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25 novembre 2014 2 25 /11 /novembre /2014 23:00

Dall'Oggetto-Dio alla bellezza convulsiva 

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Surrealismo e primitivismo

"L’artista europeo, nel XX secolo,non ha alcuna possibilità di rimediare all'inaridimento dell'ispirazione indotto dal razionalismo e l'utilitarismo se non riannodandosi con la visione detta primitiva, sintesi di percezione sensoriale e della sua rappresentazione mentale".

André Breton, Entretiens (1913-1952), Parigi, Gallimard, 1969, P. 248.    

 

"Dopo una giornata di quiete pensosa,

Cammini verso Auteuil vuoi andare a casa a piedi

Dormire tra i feticci dell'Oceania e della Guinea

Sono dei Cristi di un'altra forma e di un'altra credenza

Sono i Cristi inferiori delle oscure speranze

Guillaume Apollinaire, ZONE.

   

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"Aprire le pagine dei libri di Breton o spingere la porta del laboratorio al n° 42 di rue Fontaine, vuol dire incontrare la stessa presenza turbante dell'"anima primitiva!". Solennemente esposti sulle mura del piccolo appartamento, invocati con insistenza nei testi teorici, i racconti e le poesie, gli oggetti selvaggi costituiscono l'universo famigliare di uno scrittore che non ha smesso di porre in evidenza questi segni come le chiavi d'accesso all'universo surrealista: "le più profonde affinità esistono tra il pensiero detto "primitivo" e il pensiero surrealista", dichiarava nel 1945.

La connivenza si era stabilita da molto tempo, e in molti modi: di fatto, essa risale all'infanzia dell'umanità (è noto l'aneddoto, molto simbolico, del primo feticcio comprato in cambio di denaro di un successo scolastico, in cui Breton si scelse falsificatore della cultura) e agli inizi dell'opera. Le bambole hopi apparvero presto nella "La Révolution surréaliste"; la riflessione estetica del "Surrealismo e la pittura" si appoggia, sin dal 1928, sugli esempi amerindi e oceaniani.

La complicità illumina gli ultimi momenti dell'attività poetica. La raccolta di frasi automatiche che danno il la all'espressione lirica fa posto a questa strana formula, che si direbbe nata dal sogno profetico di un Indiano delle grandi praterie, ma che risuona come l'invito a rimanere in ascolto: "se vivete bisonte bianco d'oro, non fate il taglio di bisonte bianco d'oro". Da un polo all'altro di questo mezzo secolo di pensiero surrealista, sepolto o non, il talismano rimane. Impossibile che non lo si ritrovi presto o tardi tra i bigliettini del cuore, applicandosi a restituire l'uomo al sentimento primordiale che ebbe di se stesso e che il razionalismo positivista ha corrotto".

Jean Claude Blachère, Les totems d'André Breton, L'Harmattan.

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È indubbiamente impossibile disegnare i contorni di un "primitivismo surrealista" senza cominciare con il sottolineare che la figura del "primitivo" non appartiene in modo esclusivo e inedito al movimento surrealista, anche se ne accompagna rigorosamente lo sviluppo storico e permette con ciò di identificarne alcune caratteristiche. In quale contesto i surrealisti hanno allora incontrato questa figura e come si sono costituiti il loro "primitivo" - un primitivo a valore di modello (o di riferimento immaginario) per le loro pratiche estetiche.

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Il primitivismo, e cioè l'interesse marcato da parte degli artisti moderni per l'arte e la cultura delle società tribali, così come si èp manifestato nelle loro opere e nelle loro affermazioni, costituisce la sola tematica fondamentale dell'arte del XX secolo ad essere stata così poco approfondita. Alla riflessione, non è forse sorprendente che il primitivismo non abbia suscitato così poche ricerche, perché per tenere un discorso pertinente su questo argomento è necessario conoscere abbastanza bene l'uno e l'altro di questi universi artistici, allo scopo di afferrare la posta in gioco del loro incontro all'interno della cultura occidentale. Per tradizione, essi costituiscono due campi di studi distinti. Sino ad un'epoca recente, gli oggetti tribali erano di competenza esclusivamente dell'etnologia, per lo meno per quel che concerneva la ricerca e la museologia. È soltanto dopo la Seconda Guerra mondiale che la storia dell'arte ha preso in conto questo materiale. Nell'insegnamento superiore, i corsi sull'arte primitiva restano malgrado tutto relativamente rari, e ben pochi tra gli studenti che li seguono s'interessano da vicino all'arte moderna. Non ci si deve dunque meravigliare di trovare una grande proporzione di errori in tutto ciò che gli storici dell'arte del XX secolo hanno potuto dire sull'intervento dell'arte tribale nella fioritura della modernità. In mancanza di ben padroneggiare la cronologia dell'arrivo e della diffusione degli oggetti primitivi in Occidente, essi hanno fatto immancabilmente delle supposizioni gratuite per quel che concerne le influenze. A titolo di esempio, citerò il fatto che nessuno dei quattro tipi di maschere presentate da autori eminenti come fonti d'ispirazione possibili per "Les Demoiselles d'Avignon" non potevano essere conosciuti da Picasso nel 1907, anno in cui ha dipinto questo quadro. Reciprocamente, la maggior parte degli specialisti dell'arte dei popoli "primitivi" non hanno che una conoscenza molto superficiale dell'arte moderna, e quando per caso vi fanno allusione, questa tradisce a volte un'ingenuità sconcertante.

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La luce di natura molto differente che gli antropologi e gli storici dell'arte specializzati nelle culture africane e oceaniane hanno gettato sugli oggetti tribali sono in fin dei conti molto più complementari che contraddittori. Gli uni e gli altri mirano naturalmente alla comprensione delle sculture tribali nel contesto in cui si è inscritta la loro creazione. Poiché mi occupo della storia del primitivismo, il mio oggetto è del tutto diverso: voglio capire le sculture "primitive" in rapporto al contesto occidentale nel quale degli artisti moderni le hanno "scoperte". Le funzioni e i significati precisi di ogni oggetto, di cui gli etnologi si preoccupano in primo luogo, non rientrano nel mio proposito, tranne nella misura in cui esse erano conosciute dagli artisti moderni in questione. Tuttavia, prima degli anni venti in cui certi surrealisti sono diventati amatori dell'etnologia, gli artisti non erano generalmente informati, e in modo evidente non si preoccupavano affatto di questo genere di cose. Ciò non vuol dire che essi erano indifferenti ai "significati", ma piuttosto che essi si interessavano unicamente ai significati che potevano percepire grazie agli oggetti stessi".

William Rubin, Le primitivisme dans l'art di XXème siècle, Flammarion.

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Il primitivismo moderno poggia innanzitutto sulla rivendicazione critica di una liberazione in rapporto a certe norme costringenti, di ordine stilistico, mentale o morale, caratteristici dell'Occidente - liberazione di cui gli artisti hanno creduto trovare il modello in altre culture, radicalmente estranee alla cultura occidentale, e rappresentante a questo titolo un'alternativa valida a quest'ultima. Il "primitivo" rappresentava innanzitutto l'orizzonte di possibilità di una contro-cultura, che incarnava una figura eterogenea - e di cui il valore era essenzialmente critico - a quella dell'Occidentale o del "civilizzato". Infatti, il punto di vista occidentale coincideva sino ad allora con il punto di vista coloniale: in queste condizioni il "primitivo", o il "selvaggio" era considerato come un tipo umano singolare, situato all'inizio dello sviluppo sociale, culturale e psicologico dell'umanità: un essere eternamente infantile, di cui la semplicità, lungi dall'essere una qualità e una garanzia di autenticità, è piuttosto il segno di un difetto di umanità e di un mantenimento fuori delle storia (darwinismo sociale).

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Le peculiarità del primitivismo fu al contrario di contestare questo modo di valutazione e di rovesciare queste categorie (pur conservando tuttavia la stessa problematica schematizzazione storica). Esso metteva in questione la supposta superiorità del punto di vista occidentale e si proponeva al contrario di rivalorizzare la figura del primitivo, designata come il "rivelatore" delle mancanze, degli oblii, o del represso della civiltà occidentale.

"Il discorso sul nostro argomento ha sofferto un certo equivoco in quanto alla definizione del primitivismo. Questa parola è comparsa in Francia durante il XIX secolo, ed è entrata ufficialmente nella lingua francese con un uso riservato alla storia dell'arte, come l'attesta il Nouveau Larousse illustré in sette volumi pubblicato tra 1897 e 1904.

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Se l'«imitazione» invocata dal Larousse è al contempo eccessiva e molto limitativa, l'impiego di questo termine per designare delle pitture e sculture influenzate da degli artisti detti "primitivi" appartenenti a un'epoca anteriore non si è meno perpetuata da allora nella storia dell'arte. I "primitivi" hanno soltanto cambiato identità. La definizione del Larousse rifletteva l'uso che di questo termine si faceva alla metà del XIX secolo: i "primitivi" in questione erano innanzitutto gli Italiani e i Fiamminghi dei secoli XIV e XV. Ma, sin da prima dell'uscita del Nouveau Larousse illustré, degli artisti avevano dato più estensione all'epiteto "primitivo" per applicarlo alle arti romaniche e bizantine, così come a una moltitudine di arti non occidentali e che vanno dal peruviano al giavanese. Il senso del "primitivismo" si era modificato di conseguenza. Tuttavia, nessuno di questi due fronti richiamava ancora le arti tribali dell'Africa e dell'Oceania. Questa accettazione sarà data loro soltanto durante il XX secolo.

In questo quadro allargato, la definizione relativa all'arte data dal Webs­ter diventava semplicemente "l'adesione o la reazione a ciò che è primitivo". Manifestamente, questo senso era ben radicato quando Goldwater ha utilizzato la parola nel titolo del suo Primitivism in Modem Painting, nel 1938. La coerenza globale di tutte queste definizioni non ha impedito alcuni autori di confondere il primitivismo (fenomeno occidentale) con le arti dei popoli detti primitivi.

Van Gogh, ad esempio, qualificava come "primitivi" gli stili di corte e teocratici degli antichi Egiziani e degli Aztechi del Messico; parlava di artisti "selvaggi" a proposito dei maestri giapponesi che egli venerava. Gauguin utilizzava gli aggettivi "primitivo" e "selvaggio" per descrivere degli stili così diversi come quelli della Persia, l'Egitto, l'India, Java, o della Cambogia e del Perù. L'artista, che si dichiarava egli stesso "selvaggio", doveva in seguito aggiungere i Polinesiani alla lista già lunga dei "primitivi", ma era meno attratto dalla loro arte che dalla loro religione e di ciò che rimaneva del loro stile di vita. Decine di anni prima che alcuni artisti avessero cominciato a occuparsi della scultura africana o oceaniana, i loro precursori, della generazione di Gauguin, hanno ammirato le arti esotiche per molte qualità che i loro successori del XX secolo avrebbero apprezzato altamente nell'arte tribale. Essi ammiravano soprattutto la forza espressiva giudicata deplorevolmente assente negli ultimi stadi del realismo occidentale, che appariva insipida ed esangue agli artisti d'avanguardia della fine del XIX secolo.yvan09.jpg

Eppure, a parte Gauguin e il suo interesse per la scultura delle isole Marchesi e dell'isola di Pasqua, nessun artista del XIX secolo manifestava nel suo lavoro un interesse reale per l'arte tribale, sia essa oceaniana o africana. Il senso che diamo attualmente all'arte primitiva, spesso sinonimo di oggetti tribali, corrisponde strettamente a una definizione del XX secolo. I primi decenni del XX secolo hanno visto sia uno spostamento sia un restringimento dell'arte primitiva. Con la "scoperta" delle statue e maschere africane e oceaniane da parte di Matisse, Derain, Vlaminck e Picasso, nel 1906-1907, un'interpretazione modernista di questo termine è venuta alla luce. Il suo campo semantico si è incentrato di nuovo intorno all'arte tribale, ma i suoi impieghi più antichi non sono spariti di colpo. Molto semplicemente, l'"arte primitiva" si è confusa sempre più con gli oggetti tribali nel corso dei successivi venticinque anni. Per l'avanguardia artistica d'inizio XX secolo, si trattava innanzitutto dell'arte oceaniana e africana al qualew si aggiungeva in Germania, un campione dell'arte degli Indiani d'America e degli Esquimesi (molto mal conosciuti dagli artisti parigini prima degli anni venti o trenta).

William Rubin, Op. cit.

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E' perché il "primitivismo" moderno corrispondeva innanzitutto alla contestazione interna del modello occidentale di civiltà: in questa prospettiva, oltre l'interesse di andare all'altro capo del mondo per stanare il modello di questa primitività radicale, (si rimaneva malgrado tutto allo schema Evoluzionista), era anche possibile trovare il "primitivo" all'interno stesso del mondo o dell'Uomo occidentale; i contadini, i bambini, i pazzi, hanno così potuto giocare quel ruolo di "marginali", di "primitivi dall'interno" suscettibili di apportare alla cultura occidentale le condizioni del suo rinnovamento, della sua rivoluzione interna rinfrescandola con la loro semplicità e la loro autenticità. Si ha qui senza dubbio una delle chiavi della valorizzazione surrealista dell'apporto freudiano, almeno così importante per la costituzione del loro "primitivismo" quanto l'apparizione di opere provenienti dall'arte tribale.

"Oceania... quanto prestigio questa parola avrebbe avuto nel surrealismo. Sarebbe stato uno dei grandi guardiani di chiuse del nostro cuore. Non soltanto sarebbe bastato a precipitare la nostra fantasticheria nel più vertiginoso dei corsi senza rive, ma anche tanti tipi di oggetti che portano il suo marchio d'origine avranno provocato sovranamente il mio desiderio. Vi fu un tempo, per alcuni dei miei amici e me, in cui i nostri spostamenti, ad esempio fuori di Francia, non erano guidati che dalla speranza di scoprire, a costo di ricerche ininterrotte dalla mattina alla sera, qualche raro oggetto oceaniano. Un irresistibile bisogno di possesso, che d'altronde non ci conoscevamo affatto, si manifestava a a questo proposito, esso accendeva come nient'altro la nostra bramosia: quanto altri possono enumerare come beni del mondo, nulla aveva valore di fronte ad esso. Ne parlo al passato per non contrariare nessuno. Sono colpevole, sembrava, di fronte ad alcuni, di continuare a commuovermi per le risorse dell'anima primitiva, di essermi di recente aperto a proposte di modelli dell'arte indiana o delle regioni polari alle quali si estendeva la nostra comune predilezione, - il razionalismo più limitato ha oggi i suoi neofiti: indubbiamente hanno perso la memoria e la grazia di questo come per il resto.

Ho conservato della mia gioventù gli occhi che abbiamo potuto avere immediatamente, verso qualcuno per queste cose. La pratica surrealista, all'inizio, è inseparabile dalla seduzione, dal fascino che esse hanno esercitato su di noi.

 

André Breton, OCEANIE.

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Il primitivismo va così inscriversi nella famiglia di movimenti culturali e artistici che si elaborano alla svolta del secolo a partire da una comune rivalutazione critica degli schemi mentali e estetici imposti dall'Occidente bianco e razionale. Questa rivalutazione è all'opera soprattutto nelle avanguardie letterarie e artistiche che emergono allora in Europa. Tra quest'ultime, vi è innanzitutto il gruppo Die Brücke (formatosi intorno a Kirchner, Nolde, Pechstein), che pongono in questione i canoni dell'estetica occidentale in nome di una ricerca affettiva che pone al primo posto dei criteri dell'arte l'emozione suscitata dalle opere. In funzione di questo criterio, le sculture d'Africa e d'Oceania, le xilografie tedesche dei secoli XV e XVI, e i disegni dei bambini si ritrovavano ad essere considerati anch'essi "primitivi" e meritavano a questo titolo di essere designati come dei modelli per gli artisti europei.

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Il movimento Blauer Reiter (Il Cavaliere blu), di cui il manifesto, L'Almanacco del Blauer Reiter, è pubblicato nel 1912, sotto la responsabilità di Wassily Kandinsky e de Franz Marc, rafforza questa posizione mettendo soprattutto in luce il parallelo tra l'arte dei bambini e l'arte primitiva.... Si trattava oramai di stabilire una primitività (di cui si conservava così il concetto) fondamentale dell'infanzia, considerata come il momento privilegiato d'accesso a certe verità essenziali, che l'età adulta verrà in seguito a occultare o ridurre. Porre sullo stesso piano i disegni dei bambini e le produzioni dei popoli primitivi, ciò equivale dunque a misurare il loro valore estetico al loro tenore affettivo e espressivo. Il riferimento al "primitivo" si svolge dunque qui simultaneamente a un doppio livello: il primitivo è il più remoto, è l'estraneo e lo straniero che confronta l'Occidente ai suoi propri limiti; ma rappresenta anche quella parte enigmatica oscura e preziosa di ogni uomo, per la quale egli comunica originariamente con una semplicità e una verità essenziali, addirittura il principio della sua umanità. (Questa idea è lungi dall'essere abbandonata nell'astratto per le "arti prime").

(SEGUE)

 

[Traduzione di Massimo Cardellini]

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