle Edition SIC di Pierre Albert Birot.

 

Eléonore Cotton

Les mamelles de Tirésias [Le mammelle di Tiresia] è un'opera teatrale tanto breve quanto sorprendente. Essa comprende soltanto due atti ma è un florilegio di sorprese per un lettore aperto al suo umorismo. L'intreccio è di per sé divertente: vi troviamo una donna che si rifiuta di essere tale e desidera elevare la sua condizione allo stesso livello di quello degli uomini; Da ciò, un uomo, allo scopo di salvare la patria, decide di trovare un mezzo per far figli senza la donna. Il resto della comicità si pone nell'azione, le repliche e il modo in cui tutto ciò si costruisce sotto la penna di Apollinaire.

Malgrado la ribellione della donna, non qualificherei questo scritto come femminista, ma piuttosto come patriota. La principale preoccupazione è quella delle nascite che sono giudicate troppo poco numerose a Zanzibar che è esplicitamente l'avatar di Parigi. Un grande numero di nascite apparirebbe come il segno della forza di un paese. Un numero piccolo come il segno della sua debolezza.

Fatta questa breve descrizione, tengo a dire che ho amato quest'opera per il suo carattere molto originale. Poi proporrò dei frammenti della prefazione scritta da Apollinaire stesso. Si tratterà di comprendere perché l'autore desidera chiamare quest'opera un "dramma surrealista" e non un'opera comica. Questo primo frammento darà la definizione del surrealismo da parte di Apollinaire che si pone in quel momento come pioniere del genere in materia letteraria. Il secondo frammento è la spiegazione del perché della scrittura di un tale dramma.

SIC-1918-N26-Tiresia.jpg

Copertina della rivista SIC edita da Pierre Albert Birot in cui è riprodotto il disegno di Serge Pérat per la copertina del libro.

 

Dalla Prefazione a Les Mamelles de Tirésias delle Edition Nrf Poésie, Gallimard:

Senza pretendere indulgenza, faccio notare che questa è un'opera di gioventù, perché salvo il Prologo e l'ultima scena del secondo atto che sono del 1916, quest'opera è stata scritta nel 1903, e cioè quattordici anni prima che la si rappresentasse.

L'ho chiamata dramma che significa azione per stabilire ciò che la separa da quelle commedie di costume, commedie drammatiche, commedie leggere che da più di mezzo secolo forniscono alla scena delle opere di cui molte sono eccellenti, ma di second'ordine e che sono chiamate semplicemente opere.

Per caratterizzare il mio dramma mi sono servito di un neologismo che mi si perdonerà perché ciò mi accade raramente e ho forgiato l'aggettivo surrealista che non significa affatto simbolico come ha supposto il signor Victor Basch, nel suo foglio drammatico, ma definisce assai bene una tendenza dell'arte che se non è più nuova di tutto ciò che si trova sotto il sole non ha ciò non di meno servito a formulare alcun credo, nessuna affermazione artistica e letteraria.

L'idealismo volgare dei drammaturghi che sono succeduti a Victor Hugo ha cercato la verosimiglianza in un colore locale di convenzione a cui si abbina il naturalismo come trompe-l’œil delle opere teatrali di costume di cui si troverebbe l'origine ben prima di Eugène Scribe, nella commedia lacrimevole di Nivelle o di la Chaussée.

E per tentare, se non un rinnovamento del teatro, per lo meno uno sforzo personale, ho pensato che si doveva ritornare alla natura stessa, ma senza imitarla alla maniera dei fotografi.

Quando l'uomo ha voluto imitare il camminare, ha creato la ruota che non somiglia a una gamba. Ha fatto così del surrealismo senza saperlo.

Ho trovato interessante il modo in cui Apollinaire definisce ciò che intende con surrealista. Tanto più interessante quando si pensa a tutto ciò che il termine ha dato al genere letterario.

Alla luce di questa prima parte della prefazione, Le mammelle di Tiresia acquistano un senso particolare. Ciò che sembra strano a un lettore abituato a qualcosa di più classico e di più verosimile non è altro che "la ruota che imita il camminare", nient'altro che l'imitazione di un fatto naturale. Nulla è dunque fatto per caso e, senza parlare di simboli perché Apollinaire se ne difende ferocemente all'interno di questa prefazione, tutto ha un senso e trova una spiegazione logica in termini di rappresentazione e di fatti.

 

Dalla Prefazione a Les Mamelles de Tirésias di Apollinaire, Edition Nrf Poésie/Gallimard:

Al momento, mi è impossibile decidere se questo dramma è serio oppure no. Esso ha come scopo di interessare e divertire. È lo scopo di ogni opera teatrale. Ha anche lo scopo di porre in rilievo una questione vitale per coloro che capiscono la lingua nella quale è stata scritta: il problema del ripopolamento.

Avrei potuto fare su questo soggetto che non è mai stato trattato una rappresentazione teatrale secondo il tono sarcastico-melodrammatico che hanno fatto diventare di moda i creatori di "opere teatrali a tesi".

Ho preferito un tono meno cupo, perché non penso che il teatro debba disperare chiunque.

Avrei anche potuto scrivere un dramma di idee e adulare il gusto del pubblico attuale che ama darsi l'illusione di pensare.

Ho preferito dare un libero corso a questa fantasia che è il mio modo di interpretare la natura, fantasia, che secondo i giorni, si manifesta con più o meno malinconia, satira e lirismo, ma sempre, e finché mi è possibile, con buon senso dove vi è a volte abbastanza novità perché possa colpire o indignare, ma che apparirà alle persone di buona fede.

Il soggetto è così commovente a mio avviso, che permette anche che si dia alla parola dramma il suo senso più tragico; ma spetta ai Francesi che, se si rimettono a fare dei figli, l'opera possa essere chiamata, oramai, una farsa. Nulla potrebbe causarmi una gioia tanto patriottica.

Oltre il fatto che si possa trovare in questo estratto una continuazione della definizione del surrealismo da parte di Apollinaire nel modo in cui  conviene affrontare e trattare il soggetto teatrale presso il pubblico, questo estratto mi ha interpellato perché espone chiaramente lo scopo di questo testo: posare la questione del "problema di ripopolamento".

Questione eminentemente importante agli occhi di Apollinaire nel suo spirito assetato di "gioia patriottica". È un aspetto della sua figura che traspare molto spesso. Questa fibra patriottica francese si ritrova nelle sue poesie, all'interno di diverse raccolte, mentre testimonia alla Germania soltanto una fantasticheria ad esempio (vedere il caso delle "Renane"  in Alcools); si ritrova anche in Le Poète Assassiné di cui uno dei racconti si chiude con "Viva la Francia", ma non è che un esempio. È un aspetto dell'autore che trovo abbastanza affascinante in fin dei conti, nato in Italia, a Roma, da madre polacca. Vissuto in Belgio, in Germania e in Francia. Malgrado tutti questi orizzonti che si riuniscono in questo personaggio, è alla Francia che il suo cuore appartiene. Si è battuto per essa durante la guerra 14-18, dopo aver dovuto insistere per aver il diritto di integrare l'esercito francese perché non ne aveva la nazionalità. È stato ferito durante questa guerra (colpito da una scheggia alla testa dopo lo scoppio di un obice nel 1916, anno in cui fu trapanato alla testa). È morto il 9 novembre 1918, colpito dalla spagnola, due giorni prima dell'armistizio che doveva porre fine alla guerra. Ne diventerà quasi un simbolo.

 

[Traduzione di Massimo Cardellini]

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30 giugno 2013 7 30 /06 /giugno /2013 06:00

Man Ray

Ray_portrait.jpg

La sintesi di due espressioni di una stessa contestazione


Isabelle Marinone
 

alfred-Stieglitz.jpgEmmanuel Radnitsky detto Man Ray nasce nel 1890 a Philadelphia [1]. Proveniente da una famiglia di emigrati molto modesti, suo padre era sarto di mestiere, cresce circondato dai suoi fratelli, sorelle, genitori molto premurosi [2] malgrado delle condizioni di vita a volte difficili. La famiglia domicilia a Brooklyn, sette anni dopo la sua nascita, città dove comincia i suoi studi. Molto presto, disegna. Così, tra il 1904 ed il 1909, gli studi secondari lo conducono a dei corsi di disegno libero e industriale. Malgrado dei risultati promettenti alla fine di questo cursus, il futuro artista rinuncia ad una borsa universitaria ottenuta per studiare l'architettura. Preferendo la vita attiva, si dedica ad un gran numero di piccoli mestieri, passando da venditore di giornali, ad apprendista incisore, e grafico. Allo stesso tempo, si iscrive ad un'accademia di arti plastiche in cui si danno dei corsi con dei modelli. Cercando sempre di perfezionarsi ulteriormente, si reca alla galleria 291 di Alfred Stieglitz, in cui quest'ultimo gli suggerisce di iscriversi alla "Ferrer Modern School" [3]. Man Ray segue il suo consiglio e si candida alla scuola libertaria che dispensa allora numerosi corsi di disegno e di acquarello. Tra il 1912 ed il 1913, vive la pratica anarchica all'interno di questa struttura, e disapprende un po' alla volta l'accademismo delle sue precedenti formazioni.

ray--Modern_school-di-New-York--1912.jpgNella sua testimonianza ad Anne Guerin nel 1964, ricorda questo periodo fondativo della sua opera avvenire: "(...) È allora che intesi parlare di un centro sociale a nord della città, ci si poteva iscrivere ad un corso serale in cui dei modelli posavano. (...) Potevo iscrivermi quando potevo, il corso era gratuito per i membri che si effettuavano una colletta per pagare il modello. (...) Questo centro era stato fondato, in ricordo  dell'esecuzione dell'anarchico spagnolo Francisco Ferrer, da dei simpatizzanti di quest'ultimo. Era finanziato da uno scrittore benestante newyorchese. Oltre i corsi artistici, c'erano dei corsi di letteratura, di filosofia ed una scuola per i bambini dei membri che desideravano allevare la loro progenitura in un ambiente più liberale di quello offerto dalle scuole pubbliche. Tutti i corsi erano gratuiti, alcuni scrittori e pittori conosciuti fungevano benevolmente da professori. Di fatto tutto era libero, anche l'amore. La maggior parte disapprovavano le convenzioni imposte dalla società [4]".
 
ray--Robert-Henri--1900.jpgIl suo professore, Robert Henri, pittore moderno molto rinomato all'epoca ed anarchico, spiega allora ai suoi studenti che l'artista deve sempre restare individualista, al di fuori di ogni gruppo o scuola, "(...) Tutto l'interesse del corso artistico del centro Ferrer, è di instaurare l'idea che ogni studente è il suo proprio maestro... che gli studenti possono imparare gli uni dagli altri tanto quanto il loro professore, o anche per caso" [5].
Man Ray trae dai corsi di Robert Henri numerose lezioni. In seguito, quando dà spiegazioni sulla sua opera, sulla sue evoluzione come artista, spesso sorgono nelle sue espressioni uno spirito anarchizzante.
(…) La ricerca del piacere, della libertà e della realizzazione dell'individualità, sono gli unici moventi della razza umana suscettibili di acquisizione, nella nostra società, attraverso l'opera creatrice [6].
Le sue prime esposizioni sono realizzate all'interno del centro Ferrer, nel dicembre 1912, prima del suo tentativo nella celebre galleria dell'Armory [7] Un anno dopo, prende il nome di Man Ray. Il 1913 si rivela come l'anno cardinale per il giovane, egli sceglie definitivamente il mestiere del pittore.
 
ray--adolf-wolff1.jpgFrequentando Adolf Wolff, altro professore del centro anarchico, Man Ray si innamora della sposa di quest'ultimo, Adon Lacroix. Il pittore libertario non si oppone, ed aiuta anche il giovane artista a trovare un laboratorio. Durante questo periodo, decide di ritirarsi in mezzo alla natura come il suo idolo letterario, Walden. Questa iniziazione nel New Jersey, a Ridgefield, in una comunità di artisti nella foresta, accende nuovi bisogni, nuovi gusti artistici.
(…) Pensavo a Thoreau, e speravo di poter un giorno liberarmi delle costrizioni della civiltà [8].
ray--Armory_Show_1913--New-York.jpgDopo questo ritiro, torno al mondo civilizzato con uno sguardo nuovo. Questo soggiorno fuori dalla civiltà si trova confortato dalla grande esposizione detta "Armory show", in cui Man Ray scopre le avanguardie europee e con esse, Marcel Duchamp e Francis Picabia. La rivelazione di queste opere moderne entusiasma il giovane ed orienta le sue future creazioni. Così l'anno successivo, da poco sposato, acquista il suo primo apparecchio fotografico allo scopo di realizzare delle riproduzioni delle sue tele. Sin dal 1915, pubblica sulla rivista 291 di Stieglitz. In aprile, Adon Lacroix pubblica  a sua volta una raccolta di poesie illustrate da lui, A book of diverse writing. Man Ray nel mese di settembre incontra il suo idolo, Marcel Duchamp, a New York.
 

ray--Revolving-Doors-IV--La-Rencontre---1926.jpgA partire da questo periodo, l'artista spicca il volo. Alla fine del 1915, fa la sua prima esposizione personale a New York alla "Daniel Gallery". I due anni che seguono lo portano a staccarsi sempre più dalla pittura per preferire la fotografia. Sperimenta diverse tecniche come il "Cliché-verre"*. Poi, realizza nel 1917 una serie di collage, Revolving doors, e dipinge Suicide considerato come una delle prime aerografie della storia della pittura. Man Ray assiste alle conferenze organizzate da Duchamp e Picabia. Scopre dei personaggi libertari come Arthur Cravan, il grande provocatore che all'epoca provocava molto scandalo. Questo gusto per il rovesciamento delle convenzioni e delle buone maniere non può che piacere all'Americano, Cravan incarna Dada in persona. Nel marzo del 1919, in compagnia di Philippe Soupault, Adon Lacroix, e Duchamp, fa uscire l'unico numero della rivista TNT.

ray--suicide--1930.jpg

ray--Admiration-of-the-Orchestrelle-for-the-Cinematograph.jpgIl suo interesse per il cinema si fa già sentire con la sua tela Admiration-cinematograph che reca un riquadro a sinistra della sua opera, segmentata, che ricorda la pellicola filmica. Man Ray si avvicina a Dada, cercando ad ogni costo la libertà di creazione. Nel 1920, inizia una corrispondenza con il papa del movimento Dada, Tristan Tzara. La realizzazione di oggetti, come quelli di Duchamp, lo interessa vivamente, egli crea allora il suo primo oggetto, L'Enigma di Isidore Ducasse.
 
ray, enigma di Isidore Ducasse
Nella stessa idea, collabora all'opera di Duchamp, e realizza insieme a lui, Rotative plaque verre (optique de précision). Lo stesso anno, intraprende un primo tentativo di sperimentazione di film stereoscopico con l'aiuto di due telecamere, poi gira un secondo film d'avanguardia, nel quale l'artista rade i peli pubici della Baronessa Elsa Von Freytag-Loringhoven, donna eccentrica vicina ai Dadaisti del momento [9]. Il film è stato, secondo Man Ray, distrutto durante lo sviluppo. In aprile, espone sempre a New York, Lampshade di cui dà, alcuni anni dopo, nel suo film Le Retour à la raison [Il Ritorno alla ragione], una versione in movimento, girando su se stesso.
 
ray-duchamp--Rotative-plaque-verre--optique-de-precision--.jpgRay, Duchamp, Rotative plaque verre - optique-de-precision
(…) Sotto qualunque forma esso venga rappresentato, disegno, pittura, fotografia, l'oggetto deve divertirsi, ismarrire, annoiare o ispirare la riflessione però mai suscitare l'ammirazione per la perfezione tecnica (...). Gli artigiani eccellenti riempiono le strade, ma i sognatori pratici sono rari [10].
L’anno successivo, edita una rivista con Duchamp con il nome di "New York Dada", di cui esce soltanto. un numero. Man Ray si definisce dunque come un artista Dada, che partecipa alle enunciazioni teoriche contestatrici e libertarie. Tutto lo richiama verso Parigi. In seguito alla partenza nel giugno del 1921 di Duchamp per la Francia, il fotografo non tarda a raggiungerlo, non avendo più molti contatti negli Stati Uniti, essendosi separato da tre anni dalla moglie. Il 21 luglio, giunge a Parigi, ed alloggia presso Duchamp.
(…) Quando sono giunto in Francia, mi sono imbattuto nel gregge dei rivoluzionari, dei Dadaisti, e così via. Ho loro mostrato alcuni dei miei lavori ed essi hanno trovato che erano esattamente del genere per il quale combattevano [11].
i-fratelli-Duchamp--da-sinistra--Marcel--Jacques-e-Raymond-.jpgI due pittori proseguono le loro ricerche cinegrafiche, soprattutto presso Jacques Villon, dove girano delle sequenze che mostrano dei dischi ottici fissati su una ruota di bicicletta in movimento. I piani montati daranno il film Anemic cinéma. Alla fine del 1921, Man Ray lavora molto sui ritratti fotografici  scopre il procedimento che lo farà conoscere nel mondo, la Rayografia [12]. Il suo lavoro è oggetto di un aprima esposizione parigina in dicembre, alla libreria "Six" di Philippe Soupault. Vi espone Admiration of the orchestrelle for the cinematograph.
 
ray--Kiki-de-Montparnasse.jpg
Durante questo periodo, Man Ray incontra Kiki de Montparnasse, che diventa ben presto la sua modella. Essendosi trasferito nel suo laboratorio di rue Campagne Première,si volge sempre più sulle possibilità offerte dal cinema. Tristan Tzara gli chiede nel 1923, di realizzare un film Dada per una serata al Théâtre Michel, "Le Cœur à Barbe". Avendo poca ispirazione, Man Ray tenta degli esperimenti, soprattutto di gettare degli oggetti sulla pellicola alla maniera della rayografia.
ray--Delaunay--soiree-coeur-a-barbe--1923.jpg
(…) Mi procuravo un rullo di pellicola di una trentina di metri, mi installavo in una camera oscura dove ritagliavo la pellicola a piccole strisce che attaccavo con delle spille sul mio tavolo di lavoro. Cospargevo alcune strisce con sale e pepe (...) sulle altre strisce, gettavo, casualmente, degli spilli e delle puntine [13].
ray--soiree-coeur-a-barbe--1923.jpg
Il risultato alla proiezione sorprende e provoca una zuffa tra gli spettatori in sala.
 
(…) Il sale, gli spilli, le puntine erano perfettamente riprodotte, in bianco su sfondo nero come le lastre dei raggi X (...). Chiamai il film "Ritorno alla Ragione" (...). Le immagini somigliavano ad una tempesta di neve i cui fiocchi volavano in tutti i sensi invece di cadere, e che si trasformavano in un campo di margherite, come se la neve, cristallizzata, diventasse fiore. Seguiva la sequenza delle puntine: bianche, enormi, esse si intrecciavano e volteggiavano come in una danza epilettica [14].
 
 Ritorno alla ragione, 1923.
In seguito a questa movimentata seduta, Man Ray comincia a farsi una certa reputazione negli ambienti artistici parigini, ed altri artisti come  Dudley Murphy gli propongono di realizzare un altro film dello stesso stile. Ma il fotografo non ci tiene a entrare nel mondo del cinema il cui aspetto industriale lo disgusta.
 
(…) Non avevo nessuna intenzione di approfittare di questa pubblicità, perché sapevo che il mio modo di affrontare il cinema era agli antipodi di quella che l'industria e il pubblico si aspettavano da me (...). In fondo il cinema non mi interessava: non avevo alcuna voglia di diventare un regista di successo. Sarei stato tentato di fare un nuovo film se avessi avuto dei fondi illimitati da gettar dalla finestra [15].

Dopo certi piani girati, il progetto presto abbandonato da Man Ray è ripreso da Fernand Léger, il film si intitola allora Le ballet mécanique [Il balletto meccanico]. Durante le riprese, Man Ray si rivela anche attore, e così egli compare a volte sullo schermo sotto l'occhio di altri cineasti, come nel celebre film di Marcel l'Herbier, L’Inhumaine, al centro della sequenza del concerto. Ma anche nel celebre Entr’Acte di René Clair, in cui affronta Marcel Duchamp in una partita a scacchi sui tetti. Due anni dopo, torna al cinema per dei ritratti filmati, integrati nel film di Henri Chomette, A quoi rêvent les jeunes films?  [A cosa sognano i giovani film?] che avrà in seguito come titolo Jeux des reflets et de la vitesse [Giochi dei riflessi e della velocità] o ancora di Un film [Un film].

Le Ballet Mécanique, 1924

(…) Abbiamo immaginato un film in cui la macchina da presa stessa sognava: dapprima in giochi di pura forma tra i quali apparivano alcuni volti umani, mobili e facenti dei versacci, poi poco alla volta più sereni per giungere a dare le immagini di alcune donne più note dell'attuale Parigi, e celebri per la loro bellezza ed il loro talento [16].

Nel 1925, Georges Ribemont Dessaignes pubblica uno studio su Man Ray, illustrato da quattro delle sue rayografie [17]. L'anno successivo, i Surrealisti espongono i "quadri di Man Ray e oggetti delle isole" alla loro galleria. Malgrado i suoi legami forti con i Surrealisti, il fotografo non appartiene al movimento, non facendo altro che lavorare a loro fianco, e concependo delle opere che si avicinano al loro spirito.

(…) Il Dadaismo aveva compiuto quanto si era riproposto di fare: si era beffato delle futilità artistiche e politiche dell'epoca, aveva loro opposto la sua propria irrazionalità, ed aveva rovesciato tutti i valori stabiliti. Era come se i Dadaisti si proponevano di prendere tra le loro mani gli affari di questo mondo, il che lasciava supporre che non avrebbero potuto fare un grande disastro rispetto i dirigenti accreditati (...). Il Dadaismo non morì: si trasformò semplicemente (...). Non ho mai partecipato alle diatribe dei Surrealisti. La verità è che non mi piace stare in un gruppo [18].

Man Ray incontra i Wheeler che gli commissionano un film, dopo essere rimasti ammirati davanti a Le retour à la raison [Il ritorno alla ragione]. Non soltanto Arthur Wheeler lo paga, ma gli offre per di più una libertà totale per la realizzazione del film, e gli propone delle vacanze presso la sua abitazione, a Biarritz. Man Ray accetta.

(…) Non avevo sceneggiatura. Tutto sarebbe stato improvvisato (…). Ed ero affascinato, meno per quanto stavo per introdurre nel mio film, che perché stavo per fare ciò che mi piaceva. Quell'estate, (…) Wheeler prese in affitto una grande villa vicino a Biarritz. Mi invitò a raggiungerlo (…) e ad avere una parte del film (…). Detto ciò, non faceva che confermare ciò che già pensavo: realizzare un film, era fare delle vacanze (…). Di ritorno a Parigi, giravo altre sequenze nel mio studio. Avevo ora un insieme di sequenze realiste, di cristalli scintillanti e delle forme astratte riflesse dai miei specchi deformanti (...). L'idea mi venne da una visita a Jacques Rigaut, il dandy dei Dadaisti (...). Nelle studio, feci un primissimo piano delle mani di Rigaut che aprono una valigia, prendono uno ad uno i colletti, li strappano e li lasciano cadere a terra (più tardi, durante la stampa, feci invertire la pellicola, di modo che i colletti cadendo sembravano rimbalzare) (...). In quanto allo strano titolo Emak Bakia, si trattava semplicemente del nome di una villa nei paesi baschi dove avevo girato alcuni esterni [19].

Emak Bakia

Il film esce il 23 novembre 1926 al Vieux Colombier ed è accolto senza entusiasmo dai Surrealisti. Il movimento di Breton non fa che tollerarlo dal momento che Man Ray non fa veramente parte del gruppo. Come spiega egli stesso, il Surrealismo voleva portare, all'epoca, uno sguardo su ogni opera, pratica che l'artista americano non apprezza affatto [20]. Dopo quest'esperienza, continua il suo lavoro con Duchamp e termina con lui il progetto Anemic cinéma. Rimane sempre in contatto con alcuni dei suoi amici Surrealisti come Robert Desnos. Man Ray si sente Surrealista alla fine degli anni 20, così come si sentiva Dadaista all'epoca di Tzara.

(…) Soltanto, il Surrealismo è stato sino ad ora la forza che ha potuto farci uscire dalla camera oscura le vere forme luminose, imponenti. Non ha mai avuto paura di andare troppo lontano, non ha mai tradito i nostri veri impulsi, non ha mai agito con tatto, con circospezione (...). Nei fatti, sono stato Surrealista prima di essere fotografo, e mi lusingo di essere rimasto Surrealista nel senso più profondo della parola, così come l'hanno definito coloro che ne hanno così ammirevolmente posto i principi, compreso quello che fa del Surrealismo un prodotto di tutte le epoche [21].

Anemic cinéma, 1926

Così, in seguito ad un pranzo con il fotografo, Desnos recita una poesia di sua invenzione, L’étoile de mer. Man Ray trova nel dipanarsi di queste frasi, materia con cui fare un film.

(…) Lo vedevo molto bene come film, come film Surrealista, e dichiarai a Desnos che prima del suo ritorno avrei fatto un film dalla sua poesia [22].

Nel febbraio del 1928, comincia a girare L’étoile de mer, con Kiki de Montparnasse. Sin da questo periodo, Man Ray prende le distanze con il cinema pensando di terminare definitivamente, e apprestandosi a rivendere il proprio materiale. Lo conserva ancora un po in seguito alla richiesta di Pierre Prévert di andare a girare delle sequenze in scenari naturali per il suo film Paris-Express. Le altre proposte del cameraman sono rifiutate. Sola eccezione alla sua decisione, la realizzazione delle riprese dei Mystères du Château du Dé [Misteri del castello del Dato] in seguito ad un invito del Visconte de Noailles, e di un cortometraggio in 9,5 mm, Corrida, e le riprese del suo laboratorio Rue Campagne-première.

L'Étoile de mer, 1929

(…) Accettai la sua proposta. Sarebbe stato come una vacanza, lontano dalle fatiche dello studio, e tutto ciò non mi sarebbe costato nulla. Poiché ero libero, e il film non sarebbe che un documentario che non esigeva nessuna invenzione da parte mia, sarebbe stato un lavoro facile, meccanico e che non avrebbe cambiato affatto la mia decisione di non realizzare più dei film (...). Le forme cubiche del castello mi fecero pensare al titolo di una poesia di Mallarmé: Un coup de dés jamais n’abolira le hasard [Un colpo di dadi non abolirà mai il caso], sarebbe il tema del film [23].

Les Mystères du Château du Dé

Nel giugno del 1929, il film è presentato nel circolo molto privilegiato dei Noailles, e il Visconte rapito dal risultato, suggerisce a Man Ray un lungometraggio sonoro per il quale avrebbe totale libertà. Quest'ultimo respinge l'offerta, non avendo alcun interesse a collaborare con dei tecnici.

(…) Il cinema parlato e sonoro non mi attira (…). Personalmente, questo lato documentario mi interessa molto poco: non ho alcuna voglia di montare un piano di clacson e di farne udire il suono esatto simultaneamente [24].

Il cinema doveva innanzitutto essere un arte e non una riproduzione della realtà.

(…) La considero come un'arte superiore che vale tutte le altre messe insieme (…). Il cinema permette le ricerche più nuove, ma non deve essere la riproduzione esatta della natura, altrimenti non offre alcun interesse (...). Tutto deve essere movimento (…). Il film deve evolvere costantemente [25].

Noailles, appassionato di cinema, si rivolge a Luis Buñuel, che realizza L’âge d’or grazie al ricco mecenate. Poi sarà la volta di Jean Cocteau con Le sang d’un poète. Verso il 1930, l'americano gira diversi brevi film per sé tra cui uno in 9,5 mm, Autoportrait ou ce qui nous manque à tous. Durante una serata "Bal blanc" presso l'abitazione del Conte Pecci-Blunt, Man Ray ne proietta alcuni, così come dei cortometraggi di Méliès, a colori, sui danzatori vestiti di bianco. Tre anni dopo, gira un cortometraggio su Brancusi nel suo laboratorio. La sua attività si centra più sulla fotografia, e i suoi ritratti lo rendono presto famoso. Nel 1935, realizza un saggio a partire dai testi di Breton e Eluard che si intitola Essai de simulations du délire cinématographique [Saggio di simulazioni del delirio cinematografico].

(…) Si decise, per passare il tempo, di fare un film Surrealista (…). Era l'occasione di fare qualcosa collaborando intimamente con i Surrealisti, che non avevo consultato durante i miei precedenti tentativi [26].

Filma anche, per se stesso, il suo laboratorio, L’atelier du Val de Grâce, durante lo stesso periodo, e termina Poison [Veleno] iniziato nel 1933. Poi nel 1937, gira Course landaiseLa Garoupe in Kodachrome 16mm, così come alcuni altri corometraggi che sono ancora poco conosciuti. Soltanto La Garoupe, presentando l'assemblea di amici famosi come Picasso, è presentata in proiezione pubblica. Nel 1938, gura AdyDance, e due anni più tardi, Juliet.

Man Ray decide di ripartire per il suo paese nel 1940, mentre la guerra infuria in Francia. Si dedica, in California, essenzialmente alla pittura e alla fabbricazione di oggetti, occupandosi anche della sonorizzazione dei suoi film. Otto anni dopo, il , il suo vecchio amico Hans Richter, gli chiede di girare una delle sequenze del film che egli allora sta realizzando. Man Ray gli propone invece una sceneggiatura, preferendo che la realizzazione sia fatta dallo stesso Richter. Il risultato di questa strana collaborazione si intitola Dreams that money can buy [27].

Dreams that money can buy

(…) Con il titolo Ruth, Roses and Revolvers, preparavo dunque una sceneggiatura che gli inviai, chiedendogli di girarlo, non avevo voglia di occuparmi di regia. Richter utilizzò il mio soggetto, di genere satirico, dandogli un risvolto più psicologico, più conforme al resto del film. Quest'ultimo si intitola Dreams That Money Can Buy [28].

Nel 1951, dopo più di dieci anni, Man Ray ritorna a Parigi. Partecipa al lavoro Surréaliste delle pubblicazioni di Ado Kyrou, L’âge du cinéma, testimoniando sulla sua opera filmica. Man Ray è diventato un artista inevitabile, e nel 1958, si fa appello a lui per essere membro della giuria del secondo concorso del film sperimentale a Bruxelles, al quale partecipa a malincuore, e rovesciando la situazione. La sua concezione libertaria dell'anti-competizione riemerge.

(…) Una volta a Parigi, ero stato chiamato a far parte di una giuria che doveva decidere qual era il miglior film di cortometraggio. Allora dissi: "Non credo ai giudici, non voglio far parte di questa cosa (…). Non ho mai sottoposto scientemente o volontariamente il mio lavoro ad una giuria, nemmeno ad una giuria di cui avrei ritenuto i membri capaci di dare un valido giudizio sulla mia opera (…). Nessuno può dirmi ciò che devo fare, o guidarmi. Si può criticarmi dopo, ma è troppo tardi, il lavoro è fatto. Ho gustato la libertà, era duro come lavoro, ma ne valeva la pena. Dipingo un quadro, non dovete giudicarmi, prendetelo o lasciatelo stare [29].

Le attività principali di Man Ray restano la fotografia e la pittura, il cinema in quanto a lui è definitivamente spartito. Tuttavia alcuni suoi oggetti appaiono ancora nel 1961, come il suo testo "Revolving doors" detto in commento off, in un film di Hans Richter, Dadascope, che costituisce il suo ultimo ontervento nel cinema. Man Ray muore nel novembre 1976, lasciando dietro di sé un'opera ricca di fantasia, respirando una libertà di spirito difficile da eguagliare, e giungendo a sintetizzare i due tipi di ricerca Dadaista e Surrealista come faranno anche Marcel Duchamp e Hans Richter [30]. Man Ray, come Hans Richter, apporta al cinema una ricerca plastica inedita, che proseguirà differentemente nel lavoro degli sperimentatori dagli anni 50 agli anni 2000.

 

[Traduzione di Massimo Cardellini]

 

NOTE

* Cliché-verre. Nell'arte fotografica si indica con questa tecnica la riproduzione di immagini su una lastra di vetro ricoperta di collodio e incisa con un bulino e in seguito fotografate su di uno sfondo nero.

[1] Testo tratto dalla tesi di laurea Anarchisme et Cinéma: Panoramique sur une histoire du 7ème art français virée au noir, [Anarchismo e Cinema: Panoramica su una storia della settima arte francese virata al nero], sotto la direzione di Jean A. Gili e Nicole Brenez, Université Paris I – Panthéon la Sorbonne, 2004.
[2] Lottman Herbert, Man Ray à Montparnasse, Paris, Hachette littératures, 2001, p. 10.
[3] Baldwin Neil, Man Ray, Paris, Plon, 1990, p. 30: "La Ferrer Modern School era stata fondata da Emma Goldman alla memoria di Francisco Ferrer y Guardia (…). All'indomani della sua tragica morte, Goldman percorse senza sosta il paese a si rivolse a folle di anarhici, liberi pensatori e progressisti allo scopo di reperire fondi per fondare un'associazione che perpetuasse il ricordo e lo spirito di Francisco Ferrer. Cos'è la Modern School? chiedeva Adolf Wolff, scultore e poeta, nelle pagine della rivista della scuola. È una specie di laboratorio di alchimia dove si elabora la pietra filosofale dell'educazione. È la grande esperienza pedagogica della nuova società... Essa incita alla ricerca e alla critica".
[4] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Paris, Robert Laffont, 1964, p. 28 e 29.
[5] Baldwin Neil, Man Ray, Op. cit, p. 32.
[6] Man Ray, "Je n’ai jamais peint un tableau récent" [Non ho mai dipinto un quadro recente], 1971, in Ce que je suis et autres textes, Paris, Hoebeke, 1998, p. 54.
[7] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Op. cit, p. 37.
[8] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Loc. cit.
[9] Bouhours Jean-Michel e De Haas Patrick (a cura di), Man Ray, directeur du mauvais movies, Paris, Editions du Centre Pompidou, 1997, p. 10 e 179: "La baronessa era conosciuta a New York per il suo comportamento Dada, (…) testa rasata acconciata di cappelli ai quali potevano essere attaccate delle carote o delle barbabietole".
[10] Bouhours Jean-Michel, De Haas Patrick, Man Ray, directeur du mauvais movies, Ibidem, p. 18.
[11] Man Ray, Ce que je suis et autres textes, Op.cit, p. 24.
[12] Fotografia presa senza apparecchio, con unicamente un oggetto posto sulla carta sensibile.
[13] Bouhours Jean-Michel, De Haas Patrick, Man Ray, directeur du mauvais movies, Op.cit, p. 18.
[14] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Op. cit, p. 340, 342.
[15] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Ibidem, p. 343.
[16] Bouhours Jean-Michel, De Haas Patrick, Man Ray, directeur du mauvais movies, Op.cit, p. 47.
[17] Ribémont Dessaignes Georges, Man Ray, Nice, Centre National des Arts Plastiques, 1984, p. 26: "(…) Viva Man Ray che ha sempre pensato a uccidere la plastica per creare un universo retto da leggi peculiari, o per meglio dire ancora da leggi a trasformazione, il che viene a negare l'esistenza stessa di ogni legge!".
[18] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Op. cit, p. 344.
[19] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Ibidem, p. 353, 355, 357.
[20] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Ibidem, p. 358: "(...) Si doveva collaborare intimamente alle attività surrealiste, ottenere il sigillo della loro approvazione e presentare la propria opera sotto gli auspici del movimento. Allora si era riconosciuti surraalista. Tutto ciò, avevo trascurato di farlo".
[21] Man Ray, "Cinémage", Parigi, L'âge du cinémanumero speciale surrealista n° 4-5, Agosto-Novembre 1951, p. 24 e 25.
[22] Guerin Anne, Man Ray, autoportrait, Op.cit, p. 361.
[23] Bouhours Jean-Michel, De Haas Patrick, Man Ray, directeur du mauvais movies, Op. cit, p. 93.
[24] Auriol Jean George, "Une visite à Man Ray", Parigi, L’ami du peuple du soir, 7 giugno 1929, p. 4.
[25] Gain André, "Le cinéma et les arts décoratifs", Parigi, L’amour de l’art n° 9, settembre 1928, p. 324.
[26] Bouhours Jean-Michel, De Haas Patrick, Man Ray, directeur du mauvais movies, Op.cit, p. 127.
[27] Weinberg Herman G., "Payez-vous deux sous de rêve" [Pagatevi due soldi di sogno], Parigi, La Revue du cinéma, n° 7, estate 1947, p. 11 e 13: "Dreams that money can buy è il film più originale che sia stato realizzato negli USA dopo la rivelazione di Walt Disney, è anche il primo grande film americano di Hans Richter, pioniere dell'avanguardia, che termina così un ciclo iniziato un quarto secolo prima con Rythme 21. (…) Il film si compone di sei storie - o episodi o sogni - di carattere fantastico, freudiano o semplicemente psicanalitico, uniti da un'idea comune. (...) Il film di Richter "gioca coi sogni". I sogni che si possono comprare con una moneta, i sei dischi sono stati immaginati rispettivamente da Fernand Léger, Max Ernst, Marcel Duchamp, Man Ray, Calder e lo stesso Richter. (…) L'ultimo episodio è tratto da una sceneggiatura di Man Ray, Ruth, Roses e Revolvers, specie di satira del cinema che propone un metodo che permette allo spettatore di partecipare al massimo all'azione recitandola a mano a mano che essa si svolge".
[28] Bouhours Jean-Michel, De Haas Patrick, Man Ray, directeur du mauvais movies, Op. cit, p. 133.
[29] Bourgeade Pierre, Bonsoir, Man Ray, Parigi, Belfond, 1990, p. 113, 114, 154.
[30] Mitry Jean, Le cinéma expérimental, Milano, Mazzota, 1971, p. 144.

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22 maggio 2013 3 22 /05 /maggio /2013 06:00
UNA BOMBA DEVASTA    le Isole Sottovento
 
Filmata in 3 Parti da un Aborigeno Sopravvissuto

 

Pilhaou-Thibaou

I.
Accusa

 

Baccara. I vostri giochi, cari amici. I giochi sono chiusi!
Delle agonie come dei conciliaboli da portinaie.
Degli orsi-cleptomani gonfiandosi di rabbia mimano lo sbranarsi

l'un l'altro, davanti ad un formaggio rubato.
Che essi non hanno avuto il coraggio di rubare.

Ridono fragorosamente — «Cassa comune» —

— Noi siamo i banditi —
 
 
 
 

Ed il facente funzione di professore-platonico

— rigonfio del porpora-violetto della scomunica —

Ordina: —

Vecchia scrofa-morale restituire il denaro;
A me la galletta; non ho pranzato a mezzogiorno
e adoro la codardia, filibustieri. —
 

 

II.
Condanna

 

 

Banco e colpo secco 8 : 5 — Merda! —

Cameriere! sorvegliate la sorveglianza,
al palo Emozione — si appendono tutte le formule
rastacuero del relativismo.
Bari! — I giochi sono chiusi! —
 


Elevare la viltà in dogma è la peculiarità

del dottore vegetariano
digiunatore che rumina la sua convinzione
quando la sua tranquillità è assicurata
con retro-pensiero di pubblicità
del profumo estratto dall'urina di Gatto-Baudelaire.

 

 

Sotto la Dittatura della cleptomania si impegnano volentieri

la coscienza e la responsabilità di alcuni
capri castrati in atteggiamenti espiatori.


il pidocchioso sotto i ponti di Parigi ignora che l'acqua della

Senna lava e che da 20 anni Bruxelles esporta
del Sapone DADA.
 
 
 

 

 

Mi attengo alla disposizione

della Ragione morale raddoppiata di attività
potenza rivoluzionaria
sulla mia tavola da toilette
la somma di 255 franchi.


(Bisogna che mi faccia dei muscoli. Viva la boxe

e l'autista di taxi)!


Un minuscolo maiale con pedigree

— che cavalca una bambola estrosa —
dirige in me,


Il Potere esecutivo al servizio del mio fuoco di artificio

affermativo.


Attenzione! il fuoco di bengala, che cadrà la Non-Resistenza

davanti al possesso d'altri

 

 

 

 

III.
Rag-time Funebre

 

— Lascio la banca ai dilettanti. Guadagno abbastanza per regolare i miei debiti. 

Carogne! I vostri giochi, cari amici! L'usuraio ha di che riabilitarsi! —
Scoppiettare sincopato dei clacson, di tromboni di clacson, di musica da balera.

Bamboula

 

 

 

Campionato del mondo dei filibustieri a titolo postumo.
La paccottiglia giapponese si camuffa in una lettera cinese
Un movimento giramondo ha perso il suo sesso in un

  portafoglio di cameriere di caffè alla crema-truffa.

A-I- Morale della Vita interiore

 annaffiato con vecchio residuo-misticismo.

 

 

 

 

I testardi-convinti si fanno ritrarre come stupidi.
La grande-ruota esibisce un duplicatore alla mitraglia per
raccoglitori dai luoghi comuni ai cataloghi dei ritornelli logori.
Dei bevitori di elisir di menzogna

annegano in un bicchiere di Ersatz-verità.

 

 

 

 

 

la fantasia a cavalcioni sugli avvenimenti riportano a

zero il tempo e lo spazio.

Picabia ha scoperto l'isolatore della

  pesantezza-attrazione

da allora nella vertigine dello stallo

  gira la follia nel senso buono

  e il buon senso alla zuppa di pesce.

 

 

 

Pace postuma Proposizioni umane

non divulgherò la vostra, identità

alle acque della Senna

E la posterità si annuncia prolifica!

 

Eh! Laggiù – Rimborsate I gettoni!

Mi fate perdere la mia ultima metropolitana, maiali!

Arrivederci, amici miei cari!

 

 

 

Clément Pansaers

 

[Traduzione di Massimo Cardellini]





 

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30 aprile 2013 2 30 /04 /aprile /2013 06:00

La mia seconda patria: Parigi nel 1921-23

josephson.jpg

Prima edizione del 1962 di Life among the Surrealists di Matthew Josephson

 

Matthew Josephson

[...]

 

tzara--.jpgUna sera, sul finire dell'autunno, al caffè Rotonde, Gorham Munson mi presentò a Man Ray che faceva parte del gruppo dei dadaisti, e al suo compagno di tavola, Tristan Tzara, uno dei fondatori di quel movimento. Tzara era un uomo piccolo, pallido, con i capelli scuri e gli occhi grigi, e portava il monocolo; il suo viso intelligente e animato ricordava quello di Leone Trozky, o di James Joyce senza barba.

Ray portraitAvevo letto che Tzara e il dadaismo (comparsi per la prima volta insieme a Zurigo nel 1916) erano venuti quattro anni dopo a conquistare Parigi, e che da allora in poi Tzara aveva portato avanti una propaganda intesa a dare scandalo, a rovesciare cioè tutte le convenzionali nozioni delle cose. Perciò incalzai Tzara di domande, troppo avidamente e ingenuamente, senza dubbio. Il Dada era come il cubismo e il futurismo? No, rispondeva Tzara, col suo sorriso sardonico; era contrario a quelle scuole, era nemico di tutti gli "ismi"; in effetti, "dada non è nulla ed è tutto". Continuò con questo tono disorientante; e avendo io accennato nel corso della discussione ad alcuni nomi, alcuni scrittori di cui mi interessavo, come Gide e Romains, egli mi dette una dimostrazione della bella abbondanza di vituperio tipica del vocabolario dada: "Come puoi leggere quella porcheria? Romains è un cretino!". Anche Gide non era altro che de la littérature (parola maledetta) e dada era contro la letteratura come contro come contro ogni forma culturale. Il romanzo era morto; Tzara stesso leggeva soltanto un po' di poesia, "per debolezza", perché riconoscevado non essere coerente nelle sue idee. Se ero venuto a Parigi "per imparare", mi consigliava, "leggi il Littré, il grande dizionario Littré. È un'ammirevole opera d'arte, una delle più grandi. Io lo tengo al mio capezzale: comincio dalla zeta e vado indietro".

Matthew-Josephson.jpgLa tecnica della poesia dada si basava sul principio della libera associazione, oppure sulla dissociazione del pensiero? La questione era semplicissima, mi rispose, e me lo dimostrò subito: preso un giornale, ne strappò un articolo e lo fece a pezzetti che buttò nel cappello. "Io ritaglio parole separate, di solito con un paio di forbici, le mescolo nel cappello, poi le cavo fuori come vengono, due e tre... ecco la mia lirica".

Credetti che mi prendesse in giro e per un momento ne fui seccato; poi risi, e tradussi a Munson la conversazione che si era svolta in un francese velocissimo. Il padrone del vapore del dadaismo internazionale, spiegai, aveva negato e contraddetto tutto quello che dicevo io, e mi aveva risposto con enigmi e indovinelli.

Ero indeciso, tuttavia, a saperne di più sulla verità del dadaismo. Il piccolo Tzara dal monocolo era un gran burlone e capace spesso di oltraggiose boutades, improvvisate lì per lì... o preparate con cura, come spesso fanno gli uomini di spirito. Il nostro secondo incontro ebbe luogo durante un originalissimo ballo in maschera a cui prendemmo parte durante il carnevale. Un pomeriggio avevo udito parlare al caffè Dôme della celebre festa annuale che aveva luogo proprio quella sera al Luna Park e che, a giudicare da quel che si diceva, prometteva d'essere una specie di baccanale di tutti gli studenti d'arte e di tutti i bohémiens e i tipi eccentrici di Montmartre e di Montparnasse. Insomma le persone più cospicue, le teste più pazze di tutta Parigi sarebbero state presenti nei più fantasmatici costumi. Naturalmente mia moglie ed io eravamo ansiosissimi di assistere a quell'orgia in massa, ma il cuore ci cadde quando apprendemmo che l'ingresso ci sarebbe costato 25 franchi (due dollari) a testa: in quel momento eravamo completamente al verde.

Sedeva alla nostra tavola Cuthbert Wright, un poeta che aveva collaborato all'antologia Eight Harvard Poets e che noi conoscevamo pochissimo: aveva di solito un'espressione triste e annoiata, e beveva assai. Vedendoci così avviliti, ci si avvicinò di punto in bianco e generosamente si offrì di prestarci il denaro per i biglietti.

Il ballo, in realtà, superò le nostre più sfrenate previsioni. Vi parteciparono da tre a quattromila ospiti mascherati, gli uomini vestiti da donna, e le donne da uomo, sì che nessuno capiva mai con chi ballava. Non erano di certo tutti degli invertiti: ma alcuni della "rappresentanza omosessuale" esibivano una così estrema coquetterie da far sembrare quasi goffe e trasandate le donne nei loro audaci travestimenti.

A un tratto vedemmo passare Tristan Tzara, col viso dipinto e incipriato, travestito da matrona romana. Era inconcepibile, uno spaventevole rudere di donna.

Ci si avvicinò e disse: "Ah, so che cosa pensate di me! Ma" aggiunse con la sua risata rapida e nervosa "vi sbagliate di grosso. Nessuno conosce il segreto del sesso di Tristan Tzara! C'è chi dice che sono un invertito, e c'è chi dice che sono impotente. Ma la verità è che sono vergine!".

In realtà, a quel tempo la sua petite amie era una graziosissima ragazza americana di Filadelfia, ed egli aveva molto da fare a guardarsi da alcuni amici che cercavano di portargliela via.

 

[a cura di Massimo Cardellini]

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28 marzo 2013 4 28 /03 /marzo /2013 07:00

Orangotanghismo

Cl-ment_Pansaers.jpg

Clément Pansaers

La guerra non ha dunque massacrato abbastanza, perché il dopoguerra organizza metodicamente il commercio del massacro. L'industria dell'idea è sistematizzata. Il commercio della parola ne è il succedaneo. Gli utilitari egoismi interessati rinnovano nuove sinecure. Esistono i commessi viaggiatori della confraternita così come i comunisti di carriera, che sfruttano la massa imbecille. Tuttavia l'antico regime economico e sociale ritraccia la linea di demarcazione tra proprietari e pezzenti. Con rigido solido metodo - il che è una prova di dominio - la zona neutra è stata spianata. Un si salvi chi può, malgrado tutto urlano coloro che si trovano sulla linea di questo fuoco del dopoguerra.

Dov'è la maggioranza, a destra o a sinistra? La quantità ha un reale valore soltanto in finanza, che sta, con la qualità, a destra. Ed essa governa attraverso l'unica verità che è lo stomaco. A sinistra si colloca una maggioranza instabile che si nutre ancora volentieri di chimere ma più imperiosamente di tutto quanto lo stomaco digerisce. È per questo che la sua quantità si sgretola sensibilmente.
La guerra ha mitragliato principi, parole e sogni, magnificamente. Le geremiadi possono interessare i poeti nevrotici. La scienza popolare insegna infallibilmente che la realtà abita l'intestino tenue. È per questo che la massa esige prima di ogni altra cosa la soddisfazione - dall'esofago sino all'ano - e come complemento, dopo la digestione, accorda ancora, in graziosa liberalità, l'atto - così come il possidente concede l'elemosina. Lo stomaco regge l'oscillazione barometrica della maggioranza. Ed è la sola logica del mondo animato. Non si deve scambiare questa constatazione per scetticismo. Al contrario. Il fuoco d'artificio dell'imbroglio procura un umorismo di una comicità devastante. Sono dei fatti che ognuno di noi può raccogliere sulla pubblica strada, così come l'escremento di cavallo e altri residui. Bisogna raccattare queste cagate senza guanti. Ciò procura una sensazione di altruismo.
Cani e gatti danno gratuitamente agli animali umani il mezzo efficace per guarirsi dalle astrazioni illusorie: come il gatto, scavare un buco per il proprio didietro, fare quel che deve fare e dilettarsene le papille olfattive - O fare come il cane che sollevata la zampa sniffa il proprio universo. È l'unico mezzo per diventare umanamente universale, o internazionalisti. Né i cani né i gatti inseriscono degli annunci sui giornali, non fanno nemmeno altri tipi di pubblicità, benché la cura sia di un antropomorfismo efficace.
Non spaventarsi davanti a questa assenza di fine igiene. L'atto è nudo - non un nudo dipinto - perché brutalmente, senza sfumature - va sino in fondo. Le sfumature sono degli epifenomeni accessori come aperitivi, le ore cinque-tè, musica da camera, il ballo e altri flirt da fornicazione. L'epifenomeno è un lusso, propizio alle fantasiose dissezioni patologiche. Sino ad ora rimane rigorosamente il piatto essenziale in tutta la sua follia di vorace pachiderma. Le sfumature portano alla caotica confusione. È una speculazione della noia nell'abbondanza. Il caos non è nato dalla guerra. Dal caos della anteguerra nacque la cafoneria della specializzazione, che generò, in serie, le astrazioni come il gesuitismo, l'industrialismo, l'intellettualismo e mille altri ideologismi corruttori, così come ultimo strato il superbo aborto che si chiama cretinismo. Nel frattempo, bipedi così come quadrupedi, e altri membri della zoologia ascoltano l'unica verità che abita il sistema nutritivo.
Occorreva questa successione di ideologie, con le loro numerose suddivisioni di logica, critica, psicologica, artistica e altre morali scientifiche per determinare il posto dello stomaco in questo mondo: Una cucina piena di consistenti varietà sotto ogni tetto basta, affinché dall'equatore ai poli, regni la pace universale. Ogni rivolta abortisce nell'abbondanza. E quando il peritoneo è ben imbottito di riserve c'è posto per il tragico, il drammatico, l'epico e altre abbuffate comiche etichettate intellettualità e poetiche.
Dalla barbarie, che ha pugnalato la massa, nacque il primitivismo - e cioè la belva nuda - capace di compiere l'atto irresistibilmente. L'arrivismo vi oppose la parola. E poiché l'atto soltanto porta allo scopo, ben presto scoppiò l'imbroglio, che oppose la realtà al mito e l'atto dello stomaco all'idea. Ohé! rivoluzionari di carriera! Opporre l'idea all'individuo non è nient'altro che continuare gli infami massacri! È per questo che l'utopia dell'idea in sonorità teatrali ripugna all'individuo.
Lanciare dei principi di bontà e altri sentimentalismi forse generatori di una rendita al vostro stomaco. La massa, nel marasma della carestia, ha afferrato il cinico miraggio. Anche l'individuo vuole una rendita. Anche io. La parola è inefficace. È la moneta del falsario - dello sfruttatore, che affama gli stomaci. Si possono impiccare senza danni i birrai da crepare di ogni sfumatura. Soltanto una tavola confortevolmente imbandita e la sicurezza a vita di menu variegati, redime l'umanità.
Ecco, credo, in breve, i caratteri generali dell'orangotanghismo. Del rancore? - Troppo ingenua e timida, piccola mia. Se fossi ricco, forse. Tutt'al più un cinico sentimentale; un po' dandy nella sfortuna. Oh! Mr. Barbey d'Aurevilly è morto, non mi contraddirà. Niente più ambizioni, astrazioni, idee. - Ammettere la legge civilizzatrice dei lavori forzati, per ottenere dall'abbuffata la mia parte per lo stomaco e la parte di coloro che sono a me collegati, legalmente, come si suol dire.
Riuscirò, per dio! a dormire un'oretta? Questa luna idiota si diverte a versare il suo latte sul mio sonno!
...Nicanor cercò nella tasca dei suoi pantaloni una sigaretta, fece alcune profonde tirate di navy-cut che appesantirono il suo cervello. Si rattrappì, grattandosi allo stesso tempo le cosce, quando già da molto albeggiava e i tramway ricominciato i loro percorsi...
 
[Traduzione di Massimo Cardellini]
 
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1 marzo 2013 5 01 /03 /marzo /2013 07:00

Francis Picabia

Picabia, autoritratto, 1923

Beverley Calte

Dopo aver sostenuto André Breton ed il Congresso di Parigi contro Tzara in un libello, La Pomme des Pins, nel 1924, Picabia dichiara di nuovo guerra a Breton ed ai surrealisti in una nuova serie di 391. Gli ultimi quattro numeri della rivista escono quell'anno, quando termina la sua autobiografia romanzata, Caravansérail [Caravanseraglio] che sarà pubblicata soltanto nel 1975 da Pierre Belfond).

In una diatriba contro il Surrealismo, ne parla come di un movimento fabbricato. "Delle uova artificiali non fanno delle galline", dice. L'istantaneismo di Picabia, rivale senza futuro del surrealismo, genera Relâche [Pausa], un balletto "istantaneista" di "movimento perpetuo" e Entr’acte. Relâche è prodotto da Rolf de Maré ed i Balletti Svedesi, con una coreografia di Jean Borlin ed una musica di Erik Satie.

Entr’acte, 01

Fotogramma da Entr'acte [Intermezzo].

Il cortometraggio Entr'acte [Intermezzo] è scritto da Picabia e realizzato da René Clair. Questo "interludio" tra i due atti del balletto burlesco è una pefetta istantanea tra Dadaismo e Surrealismo. Quando scrive la sceneggiatura di una nuova farsa, Ciné-Sketch, che viene rappresentata una sola volta, la sera della veglia di capodanno 1925, "Funny Guy" dice addio a Parigi.

Picabia rimane venti anni sulla Costa Azzurra. Ma l'eco del "Rastacuero"* assente risuona ancora nella capitale, ingrandito dalle sue frequenti visite ed esposizioni, così come dalle voci della leggenda che facevano correre su di lui il suo stile di vita meditterraneo. La sua prima tappa è Mougins, situato sulle colline dietro Cannes, in cui fa costruire il Château de Mai [Castello di Maggio] nel quale egli si installa con Germaine Everling, suo figlio Michel Corlin ed il loro figlio Lorenzo, nato nel 1919. È allora che entra in scena Olga Mohler, una giovane svizzera di vent'anni assunta in un primo tempo come governate per Lorenzo.

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Il quadro chiamato Monstres [Mostri]" (mascherati con nasi appuntiti, un occhio, come La femme au monocle [La donna con il monocolo] o dai molteplici occhi) hanno fatto la loro apparizione sin dal 1924. Vi sono delle caricature di soggetti ripresi da pittori classici, come Les Trois Grâces [Le Tre Grazie] dal celebre dipinto di Rubens; La femme au chien  [La donna con il cane] dalle incisioni di Dürer, ou Nu fantastique, [Nudo fantastico] dall'affresco del soffitto della Cappella Sistina di Michelanglo. O anora, delle coppie di amanti vibranti di voluttuosi colori sintetici come Jeunes mariés [Giovani spose] e Le baiser, [Il Bacio] ed altri in un ambiente di festa, ricoperti di serpentine  di confetti come Carnaval [Carnevale] e Mi-Carême [Mezza Quaresima]. Tutti questi personaggi sono delle deformazioni di cartoline postali romantiche dell'epoca.

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Femme au monocle, 1924


Marcel%20DuchampLa grande notorietà di Picabia lo segue a Cannes dove si impone rapidamente come la celebrità locale al Casinò ed alle sue feste di Gala. Le visite frequenti dei suoi amici parigini come Jacques Doucet, Marthe Chenal, Pierre de Massot e Marcel Duchamp intrattengono la sua "vita mondana". Nel 1926, ottanta Picabia sono venuti all'asta all'Hotel Drouot provenienti presumibilmente dalla collezione personale di Marcel Duchamp, suo vecchio complice.

comoedia1927.jpgL'anno seguente, Picabia somministra gli ultimi sacramenti a Dada; firma in Comoedia un articolo mordace intitolato Picabia contre Dada ou le retour à la raison [Picabia contro Dada o il ritorno alla ragione]. Proclama con insistenza che "l'arte non può essere democratica" il che è conforme alla sua dottrina di sempre: "la natura è ingiusta? Meglio, l'ineguaglianza è la sola cosa confortevole, la monotonia dell'eguaglianza non può che condurci alla noia".

picabiaMinos.jpgDopo un viaggio a Barcellona durante l'estate del 1927 con Olga Mohler e Lorenzo, il Castello di Maggio si trasforma in un "castello a tre" molto agitato, e ciò sino al 1933, data alla quale Picabia si istalla con Olga sul suo nuovo yacht, Horizons II, astutamente ormeggiato  di fronte al Casinò al porto di Cannes. Delle figure di affreschi romani della Catalogna compaiono ora nei suoi quadri, precursori di una nuova era, quella delle "trasparenze". Quando sono presentate a Parigi nell'ottobre del 1928 alla Galleria Théophile Briant, il critico cinematografico Gaston Ravel ne parla come di "sur-impressionismo": fa omaggio alla simultaneità di immagini di film sovrapposti, ad una impressione di "terza dimensione senza ricorso alla prospettiva", come Duchamp li descrive più tardi. I soggetti hanno spesso come punto di partenza delle figure classiche di Botticelli o di Piero della Francesca, o anche della statuaria antica e portano dei titoli tratti dalla mitologia o dalla Bibbia, a volte semplicemente inventati: Minos, Melibea, Adamo ed Eva, Giuditta, Lodola, Ridens ad esempio. Le sue fonti iconografiche sono le riproduzioni stampate: "Mio padre aveva un enorme baule pieno di libri d'arte nel suo laboratorio" racconta suo figlio, Lorenzo.

picabia.Adamo-ed-Eva.jpgQuesto nuovo stile svanisce quando Picabia inizia un nuovo periodo della sua vita privata. Qui ancora, si capisce l'importanza della "donna" o dell'avventura amorosa stessa. Una rottura ne accompagna allora un'altra: innanzitutto, fu Gabrielle Buffet, brillante catalizzatore nel momento della rottura con l'Impressionismo e del matrimonio con il modernismo; più tardi, Germaine Everling, irresistibile partner di Picabia nella sua vita mondana a Parigi durante l'avventura Dada, e nel suo ritiro verso il Mezzogiorno; ora, è Olga Molher, compagna più che comprensiva che condivide quest'avventura appassionante dei venticinque ultimi anni della vita di Picabia. Vive con lei una vera "luna di miele". È durante questo periodo che si sviluppano le sue trasparenze Neo-Romantiche: ancora una volta, la sua arte è il riflesso della sua vita.

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Il 1930 è l'occasione di una retrospettiva commemorativa organizzata da Léonce Rosenberg a Parigi "30 ans de peintureche comprende numerose trasparenze. È un tratto caratteristico di Picabia le cui opinioni sono costantemente mutevoli: Léonce Rosenberg, che egli aveva vilipendiato al tempo del Dadaismo, è oramai il suo principale mercante. Quest'ultimo elogiò il lavoro dell'artista, nella prefazione del catalogo dell'esposizione: "le trasparenze sono l'associazione tra il visibile e l'invisibile... questa nozione del tempo, aggiunta a quella dello spazio, che costituisce precisamente la dottrina della vostra arte. Oltre l'istantaneità, verso l'infinito, questo è il vostro ideale". L'artista scrive nello stesso catalogo, con un tono meno spirituale, "Picabia ha fatto troppi scherzi con i suoi quadri! Ecco... cosa alcuni personaggi trovano in fondo al sacco della loro acrimonia... Ed io, dico: abbiamo fatto troppi scherzi con la pittura di Picabia! La mia inquietudine è stata trasformata in scherzo!... La mia ansietà malaticcia mi ha sempre spinto verso l'ignoto... ho lavorato mesi e anni servendomi della natura, copiandola, trasponendola. Ora, è la MIA natura che copio, che cerco di esprimere". E scrive: "Mio caro Léonce Rosenberg: 'Si possono ingannare gli uomini ma non il tempo...". Quell'anno è anche segnato da una serie di ricevimenti al Casinò di Cannes, brillantemente organizzati da Picabia; La nuit tatouée [La notte tatuata] e Le bal des Cannibales [Il ballo dei cannibali] sono considerati tra i più celebri. Tra il 1930 e il 1932, moltiplica i suoi viaggi a Parigi, così come i suoi acquisti di nuove automobili e nuovi battelli. Picabia ha avuto 127 "automobili", tra le quali i modelli di lusso dell'epoca, la Mercer, la Graham Paige, la Rolls Royce.

gertrude.Stein.jpgIllustra perfettamente il suo aforisma: "Ho sempre amato divertirmi seriamente". A quest'epoca, Picabia rinnova la sua amicizia con Gertrude Stein. Il sostegno morale e intellettuale che egli dà si trasforma in calorosa amicizia durante le visite annuali che Picabia e Olga effettuano a Bilignin. Nel 1932, scrive: "... i surrealisti sono una volgarizzazione di Picabia allo stesso titolo di Delaunay e coloro che l'hanno seguito, i futuristi, erano una volgarizzazione di Picasso". Definisce Picabia "Il Leonardo da Vinci di questo movimento". Lo stima non soltanto perché condividono le stesse opinioni sull'arte, ma a causa delle sue origini spagnole, fermamente convinta che i soli pittori importanti del XX secolo sono spagnoli, come Juan Gris, Miró e Picasso perché, come essa spiega, essi sono dotati di tutte queste qualità: "stravaganza, eccesso, crudeltà, superstizione, misticismo", e non hanno alcun "senso del tempo".

Nel 1933, si verifica l'inevitabile: Germaine Everling rompe definitivamente con Picabia e lascia il Château de Mai (che verrà venduto due anni dopo). Dopo questo periodo mondano e movimentato, Picabia conduce una vita più solitaria e lavora intensamente. Nel 1935, realizza un insieme di tele che rappresentano delle allegorie neoclassiche per un'esposizione a Chicago, di cui distruggerà la maggior parte in seguito. Gli anni seguenti sono segnati da una grande diversità nell'opera di Picabia: tele naturaliste, figurative; nuove sovrapposizioni in dominanti di toni verdi; paesaggi che ricordano il suo periodo impressionista e fauve; incursioni nell'astrazione geometrica, e infine un omaggio alla Guerra di Spagna con il potente quadro, La Révolution espagnole [La rivoluzione spagnola] del 1937.

picabia.revol.espagnol.jpgPicabia, La Révolution espagnole1937.

Di fronte alla Seconda Guerra Mondiale, il suo atteggiamento rimane del tutto individualista e provocatore, al punto che il suo "spirito dada" e le sue posizioni apolitiche gli creeranno delle difficoltà durante la Liberazione. A partire dal 1939, le difficoltà si moltiplicano. Il tenore di vita di Picabia si è considerevolmente ridotto: lo yacht e le automobili sono sostituite da un piccolo appartamento a Golfe Juan (Costa Azzurra) ed una bicicletta. E per la prima volta, visse soprattutto con i proventi assicuratigli dalla vendita dei suoi quadri. Nel 1940, sposa Olga Mohler (era divorziato da Gabrielle Buffet dal 1930  e non aveva mai sposato Germaine Everling).

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Picabia, Donna con Bull dog, 1944.

Gli ultimi anni trascorsi sulla Costa Azzurra vedono nascere una serie di quadri di un realismo spinto - e di un falso accademismo. Durante questi anni difficili, Picabia, a dispetto il suo "incorreggibile pessimismo", si riavvicina alla vita dipingendo dei nudi ed altri soggetti tratti dall'iconografia popolare. Ma ora, trova le sue fonti nelle fotografie in bianco e nero delle riviste erotiche degli anni trenta. "La mia pittura è sempre più l'immagine della mia vita e della vita ma una vita che non vuole e non può guardare il mondo in ciò che ha di cupido e di mostruoso. Tutto ciò che è stato morale in arte è morto, per fortuna! è il solo servizio che il cataclisma che ci circonda ha reso". Dipinge dei quadri come Femmes au bull-dog, Femme au serpent, Montparnasse, Deux nus ou même Adoration du veau et Pierrot pendu.

picabiaFemmeauserpent1939.jpgPicabia, Donna con serpente, 1939.

In risposta a coloro che sostengono che le motivazioni dell'artista nel dipingere i nudi sono soltanto commerciali, Olga Picabia afferma che "Francis ha sempre dipinto ciò che voleva, ben prima che il mercante venuto da Algeri, o da altrove, arrivi per acquistare le sue tele". Durante lo stesso periodo a Cannes, espone dei "quadri tascabili" con lo scultore Michel Sima (1942) e l'anno successivo figura in un'esposizione in compagnia - molto inattesa - di Bonnard e Matisse.

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Picabia, Adorazione del vitello, 1941.

Il suo comportamento provocatore nei confronti della collaborazione così come rispetto alla Resistenza gli vale, così come a sua moglie, di essere coinvolti con i "regolamenti di conti" del dopoguerra. È durante questo periodo difficile che egli è vittima della sua prima emorragia cerebrale. Nel 1945, Picabia è infine di ritorno a Parigi. Olga e lui si trasferiscono nell'antica casa di famiglia e risiedono nel laboratorio di suo nonno.

picabia.Deux-nus.1941.JPGPicabia, Due nudi, 1941

Cercando di dimenticare le sue recenti delusioni, Picabia riprende contatto con  i suoi vecchi amici d'anteguerra. Henri Goetz e sua moglie Christine Boumeester, degli amici del Mezzogiorno, gli fanno visita tutte le domeniche, accompagnati da giovani artisti astratti: Henri Nouveau, Francis Bot, Hartung, Bryen, Soulages, Mathieu, Ubac, Atlan. Semore pieno di risorse, a sessantacinque anni come prima, Picabia cambia del tutto di nuovo, abbandonando il realismo popolare della guerra per una forma personale di astrazione. Espone regolarmente nelle gallerie parigine e nei saloni importanti della giovane avanguardia cone il Salon des Surindépendants e il Salon des Réalités Nouvelle.

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Picabia, Monparnasse, 1941

Picabia si rimette allora a scrivere. Thalassa dans le désert esce nel 1945. Durante gli anni successivi, pubblica dei lavori di tonalità più amara e disincantata presso il suo amico Pierre-André Benoît, editore ad Alès. Scrive moltissimo durante il suo soggiorno annuale a Rubigen in Svizera presso la famiglia di Olga. A Parigi, è sempre uno dei frequentatori celebri abituali di "Bal Nègre" ed altri cabaret parigini, fedele al suo modo di vivere del periodo di prima della guerra. Per Picabia, i cabaret "Eve" e "Tabarin" valgono quanto l'Opéra e la Comédie Française, istituzioni venerate in Francia e che egli giudica vive quanto il cimitero di Montmartre.

picabia.Thalassa-dans-le-desert.jpg

Esplorando con impazienza le posssibilità di un'ultimo periodo astratto, Picabia dipinge delle opere importanti come Bal Nègre, in omaggio al suo locale notturno preferito, Danger de la force, Bonheur de l’aveuglement, e Kalinga. La primavera del 1949 vede il vertice della sua lunga carriera: una retrospettiva monumentale, "50 ans de plaisir", è organizzata dalla Galerie René Drouin. Il catalogo si presenta sotto forma di un numero unico di 491, scritto dai suo amici ed edito da Michel Tapié. Incoraggiato dai suoi amici, spinto dalla sua propria curiosità ed il suo bisogno  di andare più avanti nell'ignoto, Picabia produce una serie di quadri minimalisti composti da punti: è la riduzione finale dei suoi quadri astratti. I "Punti" vengono esposti alla Galerie des Deux Iles nel 1949. Tra il 1950 ed il 1951, Picabia ha alcune esposizioni importanti: in Francia, a New York alla Rose Fried Gallery ed alla Galerie Apollo a Bruxelles. Nel  1951, dipinge le sue ultime opere, tra le quali Tableau vivant, Villejuif, così come o suoi sette quadri, per ogni giorno della settimana e La terre est ronde. Essi vengono esposti alla Galerie Colette Allendy nel dicembre del 1952 accompagnati da un catalogo contenenti 7 facsimili di lettere d'omaggio di Breton, Cocteau, Bryen, Van Heeckeren, Seuphor, J.H. Lévesque e Michel Perrin. Negli anni successivi, Simone Collinet, prima moglie di Breton, diventa il principale mercante di Picabia.

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Picabia, Bal Nègre, 1947

È l'ultimo viaggio di questo "Cristoforo Colombo dell'arte", come lo aveva soprannominato Jean Arp. Alla fine del 1951, un'arteriosclerosi paralizzante lo priva definitivamente della sua fonte vitale, la pittura.

ériosclérose paralysante le prive définitivement de sa source vitale, la peinture. L’ultime “dissolution”, décrit ainsi par Picabia lui-même, arrive le 30 Novembre 1953. Le 4 Décembre, au cimetière Montmartre, André Breton rend un dernier hommage à son partenaire de toujours : « Francis... votre peinture était la succession – souvent désespérée, néronienne – des plus belles fêtes qu’un homme se soit jamais données à soi-même... Une œuvre fondée  sur la souveraineté du caprice, sur  le refus de suivre, toute entière axée sur la liberté, même de déplaire... Seul un très grand aristocrate de l’esprit pouvait oser ce que vous avez  osé. »

* Dall'ottava edizione del "Dictionnaire de l'Accademie française, (1932-1935), leggiamo la seguente definizione del termine Rastaquouère, che traduciano con lo spagnolo "rastacuero": "Termine familiare, improntato dallo spagnolo "rastacuero" e che serve a designare un personaggio esotico che sfoggia un lusso sospetto e di cattivo gusto. Si dice anche, per abbreviazione e più familiarmente: RASTA". Ricordiamo soprattutto che Picabia scrisse nel 1920 una breve opera poetica, che presto andremo a tradurre, intitolata appunto: Jésus-Christ Rastaquouère, e cioè Gesù Cristo Rastacuero [N. d. T.]

 

Beverley Calte

 

[Traduzione di Massimo Cardellini]

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15 febbraio 2013 5 15 /02 /febbraio /2013 07:00

Clément Pansaers

pansaers-Dachy

Bar Nicanor e altri testi Dada

Fabrice Lefaix

Gli studi sui testi di Clément Pansaers non sono legioni. Nel suo Le théâtre dada et surréaliste [Il teatro dada e surrealista], Henri Béhar dedicava quattro pagine a Saltimbanques [Saltimbamchi] di Clément Pansaers e sottolineava rapidamente una parentela da parte di Jarry: "La sola opera nota di Pansaers si iscrive, attraverso il sottotitolo, attraverso la messa in pratica della Patafisica, nel solco di Jarry, ma con quale senso di distruzione in più!". Pansaers non nasconde il suo debito: "Le Père Ubu [Ubu], Le Surmâle [Il Superuomo], le Dr Faustroll [Dottor Faustroll] (…) riassumono con una potenza straordinaria tutta la nostra vita di ieri, di oggi e di domani". [C. Pansaers, "La vie à Paris", in Ça ira!, n° 17, marzo 1922.] [1].Poiché questo testo mi è mancato a lungo, sono andato a ricopiarlo alcuni mesi or sono nella molto ben rifornita sala della biblioteca Kandinsky. Ma ecco che un editore belga, Chemins & Ruines (Bruxelles), ha da poco edito (alla fine del 2009 sembrerebbe) Les saltimbanques "con una presentazione ed un aggiornamento da parte di alcuni agenti dormienti del Partito immaginario". Questi ultimi, da molto tempo secondo Henri Béhar, sostengono questo: "Il testo introvabile che rieditiamo presenta tutte le caratteristiche formali di un'opera teatrale. E tuttavia, quella non è un'opera teatrale. Per gli scettici, una didascalia posta poco prima della fine, dove questo avvertimento, infilata in una specie di battuta: 'Poco perspicace è colui che pensa subito alla scena'".

pansaers.saltimbanco003.jpg

I due testi che accompagnano questa riedizione di I Saltimbanchi di Pansaers ("Di fronte all'impossibilità di un pensiero isolato" e "Questa non è un'opera teatrale, ma una procedura di esorcismo" comportano rispettivamente 32 e 14 pagine nel corso delle quali gli "agenti dormienti" - molto perspicaci quando si tratta di dimostrare che i testi di Pansaers soffron, oggi ancora, del marchio "dada", riduttore nel caso dell'autore di I Saltimbanchi che avrebbe fatto a meno di questo determinismo storico - danno prova di una virulenza delle meno pertinenti e delle più inutili nei confronti di Marc Dachy (senza d'altronde citarlo): "Nell'unica edizione di questa raccolta, L'incompetente incaricato della cura del testo [2] non ha ritenuto utile conservare quel segno che appare anche nelle intestazioni della sua corrispondenza, o nella incisione su legno che apre Le Pan Pan au Cul du Nu Nègre [Il Pan Pan in culo al nudo negro]. Il che significa che non esiste attualmente nessuna edizione soddisfacente della raccolta Je blennorrhagie [Io blennoragia]" [nota 16, pagina 42]. E, poco oltre: "Ma per l'unica riedizione di Point d'orgue programmatique pour jeune ourang-outang [Punto d'organo programmatico per giovane orangotango, l'idiota civilizzato incaricato di stabilre il testo [2] ha creduto di fare buona cosa nel rettificare  l'ortografia barbara del suo Dada in "orang-outang" [nota 17, pagina 43].

Queste due annotazioni sono particolarmente sgradevoli perché Marc Dachy è la persona che in Francia ha permesso a molte persone di scoprire, Clément Pansaers, soprattutto curando l'edizione di Bar Nicanor et autres textes dada [Bar Nicanor e altri testi Dada] presso Lebovici (1986)].

D'altronde, con riserva di verifica delle fonti, cambiare "ourang-outang" in "orang-outang" non nuoce affatto all'approccio né alla comprensione del testo in questione. Il francese di Pansaers era a volte esitante, a volte errato, anche, ad esaminarne meticolosamente, ad esempio, il suo Novénaire de l'attente [Novena dell'attesa] e non è anormale, in questo caso preciso, di ristabilire l'ortografia indicata.

In quanto al "segno"

 

pansaers détail001

Clément Pansaers, incisione su legno illustrazione di Il Pan Pan au Cul du Nu Nègre (1920) - dettaglio

 

pansaers-detail002.jpgClément Pansaers, intestazione di una lettera spedita a Tristan Tzara (18.12.1920)

evocato dagli "agenti dormienti", la notazione musicale di ripresa da capo, che Marc Dachy avrebbe omesso di riportare nella sua edizione, bisognerà che lo si descriva con maggior precisione. Per quel che mi riguarda, non leggo che il monogramma "CP" o "PC" che Pansaers utilizzava semplicemente per... firmare - e non "DC" per da capo, il che mi sembra essere una interpretazione eccessiva quanto più erronea in quanto doppiata da un "incompetente in grado di stabilire un testo".

Infine, giusto una breve osservazione per quel che concerne gli "agenti dormienti", qui un poco addormentati: non esistono "Pistoni d'aria" in Duchamps (la loro osservazione a pagina 15), ma dei "Pistoni di corrente d'aria" (e si, ciò cambia ogni cosa!). In quanto "all'attrice Isadora Duncan" (la loro osservazione è a pagina 23), mi sembra utile precisare che era piuttosto una... danzatrice.

Per ora, restano ancora alcuni testi di Pansaers da ripubblicare. Quelli editi con lo pseudonimo di Julius Krekel nel 1910 non sembrano aver ancora suscitato la curiosità di un traduttore. Arlequinade, Brève incursion dans le Blockhaus dell'artiste, Meditazioni di quaresima, ed il molto bello Novena dell'Attesa rimangono quasi del tutto sconosciuti e molto difficili da reperire per coloro che ne hanno sentito parlare. Per colmare questo vuoto editoriale (che non riguarda che un pugno di lettori, ma chi può dirlo?...), ho, poco tempo fa inviato Novena dell'Attesa ad alcuni personaggi della mia cerchia.

Per un accostamento a Clément Pansaers, ci si può far riferimento, come dicono gli studi seri, all'articolo di Georges-Henri Dumont ("Résurrection (1917-1918), une revue wallone d'avangarde sous la première occupation allemande") [Résurrection (1917-1918), una rivista vallona d'avanguardia durante la prima occupazione tedesca"]) e, naturalmente, all'articolo  di Marc Dachy "Résurrection de Clément Pansaers" [3].

 

Fabrice Lefaix

[Traduzione di Massimo Cardellini] 

 

NOTE

[1] Études sur le Théatre Dada et surréaliste
, Gallimard, coll. Les Essais, 1967, ried. 1979.

[2] Evidenziato da me.

[3] Introduzione al reprint dei numeri di Résurrection, éditions Jacques Antoine, Bruxelles, 1973.

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12 febbraio 2013 2 12 /02 /febbraio /2013 07:00

L'AMIRAL CHERCHE UNE MAISON À LOUER

 

[L'ammiraglio cerca una casa da affittare]

 

Poesia simultaneista di R. Huelsenbeck, M. Janko, Tr. Tzara

 

CV007L'amiral.chercheLe pagine 6 e 7 della prima rivista dadaista, la celebre Cabaret Voltaire, di cui uscì soltanto un numero il 15 giugno del 1916, in cui apparve questo famoso componimento poetico ad opera di Richard Huelsenbeck, Marcel Janco e Tristan Tzara. Si tratta di una poesia recitata da più persone, spesso recitanti contemporaneamente ed anche in lingue diverse ed in cui suoni e rumori hanno anche un'ampia parte. La performance di questa poesia simultanea avvenne nel Cabaret Voltaire di Zurigo nel marzo del 1916.

https://www.youtube.com/watch?v=Zrxa6Q3V_rQ

 
[A cura di Massimo Cardellini]
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  • : DADA 100
  • : In attesa delle giuste celebrazioni che vi saranno nel mondo colto per il primo centenario del grande movimento Dada di arte totale, intendiamo parlarne con un grande anticipo di modo che giungendo la fatidica data molti non siano presi alla sprovvista grazie al mio blog.
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